Focus, 11 agosto 2017
Il prezioso gusto dell’acqua
Inodore, incolore, insapore.
Fin da bambini impariamo che queste sono le caratteristiche dell’acqua. Eppure ne beviamo un bicchiere ed ecco che ci sembra “sappia di cloro”, sia “pesante” o “ferrosa”: tanto insapore, insomma, non si direbbe. Non bastasse, sempre più spesso nei ristoranti viene proposta, accanto a quella dei vini, anche una “carta delle acque”, fondata sul presupposto che tra l’una e l’altra ci siano notevoli differenze (anche di prezzo)... Che però qualcuno non coglie affatto: possibile, visto che l’acqua è un elemento così essenziale? Proviamo a fare un po’ d’ordine.
Per cominciare, sembra certo che il gusto dell’acqua pura, senza sali minerali, esista, stando a uno studio del California Institute of Technology pubblicato di recenti su Nature Neuroscience. Dopo anni di di battiti fra chi pensa che l’acqua abbia m suo sapore e chi invece ritiene che ne av vertiamo uno perché è la saliva ad averm o perché è il “riflesso” di ciò che abbiami mangiato, gli esperimenti su topolini de neuroscienziato Yuki Oka sembrano da ragione ai primi: il cervello può rispon dere all’acqua pura, distillata, sentendoli attraverso i recettori per l’acido, “mini antenne” per le molecole acide che s trovano sulle papille gustative ai lati dell; lingua. I recettori non sarebbero capaci d avvertire quando si è saziata la sete, mi discriminano l’acqua: se sono inattivati i topi bevono qualsiasi liquido, pure l’olii di paraffina, quando sono funzionanti li preferenza per l’acqua è netta.
I misteri però restano: perché si “accenda” proprio il recettore per l’acido, che negli animali normalmente provoca avversione, non si sa. C’è quindi parecchio da capire e questi recettori non sono di certo l’unico meccanismo per sentire una sostanza tanto indispensabile, ma gli esperimenti di Oka suggeriscono che il gusto dell’acqua pura esiste, eccome. Quella che beviamo, però, raramente è del tutto priva di sali minerali, e così, di solito, riusciamo a percepirne un sapore grazie all’interazione fra gusto, tatto, olfatto (un vago odore di cloro che ci fa arricciare il naso e sentire un saporaccio, per esempio), come facciamo per tutti gli altri alimenti; resta però difficile scindere il suo sapore da quello delle sostanze disciolte in essa o nella bocca. Anche perché l’acqua risente molto dell’adattamento: «E il fenomeno per cui, quando siamo esposti a lungo a un odore, finiamo per non avvertirlo più; oppure, dopo un gusto forte, il sapore di altri cibi o bevande ci risulta diverso. Dopo aver mangiato qualcosa di molto dolce o molto salato, per esempio, l’acqua assume note amare, dopo un alimento acido la sentiamo più dolce», osserva Erminio Monteleone, presidente della Società Italiana di Scienze Sensoriali.
NOTE STONATE. Il sapore dell’acqua è poi, come abbiamo detto, già di per sé più indecifrabile di altri: mentre nella percezione del gusto complessivo di un alimento, risultato della sintesi di tanti input sensoriali (come consistenza, aroma, sapidità), se qualcosa “stona” siamo capaci di scomporre i diversi elementi e individuare ciò che disturba, con l’acqua normalmente non riusciamo a riconoscere se c’è più di questo o di quel sale minerale. E tuttavia ci accorgiamo se ha un sapore sgradevole, magari perché l’abbiamo appena presa dal rubinetto; altre volte la sentiamo calcarea, in alcuni casi lascia la bocca metallica.
I microelementi disciolti sono i principali responsabili di queste sensazioni: il cloruro di sodio a basse concentrazioni, per esempio, conferisce una nota dolce, così come il calcio, mentre il potassio, il magnesio e il manganese tendono all’amarognolo; il bicarbonato di calcio può dare un retrogusto salato, l’anidride carbonica delle bollicine fa virare il sapore verso l’acido. «Quantità e qualità dei sali presenti incidono su gusto e proprietà dell’acqua», dice Umberto Solimene, presidente del Centro di Ricerche in Bioclimatologia Medica, Medicina
Termale, Complementare e Scienze del Benessere alFUniversità di Milano: «Le oligominerali con basso residuo fisso (la quantità di sali in un litro dopo un’evaporazione a 180 °C, ndr) contengono pochi sali e sono percepite leggere: vengono assorbite ed eliminate rapidamente, in quantità superiore a quella introdotta perché “lavano” gli spazi fra le cellule drenando via i liquidi, per cui sono diuretiche. Le mediamente mineralizzate aiutano la digestione, grazie a magnesio e bicarbonati che favoriscono la motilità gastrointestinale. Le acque molto mineralizzate, infine, sono terapeutiche e si comprano in farmacia, meglio se in seguito a una indicazione medica».
