Corriere della Sera, 30 agosto 2017
Macron barcolla nel malessere francese
Caro Aldo,
Macron, eletto trionfalmente con il 66%, è già sceso sotto il 40% di gradimento. Ha ballato una sola estate? E la moglie c’entra qualcosa?
Anna Rosso, Torino
Cara Anna,
La moglie non c’entra nulla. C’entra molto l’insoddisfazione di fondo dei francesi: un Paese che a ogni elezione rinnega il leader del momento, magari per richiamarlo a quella successiva. Nel 1981 Mitterrand batte il presidente in carica Giscard; nell’86 perde rovinosamente le legislative, Chirac è primo ministro. Nell’88 Chirac è battuto da Mitterrand, che cinque anni dopo riperde le legislative; primo ministro è Balladur. Nel 1995 Balladur, a lungo favorito nei sondaggi, è eliminato al primo turno delle presidenziali; Chirac è presidente, ma perde clamorosamente le legislative del 1997 dal socialista Jospin. Per evitare coabitazioni (senza maggioranza in Parlamento il presidente conta poco), Chirac e Jospin si accordano per accorciare il settennato a cinque anni. Jospin vede l’Eliseo, ma nel 2002 è eliminato al primo turno da Le Pen e Chirac, che viene plebiscitato al secondo; ma deve poi cedere il passo all’uomo che odia più al mondo, Sarkozy. Il quale sembra destinato ad aprire un’era, e invece dura un solo mandato, battuto da Hollande: talmente impopolare da non essersi ripresentato.
Ora, è evidente che il problema non sono i leader, per quanto spesso sopravvaluti; sono i francesi (o meglio il loro grand malaise, il grande malessere nazionale). Sotto certi aspetti, i francesi sono messi meglio di noi: ad esempio fanno più figli, leggono più libri, e hanno più grandi aziende in grado di investire in tecnologia e comprare all’estero (preferibilmente in Italia). Ma da decenni si dibattono con tre grandi questioni irrisolte: la disoccupazione; l’immigrazione; la perdita di peso politico e culturale del loro Paese e della loro lingua nel mondo, e di conseguenza lo smarrimento di chi sente di non avere più il ruolo di un tempo. E a volte, più che un capo, cerca un capro espiatorio.
Nel caso di Macron, stiamo assistendo a un esperimento mai visto in una democrazia: tutto il potere a un partito che sino a poche settimane prima del voto non esisteva, costretto a inventarsi meccanismi astrusi (compresa l’estrazione a sorte di militanti chiamati a eleggere il consiglio, che elegge la direzione…). La Francia chiedeva volti e metodi nuovi; ma tra la novità e il dilettantismo il confine è a volte labile.