Il Sole 24 Ore, 27 agosto 2017
Come passare dal pallone vero a quello virtuale
È il videogiocatore italiano più chiacchierato degli ultimi mesi. 21 anni, capitolino e con un passato nelle giovanili della Roma, amante dello sport anche quando praticato lontano da uno schermo, Daniele Paolucci, detto “Prinsipe”, lo scorso 6 maggio a Madrid ha dominato, contro ogni pronostico, la finale regionale di “Fifa17 Ultimate Team Championship” guadagnandosi un posto fra i 32 finalisti mondiali a Berlino. Lì non ce l’ha fatta.
«Non ero più una sorpresa, mi hanno tenuto d’occhio – spiega – in più non ho saputo gestire un problema di lag, un leggero ritardo nella visualizzazione sul monitor, e mi sono innervosito. Dovrò lavorare anche su questo aspetto se voglio essere più competitivo». L’atteggiamento e la fame di risultati sono quelli del campione, per quanto Prinsipe, il titolo, lo debba a un joypad e non a una sfera di cuoio.
È un pro-player, un videogiocatore pagato per competere; in Italia si contano sulle dita di una mano. Anzi, ne basterebbe mezza. «Non è da molto che guadagno giocando – spiega Paolucci – da noi siamo all’inizio. Non si può ancora diventare ricchi, salvo vincendo tornei internazionali e i relativi montepremi. Ma non è facile». Tanto che Paolucci avrebbe già un’alternativa: diventare professore di educazione fisica. «Sono sempre stato appassionato di sport, dal basket all’atletica, per quanto ami il calcio e, dagli 11 ai 13 anni, sia stato nelle giovanili della Roma. Ho smesso di giocare a pallone, quello “vero”, solo 2 anni fa».
Da allora si è dedicato all’altra sua passione, quella per i videogame. «Ho cominciato a competere nel 2015 grazie a un amico, Simon Pietro Foglia, campione italiano di “Fifa13”. Allenandomi con lui ho capito che avrei potuto dire la mia online. Il resto sono fatti recenti».
Comincia così la carriera di un pro-player, imponendosi in tornei in rete organizzati da società come la tedesca Esl o la britannica Gfinity, che a Londra vanta già arene dedicate al gaming dal vivo. «Sono eventi periodici in cui è possibile testare il proprio livello e farsi notare. Possono partecipare tutti, sebbene qualificarsi in un torneo come la Weekend League, che decide i finalisti regionali di Fifa, implichi avere la meglio su 13 o 14 milioni di iscritti. Il passo successivo sono le gare dal vivo, tutta un’altra storia dal punto di vista emotivo, che addirittura consiglia a molti giocatori una preparazione specifica con un mental coach.
Per ciò che mi riguarda, mi limito a due o tre ore di allenamento quotidiano contro i giocatori più forti, quelli che a Berlino mi hanno sconfitto, affiancate alla gestione delle mie pagine social e del mio canale Youtube: non è necessario, ma gestire la comunicazione può essere fondamentale per un pro player». Il che suggerisce come gli sport elettronici si basino su dinamiche non così diverse rispetto a quelli tradizionali.
«All’estero l’eSport è un fenomeno consolidato. E per quanto in Italia non se ne siano ancora compresi tutti gli aspetti, per esempio la capacità di creare lavoro e fidelizzare un’audience, sono certo esploderà entro 4 o 5 anni. Il coinvolgimento di diverse squadre di serie A conferma che qualcosa sta muovendosi». E a proposito di prossime tappe «ho la possibilità di qualificarmi alla Fifa Interactive World Cup di agosto, l’evento più importante dell’anno. Spero di far bene».