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 2017  agosto 29 Martedì calendario

«Io, tecnico in bici». Intervista a Leonardo Semplici, allenatore della Spal

Leonardo Semplici è stato a San Siro meno di moltissime persone che leggeranno questa intervista. Sembra impossibile, è vero. Semplici ha camminato sui magici scalini della Scala solo una volta in tutta la sua vita: Milan-Zenit 0-1, era il 4 dicembre 2012 e quella una insignificante sesta partita di un gruppo Champions. Alla fine della sosta, Semplici tornerà a Milano per giocare contro l’Inter: prima contro sesta in classifica, perché la sua Spal è una delle squadre del momento. Attenta, organizzata, combattiva: ha pareggiato a Roma con la Lazio e ha battuto l’Udinese a Ferrara. L’Inter però è qualcosa di più e Semplici, come in quella sera di cinque anni fa, troverà Spalletti. Sembra un gioco di parole: Spalletti contro Spal.
Andiamo indietro veloce. Da casa sua a Certaldo, dove è nato Spalletti, c’è meno di un’ora di strada. Quali sono stati i rapporti tra voi?
«Ci conosciamo, abbiamo amici in comune ma non ci frequentiamo. Abbiamo anche giocato contro una volta, forse in un’amichevole tra Cecina e Spezia nel 1989-90».
San Siro deve aver fatto un’altra impressione. Che cosa ricorda?
«L’avevo sempre visto in tv, fino a Milan-Zenit. Quel giorno mi colpì per la grandezza, ancora ricordo la sensazione. È uno stadio che incute un po’ di timore e l’Inter per me è la favorita per lo scudetto, assieme a Juventus e Napoli».
Improvvisiamo una galleria degli stadi di Leonardo Semplici. Qual è stato il primo?
«Il campo di San Gimignano dove ho cominciato ad allenare. Una tribuna principale e una più piccola, per il resto si stava in piedi a bordo campo. Però città fantastica».
Lo stadio che ha fatto più paura.
«Forse Bari, dove abbiamo giocato lo scorso anno: è uno stadio importante, particolare».
Il più strano.
«Il campo di Figline, dove ho vinto il primo campionato da pro’. Di fronte alle panchine, dietro al campo, c’era la ferrovia. Durante la partita passava il treno e qualche passeggero urlava verso il campo. Magari era qualcuno di San Giovanni e non diceva cose simpatiche».
Quello a cui è più affezionato.
«Il campino a Tavarnuzze su cui giocavamo da ragazzi. Era tra le case, prima mettevamo gli zaini per le porte, poi abbiamo comprato i pali e li abbiamo piantati. A un certo punto è diventato un parco giochi, ma noi abbiamo continuato a fare le partite tra lo scivolo e il girello».
Va bene, parliamo di lei. Come si spiega Leonardo Semplici a chi non lo conosce?
«Sono umile, tranquillo, sereno e come tutti a Ferrara vado in bici: l’ho fatto anche domenica, per andare allo stadio per la rifinitura. Ho tanta passione per il calcio e in generale sono una persona che va passettino per passettino. Me lo ha insegnato papà: crederci sempre, in tutte le difficoltà della vita».
Meno di sette anni fa Semplici veniva esonerato dal Pisa in Prima divisione, oggi è in A. Significa che c’è speranza per tutti?
«Al Pisa non mi fu dato il tempo di lavorare, fui esonerato dopo pochi mesi, senza il tempo di lavorare. All’Arezzo però fu pazzesco: esonerato, ripreso, esonerato ancora dopo l’andata dei playoff. Mi sembrava di essere su “Scherzi a parte”. Certo, è strano: quando ho iniziato ad allenare, il mio punto di arrivo era la Serie D. In fondo avevo sempre giocato lì».
Si racconta che Semplici era un difensore e picchiava...
«Io? Ma no, ero uno alla Rugani: pulito. Picchiava più il mio amico Marco Baroni (oggi allenatore del Benevento, ndr). Però ero già un allenatore in campo... e intanto lavoravo».
Rappresentante sul mercato dei pellami, giusto?
«Sì, giravo con una valigiona piena di pellame, che proponevo alle aziende produttrici di giubbotti. Non era il mio mestiere ma mi è servito: ero introverso, mi ha aiutato a relazionarmi».
Ora si relaziona anche sui social, addirittura con un post dedicato al fantacalcio. Domanda d’obbligo in questi giorni di aste tra amici: chi bisogna comprare della Spal?
«Borriello, Lazzari, Mora, ma anche Antenucci, Vicari e Gomis».
Come si riassume la Spal in tre parole?
«Ne bastano due: propositiva e concreta. In estate abbiamo voluto giocatori che più di tutto fossero motivati, ci interessava quello. Poi punteremo sulla nostra identità di calcio. Sono convinto che lo stadio ci aiuterà a fare punti: spero che la A, per me e per noi, sia solo un punto di partenza».
Se la Serie A è un punto di partenza, dove vuole arrivare? In Champions?
«Io? Ma se ho fatto solo due partite?».