il Fatto Quotidiano, 30 agosto 2017
Il derby è finito
L’altro giorno, di ritorno da due settimane di semivacanze al mare, ho trovato la solita catasta di lettere e email di lettori. La gran parte riguarda il tema dell’estate (l’ennesima): i migranti. Circa un terzo dei lettori che scrivono plaude alle posizioni assunte dal Fatto, che peraltro ha ospitato opinioni molto diverse; un terzo ci reputa troppo “buonisti” e “di sinistra”; il restante terzo ci vede schiacciati “a destra”, a scelta tra “filo-Lega”, “filo-5Stelle”, “filogoverno”, “filo-Pd”. In questi casi un giornalista si mette la coscienza a posto: si prende gli elogi e considera le due opposte critiche pari a zero, come se si elidessero a vicenda. Invece vorrei provare a guardare la questione con gli occhi dei due opposti estremismi. E se fosse vero che abbiamo svoltato a destra? O che abbiamo svoltato a sinistra? Dico la mia (che è la stessa da sempre), pronto a ricredermi se qualcuno mi convincerà con dati reali e argomenti persuasivi. Sull’immigrazione, come su quasi tutti i problemi che affliggono l’Italia (e non solo quella), destra e sinistra hanno fallito. In 23 anni e mezzo di seconda Repubblica, per 9 ha governato il centrodestra, per 7 il centrosinistra, per 3 i tecnici (Dini e Monti) con l’appoggio o l’astensione di centrodestra e centrosinistra, per quasi 1 Letta col centrosinistra più Pdl, per 3 e mezzo Renzi e Gentiloni col centrosinistra più un pezzo di Pdl (gli alfaniani). Mai vista una misura efficace sull’immigrazione. Mai.
Quest’estate il barometro volgeva al peggio: boom di sbarchi, dunque di stragi in mare; accoglienza al collasso, sindaci senza soldi, cittadini in rivolta, guerre fra poveri, rischi per l’ordine pubblico, vento nelle vele degli xenofobi. Del resto era da febbraio che gli sbarchi erano in costante aumento sui dati già allarmanti dell’anno scorso: punte massime a maggio (22.993 arrivi contro i 19.957 del 2016) e giugno (23.526 contro 22.339, di cui 10 mila in due soli giorni). Figuriamoci – si diceva – che accadrà a luglio e agosto. Invece sorpresa. A luglio sbarchi dimezzati, dai 23.552 del 2016 agli 11.459 del 2017. E ad agosto crollati a quasi un decimo: da 21.294 a 2.932. Non essendosi registrate tempeste nel Mediterraneo, la picchiata dei nuovi arrivi si spiega con due fatti nuovi. 1) Il codice di condotta del Viminale (e dell’Ue) per le Ong, sottoscritto da 5 su 9 operanti nel Mediterraneo, che insieme alle indagini delle procure siciliane ha interrotto il link tra alcune Ong e gli scafisti: quello che Milena Gabanelli chiama “il nastro trasportatore di migranti”. 2) Gli accordi del governo italiano con quello libico.
Prima la Guardia costiera di Tripoli – nella peggiore delle ipotesi – scortava le navi degli scafisti e – nella migliore – si voltava dall’altra parte sul traffico di esseri umani. Ora fa il suo mestiere di pattugliamento, prevenzione e repressione. È strano che chi contestava il Codice Ong (ripetiamo: siglato da 5 su 9 di esse), gridando addirittura al fascismo e al razzismo, ora taccia, come se il calo degli sbarchi non fosse una buona notizia (così com’è strano che chi gridava al fascismo e al razzismo per lo sgombero del palazzo occupato a Roma ora taccia sulle ributtanti storie di racket dei subaffitti, sfruttamento di migranti anche da parte di altri migranti e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che emergono dalle indagini della Procura). Meno migranti partono, meno persone rischiano di annegare, meno irregolari vanno identificati e respinti oppure circolano in Italia e in Europa senza documenti né lavoro, meno benzina entra nelle fabbriche della paura e della xenofobia. L’obiezione è nota: chi non parte, non sbarca e non rischia di affogare più resta rinchiuso nei campi profughi della Libia (che peraltro esistevano anche prima, con l’unica differenza delle migliaia di morti in mare). E questa è l’altra parte della sfida del governo, che sarà vinta solo se davvero l’Europa tradurrà in pratica gli impegni assunti l’altroieri a Parigi per creare centri di identificazione in Africa e separare in loco chi ha diritto allo status di rifugiato e chi no.
Se ciò, come stabilito, avverrà sotto il controllo dell’Unhcr, questa vigilerà sul rispetto dei diritti umani in quei campi. Ma, siccome anche i Cie sono molto spesso strutture senza diritti, oltretutto insufficienti a ospitare tutti i richiedenti asilo, non si vede perché far sbarcare chi non è profugo, metterne in pericolo la vita ingrassando i trafficanti e, dopo anni di trafile burocratiche, rispedirlo indietro. Se si riuscisse a riportare un minimo di legalità nei campi africani, anche con l’aiuto di contingenti militari europei, si potrebbero aprire i corridoi umanitari nel Mediterraneo perché siano le navi dei governi a trasportare i veri rifugiati in Europa. Sempreché, si capisce, sia vero quel che si è detto a Parigi, e cioè che i trattati di Dublino che scaricavano tutto il peso sull’Italia sono “superati”. Dopodiché ogni Stato dovrebbe investire le risorse necessarie per accogliere degnamente i rifugiati. L’impresa è immane, ma per la prima volta dopo anni di chiacchiere, giaculatorie, opposte propagande e soprattutto stragi, se ne vede almeno l’inizio. E va riconosciuto a Minniti e Gentiloni il merito di essere riusciti là dove tutti i predecessori avevano fallito: iniziare non a risolvere il problema (sarebbe impossibile: un fenomeno biblico come questo continuerà per decenni), ma almeno a gestirlo seriamente, con la visione complessa che richiede. Esistono alternative? Se qualcuno le conosce le tiri fuori. Altrimenti, dopo decenni di derby parolaio e inconcludente fra destra e sinistra, è il caso di piantarla. E di rassegnarsi all’idea che ridurre le partenze dei migranti non è né di destra né di sinistra: è giusto e utile. Anzitutto per i migranti.