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 2017  agosto 30 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL DISAGIO SOCIALE DETERMINATO DAI MIGRANTIREPUBBLICA.ITSi indaga per lesioni gravi

APPUNTI PER GAZZETTA - IL DISAGIO SOCIALE DETERMINATO DAI MIGRANTI

REPUBBLICA.IT
Si indaga per lesioni gravi. La procura di Roma ha aperto un’inchiesta sul ferimento di un uomo eritreo avvenuto la notte scorsa  al Tiburtino III, quartiere periferico della Capitale. Il pm che si occupa del caso, Alberto Galanti, indaga per lesioni gravi. A breve verrà designato un interprete per ascoltare l’uomo - accoltellato a un rene, ma fuori pericolo - che non parla italiano. L’eritreo è stato colpito nel corso di una rissa che ha visto coinvolti numerosi residenti del quartiere. Intanto i medici dell’ospedale Pertini, dove è stato portato in ambulanza, riferiscono che l’uomo presentava una lieve ferita da taglio sotto lo scapolare destro. Ricoverato, resterà in osservazione per 48 ore.

All’origine dei disordini un lancio di sassi, da parte del migrante, nei confronti di alcuni ragazzi che si trovavano vicino al centro d’accoglienza della Croce Rossa di via del Frantoio, da dove l’eritreo, fa sapere la Croce Rossa, era stato espulso a causa del suo carattere problematico. I ragazzi avrebbero quindi avvertito i parenti, i quali sarebbero poi giunti in massa davanti all’ingresso del centro dove è sfociata la rissa nel corso della quale il migrante è stato ferito.
  Roma, la polizia regola la tensione tra residenti e migranti del centro accoglienza al Tiburtino Condividi  
Ma sulla dinamica dei fatti circola anche un’altra versione. Una donna del quartiere racconta di essere stata  "sequestrata per un’ora" insieme al nipote di 12 anni "trascinata all’interno del centro per due volte e colpita". Ho avuto paura, pensavo di morire" racconta Pamela. "Loro erano in tanti, una cinquantina - aggiunge - mi sono coperta il volto e speravo che non facessero nulla di male al bambino". Una ricostruzione parzialmente smentita dai volontari della Cri, secondo cui nessuno sarebbe entrato all’interno del  centro, dal momento che i disordini sono avvenuti all’esterno. La donna sarebbe stata trattenuta dai migranti, in attesa delle forze dell’ordine e dell’ambulanza, allertati dai volontari che lavorano nella struttura. Sgombero Roma, viaggio tra i beni confiscati alla criminalità: alcuni in completo abbandono Condividi   E un altro residente ha aggiunto di essere stato "accerchiato da 40 persone mentre cercavo di liberare quella donna. Erano armati di bastoni e bottiglie. Ho rischiato di prendermi qualche coltellata". L’uomo ha quindi spiegato: "Mi hanno aggredito con tubi, con bastoni e anche un coltello noi eravamo in quattro contro 200 e a mani nude".

Ma un ragazzo originario del Gambia, uscendo dal centro di accoglienza di via del Frantoio racconta di conoscere l’eritreo ferito "perché prima viveva qui, è una brava persona. Vivo in questo centro da qualche mese, qui si sta bene purtroppo, però, quando succedono queste cose danno sempre a noi la colpa, non è giusto".

Intanto ha  trascorso la quarta notte nei giardini vicino ai Fori Imperiali, alle spalle della Prefettura di Roma, il gruppo di migranti ex occupanti del palazzo di via Curtatone sgomberato 10 giorni fa. Oggi è in programma la riunione di un Tavolo interistituzionale in Prefettura con Comune e Regione in cui si discuterà dell’emergenza abitativa nella Capitale.

