Libero, 31 agosto 2017
Così la sinistra al caviale è rimasta al palo
PARIGI Qualche mese fa, il settimanale Obs, foglio di riferimento della sinistra intellettuale parigina, si è chiesto dove fossero finiti i grandi pensatori della gauche e soprattutto dove fossero le nuove leve, gli eredi di Jean-Paul Sartre e Pierre Bourdieu. E con fatica, molta fatica, è riuscito a riunire una decina di pensatori. Tra questi, il più conosciuto è Thomas Piketty, l’economista glamour che piace tanto ai salotti buoni di SaintGermain-des-Près da quando ha denunciato le diseguaglianze ne Il capitale nel XXI secolo. Poi l’Obs, nella lista dei nuovi presunti illuminati di sinistra, ha inserito Julien Coupat, difensore della «rivoluzione contro il capitale dei milieu anarco-autonomisti», Raphael Liogier, critico del “pensiero liquido” di Marine Le Pen, il filosofo anti-americano Grégoire Chamayou, all’origine della cosiddetta “teoria del drone”, e Cynthia Fleury, fustigatrice del solito neoliberismo, visto come causa di tutti i mali del mondo.
Un risultato, insomma, assai deludente, se questi sono i nuovi intellettuali di riferimento che dovrebbero indicare la luce della ragione nel campo del progresso. La costernazione per l’assenza dal dibattito delle idee di innovatori del pensiero di sinistra è stata condivisa recentemente anche da Le Monde, il quotidiano dell’establishment parigino, secondo cui la crisi dell’intellettuale, a gauche, non è un’illusione ottica come si ostinano a sostenere certi nostalgici sessantottini, ma una realtà.
Per il politologo Dominique Reynié, questa crisi «rivela un elemento costitutivo: dinanzi a una realtà che le dà torto, la sinistra si rifiuta di entrare in crisi con un’ostinazione dottrinaria che supera la comprensione». Per lo storico Jacques Julliard oltre al rifiuto di guardare in faccia la realtà la gauche e i suoi intellettuali rigettano la necessità di aggiornarsi sul piano ideologico e faticano ancora oggi a fare mea culpa per gli errori del passato: «La sinistra non è andata fino in fondo nella critica del socialismo, come ha fatto con il fascismo, e questa è la chiave dell’attuale impotenza dei suoi intellettuali». Ecco, ma allora chi sta vincendo la battaglia delle idee a Parigi? Dove sono i nuovi pensatori che animano il dibattito francese? Basta cambiare sponda della Senna, e abbandonare quella rive gauche che ha monopolizzato il paesaggio intellettuale dal ’68 in avanti. Perché è a destra, oggi, che c’è maggiore fermento, si producono idee e si scrivono saggi e pamphlet che scuotono il dibattito. Le Monde li ha definiti i «giovani conservatori senza complessi», che diffondono il loro pensiero sulle onde di Radio Courtoisie, quando non sono ospiti sulla web tv identitaria Tv libertés o protagonisti sulle pagine di opinione di Éléments, la rivista di Alain de Benoist. Il settimanale Le Point li ha chiamati i «figli di Finkielkraut», perché questi ragazzi spettinati della nuova destra intellettuale francese considerano Alain Finkielkraut, filosofo fustigatore del politicamente corretto dominante, il loro maitre à penser, accanto a Eric Zemmour, il polemista del Figaro che ha denunciato in un saggio bestseller il “suicidio francese” dinanzi all’islam e alla sinistra multiculturalista.
La più in vetrina di questa banda di insubordinati che fa arricciare il naso agli editorialisti della gauche, è Eugenie Bastié, 25 anni, giornalista del Figaro, che ha appena pubblicato un pamphlet incandescente, Adieu mademoiselle, contro le neofemministe che detestano il maschio bianco occidentale, ma si tappano la bocca per ideologia dinanzi al “Bataclan sessuale” del capodanno di Colonia o alla sharia che ritma il quotidiano di certe banlieue francesi. I suoi nemici l’hanno già soprannominata la “Eric Zemmour al femminile”, mentre la sua mentore, Elisabeth Lévy, direttrice del mensile guastafeste Causeur, è convinta di aver trovato la sua erede, e lei, Eugenié ha già messo su una rivista, Limite, con degli amici altrettanto giovani, cattolici e reazionari.
