la Repubblica, 31 agosto 2017
«Dunkirk cancella i soldati indiani». Gli storici divisi sul film di Nolan
Due opposte letture hanno accompagnato l’uscita di Dunkirk, da oggi nelle nostre sale: il film di Christopher Nolan rilancia giudizi e punti di vista su una pagina coinvolgente del secondo conflitto mondiale. Da Londra prevale l’orgoglio ritrovato dello “spirito di Dunkirk”, sentimento composito che non di rado (senza celare intenti polemici) viene opposto alla fuga dal continente e dalle comuni responsabilità rappresentata dalla Brexit. La prima fase della guerra prende un segno opposto, quello della strenua resistenza di fronte all’offensiva hitleriana, nei cieli nella lunga e gloriosa battaglia d’Inghilterra e nella complessa operazione di salvataggio che in pochi giorni (tra il 26 maggio e il 3 giugno 1940) mette in sicurezza oltre 338 mila uomini (a bordo di quasi mille imbarcazioni e piccoli battelli di fortuna) rimasti intrappolati in una porzione di territorio nel Nord della Francia. Salvataggio e solidarietà come antidoto alle paure, alle chiusure nazionali a quella distanza che è ben più ampia del tratto di mare che divide le coste francesi dal sud dell’Inghilterra, il porto di Calais dalle scogliere di Dover.
Su un altro versante si alzano critiche di merito sull’assenza dal film del contributo delle divisioni indiane. Come è possibile dimenticare il ruolo degli indiani, un apporto decisivo al buon esito dell’operazione di salvataggio condotta nel porto francese? Un nervo scoperto messo in evidenza dalle parole di Yasmin Khan, storica docente a Oxford, autrice nel 2015 del volume The Raj at War. The Subcontinent and the Second World War: «La seconda guerra mondiale è stata combattuta dall’Impero britannico, non dalla sola Inghilterra». Diversi giornali e media indiani hanno rilanciato la polemica a partire dalla convinzione che «oggi l’opinione pubblica mondiale è molto più informata e consapevole sull’impegno delle truppe indiane nei conflitti mondiali» ( Times of India).
Argomenti che vanno ben al di là della dialettica sulle scene del film per chiamare in causa la lettura del conflitto, il peso delle diverse forze in campo, lo stesso significato controverso della vittoria finale alleata. Il richiamo esplicito al contributo indiano avrebbe consolidato il giudizio sulla centralità della presenza di soldati di varia origine e provenienza, secondo John Broich (storico alla Case Western Reserve University di Cleveland): «Anche un’immagine avrebbe favorito la rappresentazione corretta dell’Impero, dei diversi colori delle truppe, visto che il peso della partecipazione indiana segna la distanza e la differenza tra vittoria e sconfitta».
Ecco il punto dirimente. Quell’assenza non può passare inosservata, troppo rilevante il contributo indiano, troppo importante dar conto della composizione dell’impero per giungere al momento della sua crisi definitiva sancita proprio dagli esiti del conflitto e dai dispositivi delle Conferenze di pace. Le lunghe ombre della guerra si allungano fino al nostro tempo. È l’incontro tra gli eserciti e le popolazioni che scuote lo spettatore, lo conduce a un tempo lontano, richiama le ragioni di un’operazione militare in grado di gettare un ponte, una via di comunicazione e salvezza tra sponde e mondi divisi. Storie di ragazzi che s’incontrano per caso, in situazioni tragiche, cercando una via di fuga, un itinerario possibile per tanti come loro.
I numeri aiutano a dare un senso alle parole, anche alle polemiche, per non caricare il film di questioni che investono il dibattito storiografico. Durante il secondo conflitto mondiale sono circa due milioni e mezzo i soldati dell’esercito britannico provenienti dal subcontinente indiano. Quattro compagnie della Royal Indian Army Service Corps vengono impegnate sul fronte francese. Meno di duemila soldati con il compito di trasportare armi e munizioni facendo ricorso a quasi duemila muli, capaci di percorrere strade e zone non adatte a mezzi più rapidi. Il contingente indiano (Force K-6) viene mobilitato a Bombay (oggi Mumbai) e raggiunge Marsiglia nel dicembre 1939. Una compagnia viene catturata dai nazisti e trasferita in campi di prigionia all’interno del Reich. Tre sono coinvolte direttamente nell’operazione Dynamo a Dunkirk.
«Non credo che si possa immaginare un’esclusione volontaria, una dimenticanza costruita a tavolino o peggio una volontà censoria per riportare indietro gli orologi della storia», puntualizzano gli estensori di un appello comparso sulle colonne dell’Hindustan Times in risposta alle polemiche più accese. Meglio valutare il significato più pieno della pellicola: «Se Dunkirk è un riconoscimento al coraggio della gente comune e se gli indiani erano parte di quella gente, allora l’omaggio collettivo li riguarda, riguarda tutti contro gli orrori della guerra».