VIDEO
C’è anche una voce fuori dal coro, quella di Tiziano, tra i residenti dell’area di via del Frantoio a Roma dove nelle scorse ore si è registrato un assalto al presidio umanitario gestito dalla Croce Rossa che accoglie i migranti. Il giovane infatti non ha esitato a prendere le difese degli ospiti del centro davanti agli attacchi degli altri residenti della zona. "Io li difendo? Certo, come difendo anche quelli del quartiere che fanno la fame e sono disoccupati. Io difendo chi è povero", ha risposto Tiziano ad una donna che gli contestava di aver preso le parti dei migranti nel corso di un diverbio piuttosto concitato.

IL CASO DELLA FOTO

Da ieri circola su Facebook e Twitter una falsa foto che viene descritta da chi la diffonde come l’identikit delle quattro persone che la notte di sabato 26 agosto, sulla spiaggia di Rimini, hanno violentato una ragazza polacca e picchiato il suo fidanzato. Tra i primi a pubblicare la foto, ieri, c’è stata la giornalista Chiara Giannini, che scrive per il Giornale, sulla sua pagina Facebook, dove aveva scritto: «Ed ecco i quattro stupratori di Rimini. Belle faccine. Se li vedete? Per me potreste iniziare a portarli in piazza, davanti agli italiani».

Il giornale online Riminitoday ha subito fatto notare che la fotografia era stata pubblicata sul suo sito un anno e mezzo fa e ritrae in realtà quattro persone arrestate nel marzo del 2016 per un caso di spaccio. Giannini ha rimosso la foto e pubblicato un video in cui si difende e dove spiega che la foto le era stata passata da una fonte della polizia che lei riteneva affidabile. Non sembra una ricostruzione particolarmente plausibile: la foto pubblicata da Giannini reca impressa la scritta “RIMINITODAY”, come se fosse stata presa direttamente dal sito.

La sera di martedì, nonostante le smentite, lo psicologo e personaggio televisivo Alessandro Meluzzi ha ripreso la fotografia su Twitter.

I nuovi italiani stupratori di Rimini accolti e integrati dai buonisti cattocomunisti! Adesso basta davvero con questi schifosi subanimali! pic.twitter.com/F2h4CDAbyh

— Alessandro Meluzzi (@a_meluzzi) August 29, 2017

Poco dopo averla pubblicata, Meluzzi ha riconosciuto che non si trattava della fotografia dei quattro sospettati di stupro, ma non ha ancora cancellato il tweet originale.


Nel 2011 il dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti ha concluso che l’ufficio di Arpaio – che aveva giurisdizione nella contea di Maricopa – aveva condotto una delle peggiori campagne di discriminazione verso i latinoamericani nella storia degli Stati Uniti. Gli agenti di Arpaio erano noti per fermare e molestare persone latinoamericane solamente in base alla loro etnia o alla scarsa conoscenza dell’inglese, e imprigionarli senza motivo in condizioni che violavano i diritti umani. L’indagine del dipartimento della Giustizia è stata avviata nel 2008, ma si pensa che gli abusi e le violenze siano cominciati molti anni prima e che siano andati avanti per tutto il suo mandato. Arpaio è stato in carica dal 1993 ed è stato rieletto altre cinque volte, quasi sempre con un ottimo margine. Ha perso la rielezione nel novembre del 2016 contro il suo avversario Democratico. Oltre alla sistematica discriminazione dei latinoamericani, Arpaio è noto per altre attività che variano dal bizzarro al disdicevole al terribile.

L’ITALIA HA FATTO UN ACCORDO CON I TRAFFICANTI?

ILPOST

Un’inchiesta pubblicata ieri da Associated Press ipotizza che per fermare il flusso di migranti dal Nord Africa il governo italiano abbia stretto degli accordi con due potenti milizie libiche che solo qualche tempo fa erano direttamente coinvolte nello stesso traffico. Il governo italiano ha smentito di avere un accordo di questo tipo e rispondendo ad AP ha detto che «non negozia con i trafficanti». L’inchiesta sembra comunque molto solida e cita molte e varie fonti, fra cui il portavoce di una delle due milizie coinvolte che ha confermato l’accordo con le autorità italiane.

