Libero, 30 agosto 2017
Baudelaire, il maledetto che seduce il mondo
«Insaziabile, e così avido/dell’ oscuro e dell’incerto...». Bastano due versi per lasciarsi abbagliare dalla fiamma di Charles Baudelaire, di cui ricorre un doppio anniversario: i 150 anni della morte (31 agosto 1867) e i 160 anni dei Fiori del male, stampati nel giugno 1857 e in agosto già finiti sotto il torchio della censura (risultato: 300 franchi di ammenda per l’autore, 200 per l’editore, 6 poesie da stracciare).
Inutile tergiversare, nella poesia c’è un prima e un dopo Baudelaire: I fiori del male restano un libro sconvolgente e modernissimo. Un canzoniere d’amore da vertigine. Il grido di un uomo in esilio, di quelli che «di pianti si abbeverano/e al seno del Dolore succhiano come una lupa», di quelli che vivono sull’orlo di una catastrofe permanente (la spleen per Walter Benjamin). E in prossimità delle ricorrenze fioccano le iniziative. In Francia esce una nuova monumentale biografia stilata da MarieChristine Natta, che ha già lavorato su Balzac, Dumas e Delacroix (Baudelaire, Perrin, pp. 550, euro 28). Aragno propone il carteggio Baudelaire/ Sainte-Beuve a cura di Massimo Carloni (Voi avete preso l’inferno Lettere e scritti, pp. 182, euro 15), Bietti rilancia la classica “vita” (1868) di Baudelaire scritta dal bibliofilo Charles Asselineau, che vegliò il poeta nelle ore estreme e pronunciò il discorso funebre a Montparnasse (Charles Baudelaire. La vita, l’opera, il genio, pp. 180, euro 15); la “Biblioteca di Via Senato” ha approntato un numero speciale della rivista con interventi, fra gli altri, di Giuseppe Scaraffia, Antonio Castronuovo, Massimo Cimmino (si può scaricare in Rete con un clic); infine, le edizioni Robin propongono la preziosa testimonianza di Nadar, che con i suoi scatti immortalò la Parigi dell’800 (Charles Baudelaire intimo: il poeta vergine, a cura di Ida Merello, pp. 96, euro 15). Proprio a Nadar dobbiamo lo splendido cammeo per la mulatta Jeanne Duval, la Venere nera che fece ammattire il poeta e che ritorna in ogni angolo dei Fiori: «Una grande, immensa ragazza che sorpassa di una buona testa l’altezza ordinaria...». Baudelaire il faro, Baudelaire lo spartiacque. Abbiamo chiesto lumi ad alcuni suoi “devoti”. Partiamo da Giuseppe Montesano, fresco vincitore del Viareggio con il suo Lettori selvaggi (Giunti) e curatore del Meridiano Baudelaire, nonché della biografia Il ribelle in guanti rosa (Mondadori): «Quando scopri Baudelaire non finisci mai di esaurirlo. Mi ha tenuto compagnia da quando avevo 14 anni. È stata la mia principale bussola di orientamento, studiarlo è stato come andare a scuola di bellezza, una bellezza petrosa, forte e resistente, non certo molle e decadente. Considero I fiori del male, come il primo libro della modernità, dopo Baudelaire la poesia diventa un’altra cosa». Le poesie preferite? A una passante e Il cigno».
Per il poeta Giuseppe Conte la lirica baudelairiana per eccellenza è, invece, L’uomo e il mare: «La più bella poesia sul mare degli ultimi tre secoli». Anche per lui fu amore a prima vista: «Incontrai i Fiori del male al liceo e ne fui rapito. Un amico mi regalò un’edizione con il testo a fronte e così iniziai a studiare il francese. Subii una vera e propria fascinazione. Mi colpiva la sua vita irregolare, la sua ribellione, il suo amore totale per Jeanne Duval, rimasi incantato dalla leggenda che lui scrivesse i suoi versi in inchiostro verde sulla pelle di lei».
Conte è stato in pellegrinaggio persino all’isola Mauritius dove il ventenne Baudelaire fece tappa verso Calcutta. E puntualizza: «Baudelaire è un poeta maledetto, ma è anche un poeta cristiano, sa che esiste il bene e il male e il suo punto di riferimento è sempre metafisico». Ma quando è tempo di leggere Baudelaire? «Quando devi scegliere cosa fare della tua vita, è il poeta del Destino...».
Baudelaire è decisivo anche per il poeta Davide Rondoni, che ha tradotto due volte I fiori del male (per Guaraldi e Salerno): «Sono un grande libro cristiano, come scrisse lo stesso Baudelaire alla madre. Lui si interroga sul senso del male e non cerca risposte facili con la sociologia o con i buoni sentimenti. È un autore
fuori dai canoni, perché non è facilmente etichettabile. Era sì “maledetto”, ma perché cercatore dell’assoluto, ricordava Verlaine. In Italia non è stato compreso a fondo perché mediato da autori troppo intrisi di scetticismo. Baudelaire è il poeta del doppio, un giorno descrive Parigi come un luogo meraviglioso e il giorno dopo la chiama bordello, e lo stesso fa con la donna, che può essere regina e puttana. I fiori del male sono costruiti su questo dualismo, da cui l’uomo non riesce a uscire con le proprie forze: non voleva che il tema del male venisse facilmente anestetizzato».
Fuori dal coro, e implacabile, il critico Cesare Cavalleri: «La parola definitiva su Baudelaire l’ha pronunciata il diciassettenne Arthur Rimbaud nella lettera del 15 maggio 1871 a Paul Demeny, a soli quattordici anni dalla pubblicazione delle Fleur: “Baudelaire è il primo veggente, re dei poeti, un vero Dio. Tuttavia è vissuto in un ambiente troppo “da artista”; e la forma da lui vantata è meschina: le invenzioni d’ignoto reclamano forme nuove. Ormai, il baudeleriano “Lusso, calma e voluttà” evoca solo divani polverosi dell’Orient Express, anche se il poeta si limitava a sognare un viaggio in Olanda con Marie Daubrun. Non è un caso che Matisse abbia scelto il citatissimo verso per intitolare uno dei suoi quadri più brutti, occasionalmente pointilliste».
Vale a dire, il nome Baudelaire squarcia la tela come in un’opera di Fontana. E a noi piace ricordarlo così, maledettamente assetato dell’Oltre. Bentornato Charles...