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 2017  agosto 26 Sabato calendario

Il cavalier Michele Tranquillo e il geometra Giovannino Pace. Spunta l’inedito di Eduardo

NAPOLI Una coppia di coniugi, l’irascibile cavaliere Michele Tranquillo e la moglie accomodante Luisa, e poi Giulietta, la loro figlia in età da marito, Luigi, cameriere impiccione e il geometra Giovannino Pace, giovane pretendente presuntuoso. Sono i protagonisti di Dduie… paciune!, commedia brillante in un atto di Eduardo De Filippo nata probabilmente tra gli anni Venti e Trenta il cui copione (scritto a mano dall’attore Giuseppe De Cesare) è stato ritrovato tra centinaia di documenti raccolti dall’attore Enzo Cannavale. E che ora sono patrimonio della “Libreria del cinema e del teatro” che i figli di Cannavale, Alessandro, Andrea e Gabriella, insieme alla moglie Barbara, hanno creato per tenere in vita la sua memoria. Un inedito di Eduardo De Filippo che riemerge dalle carte ingiallite, nascosto tra tante altre commedie, è notizia che fa luccicare di curiosità gli occhi di tanti studiosi ed ammiratori del grande drammaturgo. Eduardo lo scrisse presumibilmente negli anni giovanili in cui misurava la sua arte nei piccoli locali in cui i giovani comici si facevano le ossa aspettando il successo. Lo scrisse certamente per sé e per i suoi due fratelli, Titina e Peppino, con se stesso a fare il burbero cavaliere a cui viene recapitato un biglietto da visita in cui un giovane di belle pretese gli chiede di potergli fare visita per chiedere la mano della figlia. Certo Titina era moglie di bel carattere e Peppino poteva ben essere pretendente focoso, in un irresistibile triangolo di invenzioni e battute. Per fare girare la ruota di una comicità rapida, fatta di equivoci e giochi di parola come erano le “scenette” del varietà di quegli anni.
Eduardo De Filippo sapeva ben annodare i fili di impossibili incontri e scontri costruiti per fare ridere il pubblico che già incominciava ad amarlo. Molti di quegli atti unici, di quegli spunti creati con mano sapiente, furono poi rimanipolati, innervati con nuove battute e personaggi, accresciuti di situazioni ed emozioni fino a diventare pezzi preziosi di una drammaturgia senza confronti. Basta pensare ad esempio al Sik Sik l’artefice magico che Eduardo mise in scena nel 1929 al Kursaal, locale che le cronache dell’epoca descrivono come «frequentato dalla Napoli bene, abbastanza grande e pulito, di stile moderno e provvisto di un piccolo palcoscenico attrezzato alla meglio per spettacoli di prosa». Quello che era poco più di uno sketch ebbe un tale successo da essere replicato per ben 400 volte. Eduardo lo rimise poi in scena facendolo crescere, fino alla memorabile edizione del 1979, ultima delle sue grandiose interpretazioni, con al fianco il figlio Luca De Filippo nella parte che era stata un giorno creata per Peppino.
Discorso analogo per la prima versione del Natale in Casa Cupiello, andata in scena 25 dicembre del 1931 grazie a un contratto che prevedeva una settimana di repliche e che ebbe un successo che si prolungò invece fino al maggio dell’anno successivo. Crescendo fino a diventare il capolavoro in tre atti che tutti conosciamo.
Non dovette essere così per Dduie… paciune!, racconto di scontri dispettosi di due che “pacioni”, bonari, non erano affatto. Eduardo non deve avere fatto crescere oltre quei suoi personaggi e se ne sono andate perse le tracce. Nessuna traccia ne ha trovato infatti Antonella Ottai, insieme a Paola Quarenghi massima studiosa del teatro di De Filippo. «È un titolo che non risulta in nessuna bibliografia o elenco delle raccolte delle commedie di Eduardo – dice Ottai commentando la notizia del ritrovamento – potrebbe ben essere uno dei tanti scritti diventati spunti per successive commedie, magari adoperandone qualche situazione o qualche personaggio, bisognerà però studiare il manoscritto per comprendere l’importanza di questo ritrovamento». Ma come spiega Giulio Adinolfi, curatore della “Libreria del cinema e del teatro”, Giuseppe De Cesare, cioè colui che mise Dduie… paciune! nero su bianco, «fu attore vicino ai De Filippo ed ebbe soprattutto il merito di avere una calligrafia chiara, con cui ci ha lasciato un patrimonio di testimonianza di teatro di quegli anni, che Cannavale ha messo in salvo».