L’approccio del governo italiano in Libia – un paese che da circa cinque anni non ha un governo funzionante, e che è diventato la tappa finale di decine di migliaia di migranti diretti in Europa – è stato molto lodato dagli altri paesi europei, e dal punto di vista dei numeri sta portando dei risultati. Nell’agosto 2017 sono sbarcati sulle coste italiane solo 3.507 migranti, contro i 21.294 dell’agosto 2016. In molti però hanno criticato il governo italiano per aver stretto accordi con partner poco affidabili come il governo di Fayez al Sarraj, che controlla quasi solo il territorio della città di Tripoli, e la sua Guardia costiera, un’accozzaglia di bande armate che è difficile descrivere come un unico corpo di polizia. L’inchiesta di Associated Press porta le accuse al governo italiano a un altro livello: lo accusa di aver saltato l’intermediazione di Sarraj e aver stretto accordi direttamente con gli stessi personaggi che fino a poco tempo fa erano in combutta con i trafficanti.

In Libia le milizie armate hanno riempito il vuoto di potere che si è creato dalla caduta del regime di Gheddafi: secondo Nancy Porsia, giornalista esperta di Libia, oggi fanno parte di un sistema che «permea tutta la struttura della società» libica. Fra le altre cose le milizie controllano anche i centri di detenzione per migranti (dove i diritti umani vengono sistematicamente violati).

Le due milizie di cui parla Associated Press si chiamano “Martire Abu Anas al Dabbashi” e “Brigata 48” ed entrambe hanno la sede a Sabratha, una piccola città non distante da Tripoli che negli ultimi mesi è diventata il principale punto di partenza dei barconi e gommoni dei migranti. La prima milizia è sicuramente nota ai funzionari italiani: dal 2015 si occupa della sicurezza dell’impianto di Eni per l’estrazione di petrolio nel vicino paese di Mellita. La seconda è stata oggetto di un’inchiesta di Reuters pubblicata il 21 agosto, che descriveva l’efficacia della campagna anti-trafficanti in corso a Sabratha. I capi delle milizie sono due fratelli che provengono dal clan che controlla la città, quello dei Dabbashi.

Cinque fonti fra funzionari di sicurezza e attivisti hanno confermato ad Associated Press che entrambe le milizie erano coinvolte nel traffico di migranti: una di loro ha definito i fratelli Dabbashi i “re del traffico di migranti” a Sabratha. «I trafficanti di ieri sono le forze anti-trafficanti di oggi», ha raccontato una fonte di sicurezza libica sentita da Associated Press. Non sarebbe l’unico caso di autorità libiche coinvolte in questi traffici: secondo un recente rapporto dell’ONU (PDF) il capo della Guardia costiera di Zawiyah, una città vicino a Sabratha, è contemporaneamente a capo di una milizia in combutta coi trafficanti. In questa storia c’è anche un dettaglio piuttosto inquietante: secondo il giornalista del Foglio Daniele Raineri, la stesso clan Dabbashi aveva espresso anche il capo locale dello Stato Islamico, Abdullah “Abu Maria” Dabbashi, poi ucciso ad aprile.

Abdel Salam Helal Mohammed, un dirigente del ministro degli Interni del governo di Tripoli che si occupa di immigrazione, ha raccontato che l’accordo è stato raggiunto durante un incontro fra italiani e membri della milizia Al Ammu, che si sono impegnati a fermare il traffico di migranti (cioè loro stessi o dei loro alleati, in sostanza). Dell’incontro aveva parlato anche la giornalista Francesca Mannocchi in un articolo pubblicato da Middle East Eye il 25 agosto, senza però trovare conferme ufficiali. Anche il portavoce di Al Ammu, Bashir Ibrahim, ha confermato ad Associated Press che circa un mese fa entrambe le milizie hanno stretto un accordo “verbale” col governo italiano e quello di Sarraj per fermare i trafficanti. Sempre secondo Bashir, l’accordo prevede che in cambio del loro aiuto le milizie ottengano soldi, barche e quello che Associated Press definisce “equipaggiamento” (non è chiaro se si tratti o meno di armi).

