La Stampa, 30 agosto 2017
Postazioni di lancio mobili e testate nucleari. Kim sfida il fuoco e la furia di Trump
Mirare al Giappone per colpire Trump. Kim Jong-Un alza il tiro ad altezza uomo passando dalle provocazioni alle (tentate) aggressioni. E lo fa su due dimensioni, quella balistica e quella diplomatica. Si tratta di un salto di qualità per il tipo di vettore utilizzato, il Hwasong-12, missile a raggio intermedio in grado di essere armato con testata nucleare, e con gittata variabile tra 3.700 e 6 mila km. Il test sarebbe stato effettuato proprio per valutare la capacità del missile di trasportare testate atomiche – di cui Pyongyang dispone – e farle resistere agli enormi livelli di calore provocati dal rientro nell’atmosfera. L’Hwasong-12 è alimentato da propellente liquido, e utilizzabile su piattaforme che possono essere anche mobili. Come quella da dove è partito – ed è questo l’altro elemento rilevante – da una postazione nei pressi dell’aeroporto internazionale della capitale e non in uno dei soliti siti nel nordest del Paese.
Il regime voleva mostrare flessibilità logistica e al contempo che un eventuale attacco preventivo Usa ai siti balistici fissi individuati dai satelliti potrebbe non bastare per neutralizzare la potenza di fuoco.
Il terzo elemento che emerge è che Hwasong-12 potrebbe essere lo stesso missile impiegato per un eventuale raid balistico sull’isola di Guam, obiettivo del minacciato attacco di Ferragosto. Quarto elemento da considerare: è la terza volta che un missile nordcoreano passa sopra il Giappone, dopo il 1998 e il 2009, per mettere alla prova del neopresidente Barack Obama. Ma in entrambi i casi la quota a cui hanno viaggiato i due vettori era diversa tanto che Pyongyang parlò di lancio in orbita di satelliti. Questa volta l’obiettivo è Donald Trump che solo qualche giorno fa aveva ribadito la promessa di «furia e fuoco» in caso di nuove provocazioni pericolose di Kim. E proprio quando si pensava che la voce grossa e le sanzioni dell’Onu avessero sortito gli effetti sperati, il giovane leader ha alzato il tiro. Anche a livello diplomatico, con una lettera resa pubblica ieri sera, in cui l’ambasciatore nordcoreano all’Onu, Ja Song-nam, chiede al presidente del Consiglio di sicurezza, l’egiziano Amr Abdellatif Aboulatta, di calendarizzare una discussione sulle esercitazioni congiunte nella regione che gli americani usano per gettare «benzina sul fuoco».
Sono 80 i lanci condotti da quando Kim è presidente, 18 nel solo 2017. Il padre Kim Jong-il ne aveva fatti 16 in 17 anni al potere. L’escalation riflette – sembra – un irrigidimento della situazione interna con il manipolo dei militari che controllano il potere, inclini a creare un vero clima di terrore nel quale prosperano e fanno cassa. E col giovane leader ostaggio delle fobie complottistiche. La dimostrazione è nel fatto che la moglie Ri Sol-ju, ha avuto il terzo figlio questo inverno nel silenzio generale, nulla si sa nemmeno del sesso. Ultimo elemento da considerare è che il lancio di arriva dopo i missili a corto raggio sparati nell’arco di 30 minuti: uno è esploso subito, gli altri due hanno percorso circa 250 chilometri. Una successione che potrebbe far pensare come la prossima mossa di Kim potrebbe essere il lancio di un missile intercontinentale, come quello del test del 28 luglio, ma questa volta utilizzando un’angolatura meno pronunciato verso l’alto.