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 2017  agosto 30 Mercoledì calendario

No a dollari e greggio. I mercati si rifugiano su oro, euro e rame

NEW YORK A fare impazzire i mercati delle materie prime ora ci si mette anche Harvey. Il Texas infatti concentra la maggior parte delle infrastrutture americane di trasporto e raffinazione del petrolio e dei suoi derivati. La tempesta tropicale ha provocato fino a ieri la chiusura di almeno il 16% delle capacità texane. La conseguenza sui prezzi è divergente. Da una parte schizzano al rialzo quelli dei prodotti raffinati, come la benzina alla pompa, in previsione di penurie. Dall’altro lato invece cala il petrolio perché uno shock come Harvey equivale a una riduzione immediata della domanda di greggio.
Ma i disastri di Harvey dovrebbero attenuarsi nel tempo (almeno si spera). Altre tendenze invece durano da mesi: il netto rafforzamento dell’euro, la corsa all’oro come bene rifugio, il rialzo generalizzato di materie prime come il rame e altri metalli. È uno scenario nuovo, con aspetti paradossali: l’inflazione dei prezzi al consumo resta bassissima (sotto il 2% auspicato dalla Federal Reserve negli Usa e dalla Bce in Europa) ma quella delle materie prime è ripartita alla grande. Inoltre i rapporti tra le valute sono segnati da una debolezza di fondo del dollaro. Ieri l’euro ha nuovamente raggiunto quota 1,20 sulla moneta americana: quest’ultima ha toccato i minimi dal gennaio 2015. Inoltre per la durata dei ribassi consecutivi del dollaro siamo al record degli ultimi 14 anni. Non è solo l’euro a rafforzarsi, in realtà l’euro è solo uno dei tanti bene- rifugio che gli investitori stanno acquistando perché puntano su ulteriori cali del dollaro. L’altro è il bene-rifugio per eccellenza: l’oro è tornato in auge dal novembre scorso ed è ormai nettamente sopra i 1.300 dollari l’oncia. La tensione geostrategica in Corea del Nord accentua queste tendenze dai mercati. Ma è singolare che oltre all’oro ne sia beneficiato l’euro: in passato la saggezza convenzionale voleva che all’udire i tamburi di guerra si rafforzasse la moneta della superpotenza leader, l’America. Invece il dollaro soffre per altre debolezze, in particolare l’impressione che sia svanita l’illusione di un effetto-Trump positivo legato a sgravi fiscali, investimenti in infrastrutture, e altre misure favorevoli alla crescita.
L’ultimo dato sulle tendenze dei mercati globali riguarda le materie prime in forte rincaro, dal rame a tutti gli altri metalli. Qui le cause sono altre, si riferiscono più all’economia reale. La principale spiegazione va cercata nella cosiddetta “ripresa sincronizzata”. Ne abbiamo analizzato le caratteristiche la settimana scorsa quando è uscito il rapporto dell’Ocse che sancisce un evento raro: tutte le 45 maggiori economie del pianeta stanno crescendo simultaneamente. Oltre all’Ocse è venuta la conferma del Fondo monetario internazionale, poi quelle di Janet Yellen e Mario Draghi venerdì scorso a Jackson Hole: c’è una ripresa globale. Questo ovviamente significa un aumento della domanda di materie prime. A maggior ragione visto che tra le locomotive di questa ripresa globale continua a figurare la Cina, prima importatrice di rame nel mondo, massima potenza manifatturiera, trasformatrice di “commodities” in prodotti finiti. Malgrado la crescita cinese non sia più quella di una volta (il 9% annuo era “normale” fino al 2007) ha dimostrato tuttavia una certa resilienza e viaggia attualmente a una velocità di crociera del 6% annuo.
Un’occhiata alle principali materie prime in rialzo si può dare attraverso il Bloomberg Commodity Index. All’interno di questo indice-paniere, sei metalli hanno tirato la volata dei rincari di quest’anno: oltre all’oro e al rame ci sono alluminio, zinco, argento e nickel. L’indice Bloomberg Commidity è ai massimi da due anni. Alcuni analisti parlano di un “Toro delle materie prime” cioè una fase prolungata di rialzo. Questo crea un incentivo per gli investitori finanziari: se all’origine dei rincari delle materie prime c’è la buona salute dell’economia reale, vi si sovrappone la speculazione che punta sui metalli e può creare una “bolla” anche su quei mercati. L’alluminio è già più caro del 20% rispetto alle quotazioni di un anno fa. È difficile sostenere che un’inflazione così sia solo il frutto del rapporto tra la domanda e l’offerta nell’economia reale.
Il quadro delle concause è talmente intricato che richiede distinzioni. Nel breve periodo abbiamo un effetto Harvey che interviene sui mercati energetici, ma si spera non sfoci su un vero e proprio shock da penurie negli Stati Uniti. E comunque il mercato petrolifero è ancora segnato da sovrapproduzione, siamo lontanissimi dal barile a 150 dollari pre-crisi. Sul fronte delle altre materie prime, quelle non-energetiche, per adesso è ragionevole vedere il bicchiere mezzo pieno: i metalli salgono perché l’economia mondiale è guarita dalla crisi, con l’inclusione di aree come l’Eurozona e il Giappone che sembravano depresse croniche. Fin qui tutto bene, i rincari di rame o alluminio sono segnali di ottima salute. Sul versante politico, che ha impatto su oro e valute, siamo invece in balìa di troppe incognite: il tempestoso rapporto fra Trump e la sua maggioranza repubblicana al Congresso può far deragliare la riforma fiscale e forse perfino provocare uno “shutdown” o chiusura dell’Amministrazione federale per temporanea mancanza di fondi. In quanto alla Corea del Nord, solo un folle farebbe previsioni su un folle. Questo significa che insieme con l’ottimismo fondato sulla ripresa globale, ci sono anche rischi notevoli. Compresa la possibilità che sul boom delle materie prime s’inneschino spirali speculative, come quelle che provocarono iperinflazione alla vigilia della crisi del 2007-2008.