L’accordo è stato confermato anche da due attivisti locali che si occupano dei diritti umani dei migranti, che hanno aggiunto che le stesse milizie hanno preso il controllo della prigione della città per ospitare i migranti bloccati e che stavano preparando una pista d’atterraggio nei pressi dell’ospedale per ricevere aiuti umanitari dall’Italia. Sulla sua pagina Facebook, Daniele Raineri ha pubblicato una foto dell’ambasciatore italiano in Libia Giuseppe Perrone vicino a “un aereo carico di aiuti medici italiani” atterrato il 16 agosto in città. Una settimana dopo, il ministero degli Esteri italiano ha fatto sapere di aver consegnato 5.000 “kit igienico-sanitari e di primo soccorso per migranti” alla città di Zuwara, mentre non viene citata alcuna consegna avvenuta a Sabratha.

«Quello che gli italiani stanno facendo a Sabratha è davvero sbagliato», ha raccontato ad Associated Press uno degli attivisti contattati, Gamal al Gharabili: «state accrescendo il potere delle milizie».

Continua  l’atmosfera di tensione in via del Frantoio a Roma, nel periferico quartiere Tiburtino. Nella notte alcuni residenti hanno preso d’assalto il centro d’accoglienza per migranti della Croce Rossa e durante gli scontri un uomo eritreo è rimasto ferito. Anche nel corso della mattinata, alcuni abitanti hanno avvicinato tre richiedenti asilo che uscivano dal centro con fare minaccioso e intimidatorio. L’intervento delle forze dell’ordine, schierate davanti all’ingresso dello stabile, ha impedito che la situazione degenerasse.

Roma, Mariani (Croce Rossa): "Tensioni iniziate fuori da presidio. Donna sequestrata? Non ci risulta"

Così il direttore della Croce Rossa di Roma, Pietro Giulio Mariani, parlando dell’assalto della scorsa notte al centro di via del Frantoio. "Dalle informazioni che abbiamo raccolto finora emerge che le tensioni sono avvenute all’esterno del presidio umanitario. Il migrante ferito è arrivato successivamente nella struttura - ha detto - Donna sequestrata? Non smentisco nulla, ma i nostri operatori non ci riportano episodi di sequestro. E questo non è il modo in cui operiamo".


Pamela è la donna al centro della vicenda dell’assalto al presidio umanitario della Croce Rossa in via del Frantoio a Roma. Intervistata a patto di non mostrare il proprio volto, la donna ricostruisce la sua versione dei fatti. "Un ragazzo di colore ha lanciato dei sassi contro i miei bambini e io sono andata a vedere chi era e cosa voleva. A quel punto hanno chiuso me e un bambino di 12 anni nel centro accoglienza e non volevano farci uscire - afferma -. Sì, mi sono scontrata con il migrante ma come si sia ferito non lo so, non ne ho idea. Forse tra di loro". La donna riporta alcune ferite, in particolare graffi e lividi, su parti del corpo, come braccia, gambe e addome.


MINNITI E LA TENUTA DEMOCRATICA


"Ad un certo momento ho temuto che, davanti all’ondata migratoria e alle problematiche di gestione dei flussi avanzate dei sindaci, ci fosse un rischio per la tenuta democratica del Paese. Per questo dovevamo agire come abbiamo fatto non aspettando più gli altri paesi europei". Così parla il ministro dell’Interno Marco Minniti alla Festa dell’Unità di Pesaro.