E sono molte le novità editoriali che in Francia menano sciabolate contro l’ideologia del progresso e hanno individuato nel filosofo anarchico conservatore Jean-Claude Michéa, autore del libro-cult I misteri della sinistra, il loro faro. Si chiamano Le Comptoir, Accattone, Raskar Kapac, Philitt, si definiscono fieramente anti-moderne e si ispirano al pensiero di Chesterton e Péguy. «Siamo la generazione senza tabù, la gioventù senza i sensi di colpa», come dice Alexandre Devecchio, che a 32 anni anima assieme a Vincent Trémolet de Villiers il Figaro vox, pagina di dibattiti controcorrente, che ogni giorno propone punti di vista originali intervistando politici, filosofi e intellettuali di ogni sponda politica. Devecchio ha anche pubblicato un libro, Les nouveaux enfants du siècle, nel quale ritrae con nettezza e lucidità la tripartizione della nuova gioventù di Francia: i giovani patriottici e sovranisti vicini alle idee del Front national; i giovani cattolici e reazionari che militano attorno alla Manif pour tous; i giovani delle banlieue affascinati sempre più dall’islam radicale.
Accanto alle due penne più affilate del Figaro, spicca Geoffroy Lejeune, che a soli 28 anni dirige la redazione del settimanale di riferimento della destra francese, Valeurs actuelles, l’unica rivista in attivo del panorama editoriale, con numeri che fanno impallidire i rivali dell’Express, di Marianne e dell’Obs. Lo scorso anno, nella sua prima pubblicazione, Une élection ordinaire, si è proiettato in un’immaginaria campagna presidenziale con Zemmour candidato della destra e futuro presidente, sullo sfondo di un sondaggio (reale) pubblicato dal suo settimanale che mostrava come un quarto dei francesi fosse d’accordo con la scelta del polemista del Figaro.
«Il vecchio mondo è di ritorno», ha detto Eugenie Bastié a un attonito Jacques Attali, durante una trasmissione televisiva. Un’affermazione condivisa dagli altri due intellettuali di riferimento di questa nouvelle vague conservatrice che sta facendo egemonia culturale a Parigi: il filosofo François-Xavier Bellamy, autore di un saggio sulla crisi della cultura e della trasmissione del sapere dopo il ’68, e la giornalista Natacha Polony, che ha appena lanciato la sua web tv, Polony tv, dove prende a schiaffi la sinistra benpensante che non sa più interpretare il mondo e preferisce trincerarsi dietro le sue certezze anacronistiche. Gael Brustier, autore di À demain Gramsci, ha riassunto con una frase ciò che sta accadendo in Francia: «La sinistra ha vinto nelle urne, la destra nelle teste». Perché la gauche ha dimenticato Gramsci, mentre la destra lo ha riscoperto e ha capito che la vittoria della battaglia delle idee è preliminare a ogni presa di potere politico.
Infine, l’elezione di Macron, figlio della gauche rocardiana Michel Rocard, poco prima di morire, aveva affermato che «la sinistra stava perdendo la battaglia delle idee» ha ridato slancio anche ai pensatori liberali, tradizionalmente relegati alla periferia del dibattito in Francia. Eccoli qui: Robin Rivaton, 30 anni, fustigatore della tradizione colbertista francese nel saggio Quand l’État tue la nation e opinionista di punta del quotidiano liberale L’Opinion; Gaspard Koenig, 36 anni, ex speech writer di Christine Lagarde e animatore del think tank Génération Libre; Agnès Verdier-Molinié, egeria del pensiero liberale a Parigi da quando dirige l’influentissima Fondation iFrap e ha pubblicato il pamphlet antigiacobino On va contre le mur; Mathieu Laine, economista, consigliere ombra di Macron, autore del Dictionnaire amoureux de la liberté e traduttore francese dei discorsi di Margaret Thatcher. Il monopolio intellettuale della gauche, a Parigi, è oggi un ricordo sbiadito.