la Repubblica, 29 agosto 2017
La sfida delle gemelline siamesi. «Un fegato in due ma le separeremo»
BERGAMO Sono felici, e questa è la cosa più importante. Sono degli incoscienti? No. Ci hanno pensato su a lungo, per mesi, se abortire o no, e hanno deciso che si doveva andare avanti. Così mercoledì scorso sono nate le gemelle, con un parto cesareo complicato ma andato a buon fine. Non si conoscono i nomi delle bambine, al momento sono solo le gemelle siamesi di Bergamo, e si spera che in un paio di mesi diventeranno due gemelle qualunque, senza altre specifiche. Verranno separate, con buone speranze di successo, l’anomalia che le rende un caso straordinario – uno su 200mila – sarà corretta (hanno il fegato in comune) e probabilmente potranno avere una vita normale.I loro genitori sono una coppia giovane, che ha chiesto all’ospedale Papa Giovanni XXIII il massimo riserbo sulla loro storia. Che è un fatto privato, come tutte le nascite, ma è diventato pubblico e ha costretto l’ospedale a spiegare le cose. Ad esempio, che è stato un parto programmato, durato in tutto un’ora e mezza, e che in sala c’erano i ginecologi Nicola Strobelt, responsabile della Medicina materno-infantile, con Stefano Comotti, Luisa Patanè e Marco Carnelli, gli anestesisti Maurizio Candiano e Chiara Viviani, e tre ostetriche: Bruna Pasini, Jessica Sangaletti e Maria Teresa Asperti. Un parto speciale, quindi, con due neonati attaccati per l’addome, e per farli nascere «è stata eseguita un’incisione longitudinale sull’addome materno e sull’utero a T rovesciata, quindi sia in orizzontale che in verticale, in modo da creare uno spazio sufficientemente ampio da consentire un’agevole estrazione di due neonati insieme». Questo per dire che questa mamma ha avuto una bella forza d’animo, seppure aiutata da una doppia anestesia, spinale ed epidurale. È andato tutto bene, quindi, le due sono state sistemate in un’incubatrice costruita su misura, perché l’ospedale, che pure segue 4mila gravidanze l’anno, non aveva mai avuto un caso simile, e per tempo si è attrezzato alla bisogna. Nessuno dell’équipe aveva mai seguito un parto di gemelli siamesi, e in effetti non ci sono molti precedenti, perché le diagnosi prenatali permettono di vedere presto le anomalie, e molte coppie scelgono l’aborto.
Questa ha saputo, ha deciso, e ha tirato dritto. Sono italiani, residenti nella provincia, e alla prima ecografia – quando il ginecologo si è accorto che i feti erano uniti – si sono affidati alla struttura più moderna, e a portata di mano. Così per tutta la gravidanza, interrotta dal cesareo alla settimana numero 35, sicché le bambine sono anche premature, e bisognose di molte cure e attenzioni, come tutti i nati anzitempo.
Perciò se ne dormono tranquille nella loro culla matrimoniale, nell’attesa che venga il momento giusto per intervenire. Intanto si può dire che tra i genitori e i medici – molti – che li seguono, si è creata anche una bella amicizia, come se l’avventura di queste due bambine non fosse una questione totalmente familiare, ma di famiglia allargata al reparto 9 di questo ospedale, che va dall’ostetricia e ginecologia alla pediatria, alla patologia neonatale, con neuropsichiatria infantile e epatologia e trapianti pediatrici. E qui sta il punto. Un fegato in due, sembra una cosa terribile. Peggio sarebbe stato un cuore, in due. Ma il fegato è un organo che si rigenera, l’esperienza nel campo di questi trapianti così avanzata, ormai. Ora, si tratta di aspettare. Che le bambine crescano, fino a quando saranno in grado di sopportare la prima anestesia della loro piccola storia: quella che servirà a impiantare un espansore cutaneo, per far crescere la pelle necessaria a ricoprire la ferita che si creerà a causa del distacco dei due corpi. Poi la fase due, il vero intervento. Il piano strategico prevede un tempo non così lungo: alcuni mesi. C’è un precedente che fa ben sperare, risolto nel 1965 a Torino, un’operazione da pionieri per i tempi, eppure Giuseppina e Santina Foglia ce l’hanno fatta, e vivono da sorelle, felicemente separate.