"Quando il 29 giugno sono arrivati 12 mila 500  migranti in sole 36 ore su 25 navi diverse", ha ricordato il capo del Viminale, "la situazione era davvero difficile e io quel giorno sono dovuto tornare subito dell’Irlanda. Non potevamo continuare a gestire in questo modo i flussi migratori e abbiamo agito in modo nuovo. Ora l’Europa ci ringrazia per questo. Il Mediterraneo centrale e tornato al centro dell’attenzione dell’Unione europea".

Quanti soldi servono per fermare il flusso migratorio? è stato chiesto al ministro dell’Interno: "Almeno quanto è stato speso per la rotta dei Balcani: 3 più 3 miliardi". Ma Minniti aggiunge anche: "Se un uomo fugge da guerre e carestie io ho il dovere di accoglierlo come Dio comanda". Quanto ai rapporti con la Libia,  "il traffico di esseri umani è attualmente la principale attività economica in alcune realtà del paese, a cominciare da Sabrata. Per combatterlo occorre fornire sostegno ai sindaci dalle città libiche costruendo con loro percorsi alternativi che li aiutino a realizzare uno sviluppo futuro diverso e stabile".

"Sono rimasto positivamente stupito - ha aggiunto - dal livello dei masterplan che ci hanno presentato a Tripoli nel luglio scorso i sindaci delle 14 citta della Libia che abbiamo incontrato insieme ai delegati dell’Anci. Per questo dico loro che se ci auteranno nella lotta al traffico dei esseri umani e nella gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa centrale noi li sosterremo nella creazione di un circuito economico nuovo nei loro territori". Minniti ha affermato anche che l’Organizzazione mondiale per i migranti ha attuato in Libia, dal gennaio al giugno di questo anno il rimpatrio assistito di 5 mila rifugiati che sono tornati nei paesi di origine. "E’ ancora poco - ha sottolineato il ministro - ma questo significa che il sistema puo funzionare. Complessivamente, la stessa Oim ha salvato fino ad ora 10 mila persone". Migranti, Gentiloni: ’’Oggi un primo passo avanti, ma serve una strategia comune’’ Condividi   Si parla anche della legge sullo Ius soli, che il ministro auspica di "approvare subito, una legge di civiltà". Sottolineando che "il problema dell’immigrazione non c’entra nulla con questo progetto, ed è particolarmente ponderata. E’ elemento importante della politiche di integrazione e favorisce la creazione di un paese più sicuro non più debole. Sullo ius soli si gioca il futuro del nostro paese", ha aggiunto Minniti: "Quelli che hanno colpito in Europa negli ultimi attentati non venivano da fuori ma erano persone non integrate nei loro sistemi. Se vogliamo più sicurezza", ha rimarcato il ministro dell’Interno, "dobbiamo fare meglio e non far aspettare 18 anni per dare la cittadinanza a ragazzi che sono italiani". Condividi   "L’Italia è a rischio attentati?" è la domanda diretta al ministro. Che risponde: "Partiamo dal presupposto che io sono scaramantico, e quindi ’mai dire mai’, però ricordiamoci che, a differenza di tutti gli altri Paesi, l’Italia viene da due vittorie: abbiamo sconfitto il terrorismo interno e il terrorismo mafioso, quando la mafia decise di mettere le bombe. I responsabili di quelle decisioni sono tutti al 41 bis. E poi - ha aggiunto - abbiamo la migliore polizia, e non lo dico io, sarebbe facile, lo dicono i nostri partner internazionali".


spedizione punitiva

i maghrebini di rimini

boldrini

le donne stuprate godono

FRASE MINNITI SU TENUTA DEMOCRATICA


Verso le 4 di sabato mattina due polacchi 26enni in vacanza a Rimini vengono avvicinati in spiaggia da quattro uomini che picchiano lui e violentano lei. I quattro poco dopo stuprano una donna trans. Gli aggressori sono stati ripresi da telecamere di sorveglianza: sono giovani di pelle olivastra, due con il cappuccio della felpa in testa e dunque meno riconoscibili. L’aspetto è di persone non trasandate ma curate. I sospettati sono una quindicina. tutti nordafricani in prevalenza tunisini e algerini. L’ipotesi è che si tratti di persone che fanno uso di sostanze stupefacenti e che spacciano. Ci sono due testimoni che quella sera li avrebbero viste. Ed è emerso che un’altra coppia (due trentenni di Varese in vacanza) è stata rapinata e molestata in maniera analoga due settimane prima.

