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 2017  agosto 31 Giovedì calendario

Per la lirica conti migliori ma resta il nodo del debito

La possibilità di un nuovo maxi-prestito da parte del governo per ripianare (in tutto o in parte) il debito “monstre” che grava sulle fondazioni liriche italiane è tornato tema di attualità.
Se ne discute in Parlamento da mesi e non è escluso che l’ipotesi diventi una proposta concreta da inserire, magari, già nella prossima legge di Stabilità. Nell’attesa, i 14 teatri d’Opera italiani devono giocarsi la partita per la sopravvivenza nella gestione ordinaria, lavorando per raggiungere il pareggio di bilancio. E nel 2016 tutti sono riusciti a raggiungere questo obiettivo, sebbene con situazioni molto diverse tra loro, come risulta dall’analisi dei bilanci consuntivi dello scorso anno. Alcuni enti con utili poco più che simbolici, altri con somme più cospicue. Alcuni grazie a partite straordinarie che difficilmente potranno ripetersi, altri attraverso una solidità gestionale più strutturata e continuativa.
A quattro anni dall’introduzione della legge Bray – che ha concesso fondi statali per 148 milioni destinati a sanare almeno in parte il debito pregresso – anche le nove fondazioni che hanno aderito al programma di risanamento sembrano aver imboccato la via giusta. Lo ammette lo stesso commissario alla Lirica, Gianluca Sole, incaricato dal Mibact di monitorare il piano di rilancio, che ha appena finito di redigere la relazione semestrale sulle fondazioni aderenti alla Bray, alla luce dei consuntivi 2016: «I bilanci sono in ordine – osserva –. Segno che le amministrazioni sono entrate nella logica di una gestione più attenta ed efficiente. L’importante ora è garantire questo equilibrio anche per il futuro, rendendolo strutturale ed evitando ad esempio il ricorso a partite straordinarie non ripetibili».
Il problema del debito
Ma restano evidenti i problemi che appesantiscono queste macchine, assai costose e poco remunerative: gli utili, contenuti e fragili, non sono tali da creare margini con cui fare nuovi investimenti e affrontare il «problema dei problemi»: il debito pregresso. Che, peraltro, non riguarda soltanto le nove fondazioni in difficoltà, ma anche le cinque realtà “virtuose”, che da anni presentano conti in ordine, alta produttività e spettatori in aumento: la Scala di Milano e l’Accademia di Santa Cecilia (che dal 2014 hanno ottenuto anche l’autonomia gestionale), la Fenice di Venezia, il Regio di Torino e il Lirico di Cagliari. L’indebitamento complessivo delle 14 fondazioni ha superato nel 2016 i 431 milioni di euro, in calo rispetto ai 446,4 milioni del 2015, ma ancora in crescita rispetto ai 426 milioni del 2014 e ben superiore ai 340 milioni del 2012. È vero che i teatri possono contare anche su crediti cospicui e rilevanti patrimoni, soprattutto immobiliari. Ma è anche vero che si tratta di voci di difficile riscossione o monetizzazione, che dunque non possono tradursi – almeno nel breve termine – in liquidità per ripianare i debiti pregressi. «La legge Bray ha reso questo debito più sostenibile per le fondazioni in difficoltà – spiega Gianluca Sole – dato che ha consentito ai teatri che hanno aderito alla legge di saldare almeno i sospesi con le banche e dunque di avere più respiro nella gestione dell’ordinario. Ma certo non ha risolto il problema».
Risorse pubbliche e private
Per quanto riguarda le nove fondazioni “sotto osservazione” (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Opera di Roma, Trieste e Verona), la situazione dei conti è molto diversificata, così come il percorso di risanamento. «Alcune sono più in difficoltà, soprattutto per la mancanza di sostegno da parte degli enti locali e dei privati», fa notare Sole. Una mancanza che spesso riflette anche le condizioni socio-economiche del territorio in cui si trovano queste realtà. Se tutte hanno ritrovato il nero nei risultati d’esercizio, i bassi margini di redditività non consentono di fare quegli investimenti in termini di formazione, marketing e promozione che invece servirebbero per aumentare i ricavi “propri” (botteghino, incisioni, partnership, attività culturali ecc.) e, di conseguenza, incentivare l’intervento di privati e sponsor, in una sorta di circolo virtuoso che, a oggi, è lontano dall’essersi innescato. Spulciando i consuntivi 2016 delle 14 fondazioni, si nota che la voce “contributi privati in conto esercizio” resta assai limitata quasi per tutte, con un’incidenza ridotta sul valore della produzione. Unica eccezione significativa, la Scala di Milano, dove il sostegno di privati nella gestione dell’esercizio economico (tra soci fondatori, sponsor ed erogazioni liberali) ha sfiorato l’anno scorso i 23,8 milioni di euro, su un budget di 122,5 milioni.
Gli interventi possibili
«La struttura dei costi di queste realtà è molto rigida – osserva Sole –, soprattutto per quanto riguarda le voci di spesa per il personale. Il mio parere è che occorrerebbe intervenire sui contratti integrativi, lavorando su alcune voci premiali che dovrebbero essere maggiormente legate ai risultati. Potrebbe anche essere una leva per aumentare la produttività». E ancora: si dovrebbero creare delle economie di scala e aumentare sinergie e coproduzioni tra le fondazioni, per ridurre i costi. In base ai dati dell’ultima relazione sulle nove fondazioni aderenti al Piano, infatti, si nota che le alzate di sipario sono in genere aumentate, ma questo incremento di produttività non sempre si è trasformato in una maggiore redditività, perché appunto sono aumentate le spese. «Bisogna intervenire anche sui meccanismi generali di ripartizione del Fus, con l’obiettivo di premiare criteri di efficienza e produttività», aggiunge il commissario. Su questo punto, almeno, il nuovo codice di disciplina dello spettacolo (si veda articolo accanto) fa dei passi avanti. L’urgenza è «mettere in sicurezza la gestione ordinaria, per consentire ai teatri di migliorare la produttività senza creare altro debito».
La necessità di nuovi fondi statali
A quattro anni dall’avvio del risanamento della lirica italiana, un ulteriore intervento dello Stato per ripianare il debito sembra insomma necessario, come ammette lo stesso commissario. L’ipotesi del resto è già al vaglio di alcuni parlamentari e non è escluso che possa entrare nella prossima legge di Bilancio. Un nuovo “Fondo per la lirica” (di 300-400 milioni di euro da destinare a tutte e 14 le realtà lirico-sinfoniche) che potrebbe chiudere una volta per tutte la partita del debito e consentire alle fondazioni di ripartire senza questa zavorra.
A patto che si rispetti il criterio dell’equilibrio finanziario, come stabilito dalla legge 160 del 2016 (duramente contestata dai sindacati di categoria e dai dipendenti dei teatri lirici nei mesi scorsi). La legge prevede infatti il declassamento a “teatri di tradizione” per fondazioni che entro il 31 dicembre del 2018 (il termine, inizialmente fissato al luglio di quest’anno, è stato spostato) non rispetteranno una serie di parametri, che vanno dall’equilibrio finanziario al numero di produzioni. Non è solo una questione di etichetta o prestigio: in gioco ci sono anche i vantaggi e i fondi che lo Stato garantisce alla lirica.