Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  agosto 29 Martedì calendario

L’amaca

Dopo dieci anni – che sono tanti – di deperimento, l’annunciata ripresa economica è da salutare con sollievo per almeno due ragioni. La prima è ovvia: finisce una crisi molto dura, anche psicologicamente, e non equamente ripartita, feroce soprattutto con i ragazzi e le categorie meno garantite. La seconda è che avremo finalmente la risposta a una domanda che ci siamo posti, in questi dieci lunghi anni, molto spesso. La domanda è questa: i contratti a termine che scadono più in fretta dello stracchino, il precariato istituzionalizzato, i salari di vergognosa pochezza sono legati alla congiuntura negativa e alla penuria, oppure sono strutturali, conquista definitiva del neocapitalismo? La crisi è stata solo una tremenda mazzata oppure (anche) un grande pretesto per dare conferma alla vecchia battuta che dice: la lotta di classe c’è stata davvero, solo che l’hanno vinta i padroni?Presto ne sapremo qualcosa di più. Se il lavoro, con l’economia nuovamente vitale, segnerà qualche punto in favore di una sua migliore valutazione, e maggiore dignità, vorrà dire che era solo colpa della crisi. Se il lavoro rimarrà, nel quadro d’insieme, una specie di dettaglio o di impiccio, allora vorrà dire che la crisi è stata solamente un formidabile alibi per pochi, e contro molti.