Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 02 Domenica calendario

Dal Watergate alla Russia. I presidenti inguaiati dall’Fbi

Due mesi fa, Donald Trump ha licenziato il direttore dell’Fbi James Comey. Al presidente non piaceva come il capo del Bureau gestiva l’in – chiesta sui rapporti tra il comitato elettorale e il governo russo. Prima dell’audizione davanti alla commissione del Senato, Comey non le ha mandate a dire: «La Casa Bianca ha semplicemente scelto di diffamare me e l’agenzia dicendo che l’organizzazione era nel caos». Il problema è che l’ex capo dell’Fbi, che stava indagando sull’influenza di Mosca alle ultime elezioni, era diventato un personaggio scomodo. Comey ha raccontato anche di come Trump gli abbia chiesto di lasciare cadere le accuse su Mike Flynn («è un brav’uomo), all’epoca consigliere per la Sicurezza, costretto alle dimissioni proprio per aver mentito alla Casa Bianca sui suoi rapporti con Mosca. Ora Trump è indagato per ostruzione alla giustizia o, per dirla con suo tweet indirizzato a Robert Mueller, il procuratore speciale che sovrintende l’inchiesta sul ruolo della Russia nelle elezioni del 2016, è stato messo sotto inchiesta «per aver licenziato il direttore dell’Fbi dall’uomo che mi ha detto di licenziare il direttore dell’Fbi». Ma Trump non se la prende solo con Mueller, punta il dito anche contro il suo predecessore Barack Obama: «Perché non ha detto nulla? Avrebbe dovuto fare qualcosa ma non leggerete nulla su questa storia e questo è piuttosto triste». Solo dopo il voto, infatti, dalla Casa Bianca arrivarono contromisure, con l’espulsione di 35 diplomatici russi dagli Stati Uniti. Secondo Trump la precedente amministrazione ha agito tardi perché «non voleva danneggiare Hillary Clinton».
Ancora una volta l’Fbi torna a dividere l’opinione pubblica come fu al tempo del caso Watergate o durante la gestione cinquantennale di J. Edgar Hoover.
NAPOLEONE Era il 26 luglio del 1908, una domenica, quando il ministro della Giustizia Charles Joseph Bonaparte, pronipote di Napoleone, fonda il Bureau of investigation (Boi) e recluta 25 agenti speciali che, per missione, devono combattere il crimine organizzato, supplire alle mancanze dei corpi di polizia dei diversi Stati e arrestare tutti quei delinquenti che attraversavano le frontiere per non essere acciuffati.
CAPO Il direttore del Bureau è scelto dal presidente ma la sua nomina deve poi essere confermata dal Senato. Il primo, sotto la presidenza di Theodore Roosevelt, fu Stanley Fitch mentre John Edgar Hoover arrivò nel 1924 con la nomina di Calvin Coolidge e verrà poi confermato da Herbert Hoover, Franklin Delano Roosevelt, Harry Truman, Dwight Eisenhower, John F. Kennedy, Lyndon Johnson e Richard Nixon che lo inviterà a dimettersi, invano, a 75 anni. Fu sotto la sua gestione che, nel 1935, il Boi, diventato negli anni Doi (Division of investigation), assunse il nome di Fbi, Federal bureau of investigation ovvero ufficio federale di investigazione.
COMUNISMO J. Edgar Hoover, a capo del Bureau dal 1924 al 1974, ultra conservatore, aveva un solo nemico che si chiama comunismo: «È uno stile di vita, malvagio e maligno. È per certi versi simile a una malattia, che si diffonde come un’epidemia».
AGENTI Hoover impose codici comportamentali molto rigidi: l’agente dell’Fbi doveva essere incorruttibile, integro, leale e coraggioso. Per entrare nel Bureau bisognava essere bianchi, laureati e preferibilmente celibi. Elegante nel vestire doveva portare giacca e cravatta. In testa il cappello.
FINE «L’Fbi vi è vicina. Il suo fine è quello di proteggervi con ogni mezzo nella vostra città. Vi appartiene» (J. Edgar Hoover).
CRIMINALI Hoover sfruttava stampa e cinema per pubblicizzare le prodezze del suo Bureau. Pronto a tutto pur di conquistare l’opinione pubblica s’impossessò dei casi più clamorosi della polizia (vedi John Dillinger, Baby face Nelson, Machine Gun Kelly, Bonnie & Clyde, etc). Con la guerra aumentò il suo prestigio con la cattura di sabotatori tedeschi, poi con quella delle spie sovietiche e, infine, si diede alle indagini sui diritti civili. Nel 1991 il giornalista del Washington Post , Carl Rowan, affermò che l’Fbi aveva inviato a Martin Luther King almeno una lettera anonima che lo incoraggiava a suicidarsi.
