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 2017  agosto 31 Giovedì calendario

L’evoluzione della politica europea ha allargato il fossato tra Est o Ovest

Anche nei suoi momenti migliori, quando il desiderio di integrazione sembrava maggiormente condiviso, l’Unione Europea ha dovuto permettere che alcuni Paesi avessero rapporti speciali e cercassero di mettere i loro partner, nelle questioni più complesse, di fronte al fatto compiuto di un accordo preliminare. Sapevamo che l’asse franco-tedesco aspirava a una sorta di leadership europea. Ma non potevamo dimenticare che una intesa fra i due Paesi ha molto spesso favorito un passo avanti sulla strada della unità.
Quello che è accaduto a Parigi negli scorsi giorni, tuttavia, è alquanto diverso. Il quartetto che il presidente francese ha presieduto nel palazzo dell’Eliseo (Francia, Germania, Italia e Spagna) non serve a spianare la strada verso soluzioni comunitarie. Serve a fare, in materia di immigrazione, ciò che altri Paesi della Ue, se fossero stati interpellati e coinvolti, non ci avrebbero permesso di fare. Senza dichiararlo esplicitamente, la riunione di Parigi ha detto al mondo che vi sono due Europe, di cui una desidera camminare più rapidamente sulla strada della sua unità.
Questa constatazione non dovrebbe sorprenderci. Sapevamo che l’allargamento agli ex satelliti dell’Urss, dopo la disintegrazione del sistema sovietico, è stato una operazione frettolosa, fortemente voluta soprattutto dalla Germania di allora e dai Paesi (fra cui la Gran Bretagna) che avrebbero volentieri ridotto l’Ue a una semplice zona di libero scambio.
S apevamo (o avremmo dovuto sapere) che fra il nucleo originale della Comunità Economica Europea (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi) e i quattro Paesi di Visegrád (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria) corre una fondamentale differenza. Noi abbiamo aderito a un progetto unitario per rinunciare, sia pure gradualmente, a quelle sovranità nazionali che erano responsabili di due conflitti mondiali. I quattro di Visegrád, invece, sono usciti dal sistema sovietico con la speranza di recuperare una sovranità perduta. Hanno chiesto di aderire alla Unione Europea perché garantiva sostanziosi aiuti economici e un più largo mercato del lavoro per i propri cittadini. Ma hanno affidato la loro sicurezza agli Stati Uniti e hanno con Washington relazioni più strette, per molti aspetti, di quelle che hanno con Bruxelles e con Strasburgo.
L’evoluzione della politica europea ha allargato il fossato che divide i due gruppi. Mentre i partiti euroscettici, nella Europa centro-occidentale, si scontravano con la resistenza delle tradizionali forze liberal-democratiche, il nazional-populismo trionfava soprattutto a Budapest e a Varsavia, con qualche inquietante manifestazione a Vienna. Mentre il Vertice di Taormina riservava al nuovo presidente americano una accoglienza tiepida e prudente, Varsavia riceveva Trump entusiasticamente e il governo polacco dava l’impressione di essere in totale sintonia con i suoi programmi di politica internazionale. Il rapporto con gli Stati Uniti sarà probabilmente il grande tema della politica europea dei prossimi anni. È difficile immaginare, in questa situazione, che le due Europe possano parlare all’America con una sola voce e continuare a fare parte di uno stesso progetto.
Questo non significa che l’Unione Europea sia necessariamente destinata a frantumarsi in nuclei diversi. Nel dicembre 1989, mentre la riunificazione tedesca era ormai a portata di mano, il presidente francese François Mitterrand propose la creazione di una confederazione di cui il blocco dei 12 Paesi già membri dell’Unione avrebbe fatto parte con i nuovi arrivati della Europa centro-orientale. Jacques Delors, allora segretario generale, spiegò la proposta di Mitterrand in questi termini: «Il presidente francese ha lanciato due idee: la prima è una confederazione europea di cui facciano parte tutti i Paesi che sottoscrivono i principi della democrazia politica e del pluralismo; la seconda è un colpo d’acceleratore per l’Europa a 12». Se fosse stata accolta, la tesi delle due Europe ci avrebbe risparmiato i molti inconvenienti di questa Europa dei 27, troppo grande ed eterogenea per condividere un futuro comune.
Oggi forse l’idea dei due cerchi concentrici è più difficilmente realizzabile di quanto fosse all’inizio degli anni Novanta. Ma esiste un’altra strada: quella delle cooperazioni rafforzate, previste dai Trattati di Amsterdam e Nizza quando almeno nove Paesi decidono di adottare un progetto comune. Non è una novità e può diventare la regola dei Paesi che non vogliono piegarsi alle pretese di chi desidera stare nell’Europa senza condividerne i principi e gli ideali.