QUELLA DEL SINDACO. L’acqua del rubinetto è un po’ a metà del guado: è minerale, perché contiene molti sali (per questo alcuni la giudicano “pesante”, anche se poi ogni acquedotto è un caso a sé), ma a differenza delle acque in bottiglia non ha una composizione sempre uguale ed è perciò più difficile stabilirne un’indicazione “clinica”: va però benissimo per placare la sete e con qualche trucco si può ridurre il gusto di cloro, a volte molto forte, che dipende
dai processi di disinfezione. I composti clorurati utilizzati allo scopo si liberano nell’aria con l’ebollizione o, in misura minore, versando l’acqua in una caraffa senza tappo; se poi la brocca sta un po’ in frigo, il freddo “intorpidisce” le papille gustative e il sapore ci guadagna.
La temperatura infatti incide parecchio sul gusto percepito: «Il freddo per esempio favorisce le sensazioni tattili, così l’acqua gasata presa dal frigorifero sembra più frizzante della stessa a temperatura ambiente; riduce invece quelle olfattive perché i composti odorosi sono meno volatili», spiega Monteleone. Pure la presenza o meno di bollicine cambia il sapore, perché «le acque più gasate, non a caso spesso più economiche, con le loro grosse bolle “anestetizzano” la lingua mascherando il gusto», dice Solimene, che continua: «Come lo champagne, l’acqua ha un perlage che dipende dalla dimensione delle bolle: per assaporare le differenze è meglio che sia microgasata, con bollicine piccole, e non troppo fredda per non romperne il bouquet». Sembra quasi di sentir parlare di vini, e in effetti un po’ è così: esistono già gli idrosommelier. Nati una quindicina di anni fa, sono oltre 500 soltanto in Italia (con un corso di un weekend si apprendono le prime basi del mestiere), e in alcuni ristoranti spuntano le carte delle acque. In quella proposta dall’Adam (Associazione Degustatori Acque Minerali) ce ne sono decine e alcuni locali stellati offrono liste con una ventina di bottiglie da vari Paesi, ma il minimo sindacale pare sia averne almeno quattro tipi diversi, più o meno mineralizzate, per non sbagliare gli abbinamenti con le pietanze. L’acquava degustata seguendo certe regole, come spiega
Mario Celotti, presidente Adam: «Servono due bicchieri: un calice per la gasata/ addizionata, da assaporare fredda (circa 9 °C, ndr) e da non scaldare toccando il bicchiere, e uno a fondo piatto per la liscia, da bere dopo aver alzato la temperatura di un grado o due rispetto al frigo». Dell’acqua, prima del gusto, si può giudicare il perlage delle bolle, se è cristallina o trasparente, se ha un odore da difetti di conservazione della bottiglia o altro; bevendola, gli idrosommelier possono capire di quali sali minerali è ricca.
LE BOLLE CHE “SGRASSANO”. Così se il cameriere vi chiede «Gasata o naturale?», sappiate che le alternative sono molte di più: è importante per esempio sapere se l’acqua sia più o meno mineralizzata. «Un’acqua leggera, oligominerale e liscia, è adatta ad antipasti delicati o al pesce al vapore; una lieve effervescenza è necessaria se il pesce è accompagnato da salse», consiglia Celotti. «Se il residuo fisso è intorno a 500, andrà bene per sughi più saporiti come il ragù e si potrà optare per una bolla media; per secondi importanti servono acque con un residuo fisso alto, fra 900 e 1.200, a effervescenza marcata ed effetto “sgrassante”. Al momento del dessert un’acqua liscia a tendenza dolce è perfetta. I ristoranti dovrebbero avere almeno le acque più adatte ai loro menù. A casa ne servirebbero due o tre tipi diversi: se si sbaglia l’acqua il palato resta “sporco” e non assapora bene il piatto successivo». Non dovremo diventare esperti, insomma, ma un piccolo sforzo si può fare: se non altro perché bere acqua buona è un atto di salute prima ancora che di gusto.