KING Come promemoria contro l’abuso di potere Comey teneva sulla sua scrivania, sottovetro, la copia di un ordine del 1963 che autorizzava Hoover a condurre una sorveglianza a tutto tondo di King, firmata dall’allora procuratore generale Robert Kennedy, dopo che il capo dell’Fbi convinse Jfk che King aveva dei comunisti nella sua organizzazione.
IMPRONTE Hoover, noto perché faceva prendere le impronte digitali a chiunque capitasse a tiro dei suoi agenti. Al momento della sua morte più di 160 milioni di americani erano schedati nei suoi archivi.
SCANDALI Il presidente Harry Truman accusò Hoover di aver trasformato l’agenzia nella sua polizia privata: «Non vogliamo una Gestapo o una polizia segreta. L’Fbi sta andando in quella direzione. Stanno rimestando negli scandali sessuali e nei ricatti. J. Edgar Hoover darebbe un occhio piuttosto che mollare e tutti i congressisti e i senatori hanno paura di lui».
DOSSIER Hoover, infatti, grazie al suo archivio di dossier segreti poteva ricattare l’America intera. Presidenti compresi. Gordon Liddy, ex agente dell’Fbi spiega come veniva costruito un dossier: «Un esempio tipico: c’è stata una rapina e secondo una soffiata il malvivente si trova in un hotel vicino al Campidoglio. Gli agenti dell’Fbi perquisiscono l’albergo. Entrano in una stanza e non trovano nessun rapinatore ma un senatore a letto con una ragazzina di 15 anni. Gli agenti si scusano e se ne vanno ma al momento di stilare il rapporto, il superiore dirà loro che questa informazione non è attinente e che deve essere cancellata. Cosa che però non è possibile senza l’autorizzazione di Hoover, il quale ovviamente dà il suo assenso trasferendo il tutto nei suoi dossier segreti. Poi invia un agente dal senatore per scusarsi a suo nome. In questo modo il senatore scopre che Hoover è a conoscenza di tutto».
OMOSESSUALE Tuttavia anche lui era sotto ricatto. Hoover celibe, viveva more uxorio con Clyde Tolson, uno dei suoi aiutanti. In La vita segreta di John Edgar Hoover, il giornalista inglese Anthony Summers racconta che Susan Rosenthal, all’epoca sposata con Lewis Rosenthal, socio miliardario del boss Frank Costello, afferma di aver assistito a due orge omosessuali. Entrambe le volte, il capo dell’Fbi si presentò vestito da donna. Susan Rosenthal: «Era grottesco: aveva una parrucca lunghissima, il rossetto e il trucco, tacchi alti, calze di seta, mutandine di pizzo, minigonna».
GOODFELLAH È così che è diventato passibile al ricatto della mafia. A tal punto che Frank Costello osava definirlo «goodfellah», ovvero uno dei nostri. Solo con John Edgar Hoover presidente e suo fratello Bob alla Giustizia, Hoover dovette agire contro la mafia. Ma Kennedy fu ucciso e la battaglia durò poco.
KENNEDY Con Lyndon Jonhson presidente, infatti, la lotta alla mafia subì una battuta d’arresto. Motivo per il quale in molti hanno accusato Hoover di aver cospirato la sua morte o, almeno, di aver depistato le indagini.
JOHNSON Johnson, che si divertiva a leggere i dossier segreti di Hoover, riuscì a far votare un emendamento che permise al suo ex dirimpettaio di restare capo dell’Fbi oltre i 70 anni di età. Morì nel 1972, a 77 anni. Il 9 agosto 1974 quando Nixon diede le dimissioni per il caso Watergate, disse: «Se ci fosse stato Hoover, tutto questo non sarebbe successo».
REGISTA Insomma, come scrive Tim Weiner sul New York Times: «L’Fbi di Hoover non era diverso da come Trump sembra aver immaginato l’agenzia ancora oggi: un apparato di legge dalla lealtà flessibile per adattarsi ai capricci del suo regista».
POLITICIZZAZIONE Sempre secondo Weiner «la nomina di Christoher Wray al posto di Comey è una scelta sicura e tradizionale, da parte di un presidente che in alcuni momenti ha pensato di nominare un politico a direttore dell’Fbi, un incarico che storicamente viene riservato a persone che con la politica non hanno a che fare. Wray probabilmente tranquillizzerà gli agenti dell’Fbi che temevano che Trump volesse indebolire o politicizzare l’agenzia».
INTEGRITÀ Motto dell’Fbi: Fidelity, Bravery, Integrity (Fedeltà, Coraggio, Integrità).