Rimini - Continuano le indagini riguardo gli stupri sulla spiaggia del Bagno 130 di Miramare tra sabato e domenica scorsi: una delle vittime, la transessuale peruviana, ha riconosciuto senza ombra di dubbio i quattro del branco che hanno abusato di lei, che hanno stuprato una ragazza polacca e picchiato e rapinato l’amico.

Negli ambienti investigativi vige il massimo riserbo ma sembra che la donna abbia visto le immagini elaborate dalla polizia scientifica e squadra mobile e abbia senza dubbio identificato gli aggressori.

Intanto in queste ore in tribunale a Rimini si sta tenendo un incontro tra squadra mobile magistrati italiani e polacchi. Le autorità polacche con rogatoria internazionale hanno chiesto di poter accedere gli atti. I due turisti polacchi (ancora in ospedale, pare saranno dimessi lunedì) saranno nuovamente verbalizzati dagli agenti italiani e polacchi.


Sul caso dello stupro di Rimini è intervenuto anche Alessandro Meluzzi, vescovo ortodosso. Un tweet durissimo e scomposto in cui mette nel mirino gli stupratori, definiti "schifosi subanimali". A corredo del tweet, anche una fotografia, che per Meluzzi era le foto-segnaletica degli stupratori. Tutto sbagliato, come ha fatto notare Enrico Mentana su Facebook: "Le foto riguardano arresti compiuti diversi mesi fa in un’operazione anti-spaccio". Dunque il direttore definisce quelli come Meluzzi "odiatori professionali".

Di seguito il tweet di Meluzzi:

I nuovi italiani stupratori di Rimini accolti e integrati dai buonisti cattocomunisti! Adesso basta davvero con questi schifosi subanimali! pic.twitter.com/F2h4CDAbyh

— Alessandro Meluzzi (@a_meluzzi) 29 agosto 2017

ROMA Sullo stupro di Rimini si inasprisce lo scontro politico. Ed è la presidente della Camera Laura Boldrini a farne le spese. Prima l’auspicio del leghista pugliese Siorini che presto una cosa così possa accadere anche a lei e alle donne del Pd, poi la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni avanza il sospetto che dietro il silenzio della Boldrini sulle violenze ci sia «una difesa ideologica dell’immigrazione di massa» e «del multiculturalismo», in ragione della presunta origine nordafricana dei colpevoli.

«La donna che ricopre il più alto incarico della Repubblica italiana non ha nulla da dire sui gravissimi stupri di Rimini commessi da un branco di vermi magrebini?», la chiama in causa Meloni. Alla fine Boldrini rompe il silenzio, intervistata da Repubblica.it : «Io trovo agghiacciante il livello del dibattito di questi giorni. Come se la gravità della violenza dipendesse da chi la mette in atto o da chi la subisce». Poi accusa «chi è a capo di un partito politico o di un movimento» degli insulti che ogni giorno le vengono rivolti sul web: «Se apre la strada a tutto questo ne porta anche la responsabilità. Poi non c’è da meravigliarsi che altri seguano. Stanno toccando il fondo».

In sintonia con Meloni, anche Maurizio Gasparri, per il quale la condanna di Boldrini è «tardiva ed elusiva». Mentre sinistra e Pd attaccano Meloni: Arturo Scotto (Mdp) si dice «schifato», per Barbara Pollastrini sono «offese stupide» e Valeria Valente (Pd) accusa di «sciacallaggio sulle vittime» e «istigazione dei più bassi istinti razzisti del Paese per ottenere qualche voto in più» .

M. D. G.