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 2017  agosto 30 Mercoledì calendario

Il caso «L. B. J.». Johnson, il burocrate cowboy che salvò l’America da se stessa

È in uscita, strombazzatissimo, L. B. J., film di Rob Reiner dedicato alla figura di Lyndon (Baines) Johnson, 38 ̊ presidente degli Stati Uniti. 
Non è il primo film sul successore di Kennedy, dato che negli anni 80 ci fu una miniserie con Randy Quaid;, ma è il primo in cui viene trattato in maniera totalmente positiva. Reiner ha preso in mano il copione di Joey Harstone («Uno dei più belli che abbia mai letto») coll’esplicita intenzione di riabilitare la memoria di Lyndon a 44 anni dalla morte, avvenuta nell’amato Texas nel 1973 e a 48 dalla sua uscita dalla scena politica. Un’uscita non gloriosa, col paese ancora nel guano del Vietnam. La guerra nel Sud Est asiatico che Johnson ereditò da Kennedy e dalla quale non riuscì a districarsi ha alimentato per decenni la fama di ’cattivo presidente’ del premier texano:«Johnson assassino di Kennedy e del popolo vietnamita» fu uno dei tanti slogan che fecero ubriacare la contestazione nostrana. Fu una fama immeritata secondo Reiner che ha concentrato il film negli anni dalla morte di Kennedy all’inizio dell’avventura vietnamita. Anni di grande presidenza. Vediamo Lyndon, impersonato da un altro texano doc, Woody Harrelson, prendere un paese ancora sotto shock dopo Dallas e fare cose che Kennedy non era riuscito a fare, come l’approvazione della legge sui diritti civili, come la lotta alla povertà che promosse nel suo programma «la grande società» appena fu presidente eletto e non subentrante. Ci riuscì perchè era un grande politico, per certi versi superiore al suo predecessore. Kennedy nei suoi tre anni di presidenza si trovò sistematicamente contro il senato USA che faceva a gara per bocciare le sue riforme. Johnson invece in Parlamento si muoveva come un re della foresta. Sapeva come formare le maggioranze, come cercare e trovare voto per voto. E trattare a ogni livello, trovare le parole giuste e convincenti per il reverendo Martin Luther King come con il governatore razzista dell’Alabama. Lasciò l’America in condizioni economiche migliori di cui l’aveva trovata. Ma quando lasciò nessuno sembrò accorgersene. 
Il Vietnam incombeva come una cappa plumbea sull’ex terra promessa dell’umanità. Alla fine del suo mandato LBJ aveva tutti contro. L’intellighenzia statunitense soprattutto. Broadway fece il tutto esaurito con un dramma satirico Macbird dove l’uomo del Texas veniva raccontato come una sorta di Macbeth (il Bird è un riferimento alla consorte di Lyndon conosciuta come Lady Bird). Un Macbeth che come quello scespiriano non esita davanti a nessun delitto pur di arrivare in cima alla scala del potere. Finchè nel finale non viene ucciso da Bobby Kennedy (ma sì) in un duello dove i contendenti sono acconciati come i samurai di Kurosawa. 
Johnson uscì di scena coll’immagine di sè stesso paludato in un’armatura giapponese. I suoi eredi per decenni hanno atteso che la sua storia fosse raccontata in un modo diverso. Vana attesa. In tutte le numerose cinebiografie di Kennedy, Lyndon è stato puntualmente raccontato come una figura opaca e un pò buffa, una specie di grosso cowboy, palesemente a disagio nei salotti kennedyani, sempre messo in minoranza nei vari incontri con John F. e un ostilissimo Bobby. Per ottenere un pò di giustizia, il presidente n. 38 ha dovuto aspettare il nuovo secolo. In Selma la strada della libertà dedicato alla marcia della pace del 1965, Lyndon non ci fa troppo brutta figura (per forza sta facendo votare la legge sui diritti). Ma la storia è vista dalla parte dei coloured. I meriti di L.B.J. , interpretato da un ottimo Tom Wilkinson sono riconosciuti a denti stretti. Ci voleva il film con Harrelson a proclamarli al mondo intero. Particolare curioso: Harrelson è figlio di un tale che nel 1964 millantò di aver ucciso Kennedy.