Corriere della Sera, 31 agosto 2017
Il derby delle generazioni. Così le età diventano lobby. Promesse e bonus per il popolo degli under 30
I sindacati sostengono le ragioni degli anziani, la Confindustria quelle dei giovani. La sintesi è sicuramente grossolana ma è utile per fotografare la vicenda economica italiana di fine estate. Incombono le scelte della legge di Stabilità e c’è il rischio che stavolta vada in onda una sorta di lottizzazione generazionale, quasi fossero lobby. Il coordinatore della segreteria del Pd, Lorenzo Guerini, lo nega e assicura: «Vedrete, faremo tutto. Anziani e giovani». Il governo per ora si è sicuramente speso per gli esami di riparazione del jobs act ovvero per prevedere una forma di decontribuzione selettiva per le assunzioni a tempo indeterminato degli under 29. Cgil-Cisl-Uil premono però per stoppare l’adeguamento dell’età pensionabile all’allungamento delle aspettative di vita e ribadiscono di guardare ai pensionati come loro stella polare. Il ministro Giuliano Poletti ieri ha giocato di contropiede e ha riproposto l’assegno minimo previdenziale per i giovani. Vedremo. Nella realtà di tutti i giorni le cose appaiono complicate. La Confindustria, ad esempio, preme per i giovani ma non ha ancora spiegato a sufficienza l’accentuato ricorso delle imprese ai contratti a termine negli ultimi trimestri. Perché si usa il welfare aziendale per stabilizzare la forza lavoro con i capelli grigi e invece non si utilizza lo stesso concetto per le nuove leve? Esiste sicuramente un gigantesco problema di cuneo fiscale ma viene superato quando si tratta di acquisire un buon clima in fabbrica, resta insolubile quando si devono ringiovanire i ranghi e in parallelo programmare la crescita del capitale umano.
Tra giovani e anziani – si sa – c’è una sproporzione di rappresentanza. L’ultimo Rapporto Censis titolava «Figli più poveri dei nonni, il k.o. economico dei giovani» ma i sindacati dei pensionati sono strutture robuste e allenate alla pugna, le segreterie di Cgil-Cisl-Uil ne subiscono l’influenza e la parte della sinistra più attenta ai temi del welfare è sicuramente anzianista. Viceversa i giovani – come aveva sottolineato già negli anni Trenta il sociologo Karl Mannheim – non sono «un gruppo concreto» ma tanti individui uniti solo dagli stessi anni di nascita. In più questa generazione non è ancora riuscita ad esprimere una sua forma di legame né a proiettare una sua rappresentazione. Lo stesso termine «millennials» con il quale viene identificata è di fatto frutto della cultura delle ricerche di mercato sugli stili di vita e i consumi. La verità è che per una serie di motivi che riportano alla bassa liberalizzazione delle élite, allo stop subito dalla mobilità sociale e dai rischi di sostenibilità del budget statale, il tempo medio di sostituzione tra anziani e giovani è aumentato e non riusciamo a modificarlo. Così un po’ tutti si rassegnano a concepire politiche risarcitorie e non a caso incontra grande fortuna lo strumento del bonus, protagonista di una stagione in cui si cerca di includere i giovani pagando generosi incentivi a chi questa operazione deve condurla in porto.
Non riuscendo a fare i conti fino in fondo con lo zoccolo duro della disuguaglianza italiana rischiamo che il divario generazionale diventi il buco nero capace di risucchiare tutti i nostri ritardi. L’esempio è quello del Sud: quella che una volta era la questione meridionale è diventata la questione demografica, come ha sottolineato a fine luglio la Svimez. I giovani più vivaci, per non dire i talenti, lasciano le città del Mezzogiorno e non tornano più. La lista delle cose da fare per riavvicinare le generazioni è lunga. Una, però, non è complicata da portare a casa ma siccome non investe direttamente le scelte politiche non è sufficientemente stimata. Parlo della trasmissione delle eredità che oggi troppo spesso arrivano dai nonni e dai padri ai figli con un timing sbagliato, quando cioè questi ultimi hanno già implementato le scelte decisive della loro vita e magari, non avendo le risorse necessarie, hanno rinunciato a frequentare un corso di alta istruzione, a fare un figlio in più, ad aprire un ristorante oppure a lanciare una start up tecnologica. Siccome una larga fetta della ricchezza dei seniores è di tipo immobiliare non è impossibile renderla liquida e favorire così la trasmissione ai giovani. È solo un passo ma nella direzione giusta.