La Stampa, 30 agosto 2017
Non si vive di sole novità il lettore vuole anche i classici. Intervista al libraio Guido Ciarla
Guido Ciarla, classe 1980, è un libraio ibrido. Mi spiego: nella natia Velletri, dove nel corso di questa calda estate 2017 si è inventato dal nulla il Festival Velletri Libris, ha aperto 14 anni fa una libreria Mondadori. Ma pur essendo un libraio «di catena», come usa dire in questi casi, si comporta da libraio indipendente. Basta mettere piede nella sua libreria, 240 metri quadri di cui 40 soppalcati e dedicati alla lettura (avete capito bene: qui i clienti possono entrare, prendere un libro, accomodarsi di sopra tra i volumi di fotografia e le guide turistiche e leggere) per rendersene conto. Ecco lo scaffale Adelphi, dove non si trovano solo le novità ma proprio il catalogo, e lo stesso vale per Fazi, Marcos y Marcos, Iperborea...
Signor Ciarla, ma è sicuro di quello che fa?
«Guardi, ho aperto questa libreria che avevo 24 anni. La mia non era una famiglia di librai, ma fin da bambino e poi da ragazzino amavo tantissimo leggere, ed ero ancora adolescente quando ho cominciato a sognare di fare il libraio. Mi rendevo conto che non si trattava di un’impresa facile: il libraio storico della città, il signor Mario Pieralice, andò in pensione nel 1997, e le sue figlie proseguirono l’attività in un centro commerciale. Io però ci credevo, e credevo nel fatto che Velletri dovesse avere una libreria in centro. Così ho cominciato a guardarmi attorno, consapevole che con le mie sole forze non avrei potuto farcela. Sentii in un primo momento Feltrinelli, che però all’epoca non prendeva in considerazione centri al di sotto di un certo numero di abitanti. E allora mi rivolsi a Mondadori».
Che 14 anni fa non era ancora il moloch del panorama editoriale italiano e che però era già un colosso. Che le dissero da Segrate?
«Lì per lì erano un po’ perplessi. Mi sentii chiedere: è sicuro di voler aprire una libreria proprio lì? Sì, risposi. E lo feci con tanta convinzione che alla fine accettarono la scommessa. In un primo momento avevamo anche il bar, con una sala da tè. Ma con tutti i libri che escono occupava troppo spazio. Così siamo arrivati a un felice compromesso, grazie alla sala lettura ricavata col soppalco».
Ma in Mondadori lo sanno che lei ora sta esaminando a una a una tutte le novità in uscita sotto Natale del Saggiatore, anziché limitarsi a recepire le ordinazioni stabilite da Milano in base ai dati di vendita pregressi?
«Certo che lo sanno. E sanno pure che con certi editori indipendenti lavoriamo benissimo, non solo qui a Velletri ma anche nel secondo punto che abbiamo aperto a Lariano, un piccolo centro di appena 12.000 abitanti dove però c’è un pubblico di lettori che compra i titoli di Iperborea, Fazi, Adelphi. È per questo motivo che poco fa stavo esaminando a una a una le schede novità del Mulino e che ora faccio lo stesso col Saggiatore: è evidente che certi editori non fanno i numeri di altri, ma se il libraio li propone ai lettori, scegliendo con cura i titoli e magari esponendoli in un certo modo, poi si hanno delle belle soddisfazioni».
Ma nelle librerie di catena non dovete affittare tutti gli spazi, dalle vetrine ai punti strategici del negozio come il primo bancone o la zona della cassa? Cosa che tra l’altro omogeneizza tutto, il lettore entra in dieci librerie e ne esce con l’impressione di averne vista una sola.
«Io qui faccio di testa mia. Le spiego. L’anno scorso il settore dei libri storici ha avuto una flessione. Noi in teoria dovremmo esporli in ordine alfabetico, suddivisi per periodi storici. Ma i lettori ci si perdevano. Così ho deciso di dedicare uno spazio privilegiato alle biografie, e di esporre i titoli per temi. Nel giro di tre mesi abbiamo incassato quanto avevamo fatto durante tutto l’anno scorso. Lo stesso vale per i libri per bambini e per ragazzi, che da sempre hanno uno spazio importante. E già che ci siamo, posso dire una cosa sui giovani?».
Dica.
«In questo Paese vige la vulgata secondo cui i giovani non leggono. Per cui, per acchiapparli, ecco che gli editori rincorrono lo youtuber o il rapper di turno. Errore. Siamo noi i primi che dobbiamo credere in quello che proponiamo e dare valore ai libri che pubblichiamo e vendiamo. Lei non ha idea di quanti giovani frequentino questa libreria: il sabato pomeriggio, ovvero il momento più affollato, su 100 scontrini 90 sono di under 35. E si tratta di lettori che ti vengono a chiedere non solo le novità, ma il catalogo, i classici. Non soltanto perché glielo hanno detto a scuola».
Un libraio di catena che perora la causa del catalogo? Quello stesso catalogo che i maggiori editori rispetto a un tempo non di rado trascurano?
«Sì. Perché, vede, non possiamo pensare di vendere sempre e solo novità. Sempre le stesse, poi. Libri che paiono fatti in serie, uno uguale all’altro. È anche per questo che il numero dei lettori negli ultimi anni è diminuito. Il lettore è comprensibilmente stanco di un’offerta apparentemente molto ricca ma in realtà assai omogenea. E il catalogo è un valore, rispetto alle novità: oggi un libro appena uscito in libreria dura sì e no tre o quattro settimane, poi se non rende viene espulso dal mercato. Lo vede lo scaffale Einaudi? Mica posso tenere solo le novità di un editore così, devo avere anche De Lillo, Roth, McEwan. Ma lo stesso vale per Eliot».
Lei sa che uno dei grandi motivi di discussione e di contrasto tra gli indipendenti e i maggiori editori sono le campagne promozionali, con sconti che le piccole librerie non possono assolutamente permettersi.
«Certo. E che senso ha scontare un libro del 30 o del 50% come all’autogrill o al supermercato? Facendo così si svaluta innanzitutto il lavoro dell’autore. Da noi certe campagne non le facciamo».
Com’è la sua settimana lavorativa?
«Ogni settimana da Mondadori riceviamo le proposte di tutti gli editori. La casa madre suggerisce i titoli e le quantità in base allo storico. L’idea è di aiutare il libraio. Ma solo il libraio conosce davvero i lettori che frequentano la sua libreria. Per questo controllo ogni scheda. Se non avessi fatto così, non avrei mai avuto la soddisfazione di lavorare così bene come stiamo facendo con Passigli, per esempio, di cui vendiamo molto bene la collana di poesia».
E il festival?
«Non credevano nemmeno a quello. Invece questa prima edizione si è rivelata un successo. Già ci arrivano richieste per ospitare nuovi autori il prossimo anno, anche da parte di chi mesi fa era scettico».
È così, il mestiere di libraio: crederci sempre, non mollare mai. Ah già, questo era lo slogan dell’Isola dei Famosi. Amen.