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 2017  agosto 27 Domenica calendario

Nella Rete dell’Isis

Mentre l’Isis perde territori, la sua macchina della propaganda resta estremamente efficace. Dal 2014 ad oggi, da quando al-Baghdadi ha annunciato la nascita dell’autoproclamato Stato Islamico, l’organizzazione è riuscita a reclutare più giovani occidentali e a compiere più attentati in Europa di quanto al-Qaeda sia riuscita a fare dal 2001 ad oggi. Per questo lo studio del linguaggio usato dall’Isis sul web, nei video, sui social e nelle riviste Dabiq e Rumiyah ci può svelare alcuni segreti di questo successo.
Intanto va detto che la propaganda legata all’Isis è vasta, diversificata e “targettizzata”. I suoi canali ufficiali sono in grado di pubblicare oltre venti prodotti mediatici al giorno: video con uccisioni di ostaggi, istruzioni su come fare bombe in casa, testi religiosi e comunicati ideologici. Si tratta di una comunicazione sofisticata capace di rivolgersi a pubblici molto diversi. Molti filmati, per esempio, vengono dai campi di battaglia e mettono in scena l’adrenalina della violenza: si rivolgono al pubblico più giovane in cerca di emozioni forti. Ma accanto a questi ce ne sono altrettanti portatori di messaggi positivi, che propagandano la giustizia, la bontà, la pace, la prosperità nel Califfato. L’Isis parla così alle famiglie che vorrebbero recarsi nei suoi territori, celebrandone le strutture ospedaliere, i granai e i mercati.
Si tratta di materiali che ricordano quelli dell’Istituto Luce con cui Mussolini promuoveva la potenza dello stato fascista o quelli con cui in Urss si esaltava l’Uomo Nuovo. Con tecnologie e linguaggi contemporanei si riproduce la stessa celebrazione di potenza dei totalitarismi del passato. Così queste immagini e queste parole attraggono molti giovani in cerca di una nuova vita, accecati dall’illusione di potenza di quello che sembrava uno Stato destinato a durare. E anche se lo Stato Islamico, una volta sconfitto sul campo, dovesse svanire, saranno ancora una chiamata alle armi perché mostrano che l’utopia è un sogno realizzabile.
La “vecchia” generazione di al-Qaeda, non ha mai fatto questa promessa. Al contrario, Bin Laden e i suoi seguaci apparivano come guerriglieri senza terra. I loro messaggi, imbevuti della stessa ideologia abbracciata dall’Isis (i due gruppi sono stati a lungo “confederati”), invocavano il sollevamento delle masse dei reietti del pianeta contro i soprusi dell’imperialismo americano. I loro video erano quelli di ribelli asserragliati nelle caverne. Non promettevano potenza, ma solo la gloria della lotta per gli ideali. Ma c’è di più. Lo studio del linguaggio usato dall’Isis nelle sue riviste per il pubblico occidentale svela che lo Stato Islamico attira persone con caratteristiche psicologiche diverse rispetto a quelle che erano attratte dalla generazione di jihadisti di al- Qaeda. Se prima si faceva leva sulla ribellione al sistema capitalista, in parte “saccheggiando” il repertorio ideologico dell’estrema sinistra europea, l’Isis è caratterizzato da un autoritarismo religioso che ricorda i totalitarismi novecenteschi. Se i magazine di al-Qaeda (come Inspire o Al- Haqiqa) fanno appello alla ribellione e all’ingiustizia sociale, quelli dell’Isis ( Dabiq e oggi Rumiyah) sono ossessionati da formule religiose, punizioni, leggi, obbedienza e controllo. Sebbene rifiutino il nazionalismo, usano frequentemente parole che si rifanno all’idea di Stato e territorio: un esempio è “Wilayat”, che sta per Provincia o Governatorato.
Insieme a colleghi australiani ho condotto esperimenti “mascherando” da racconti di fantascienza alcuni testi tratti dai magazine dell’Isis e al-Qaeda e mostrandoli a un campione di giovani occidentali. Abbiamo scoperto che quelli con personalità autoritarie si immedesimano più facilmente nel racconto di fantascienza tratto dall’Isis. Insomma: hanno una fascinazione per il totalitarismo, sono ossessionati dalla punizione e dal controllo.
Questa nuova forma di totalitarismo si vede anche nel comportamento dei militanti. L’Isis si caratterizza per una violenza estrema nei confronti dei musulmani che non si sottomettono alla sua visione estremista. Se invece guardiamo al passato sappiamo che dopo l’invasione americana in Iraq, quando gli affiliati ad al-Qaeda iniziarono a commettere violenze contro le comunità musulmane locali che non si piegavano, questi furono duramente criticati da al- Zawahiri, perché quella violenza avrebbe compromesso la guerra mediatica per conquistare i cuori dei musulmani. Al-Zawahiri aveva torto: la violenza estrema dell’Isis ha invece attratto molti seguaci. I suoi adepti ragionano in termini di appartenenza e accusano chi non è come loro. Attaccano obiettivi religiosi (musulmani sciiti, ebrei, cristiani) più di quanto lo facesse al-Qaeda. La religione è usata come un espediente per giustificare la violenza contro chi non appartiene al gruppo, e che dunque “merita” di essere uccisi. Non è un caso che tra le parole più usate ci siano termini in arabo come Kufr, Murtadd, Taghut, che indicano i nemici religiosi, in primis atei e credenti di altre religioni, ma anche i musulmani definiti “falsi credenti” e quindi obiettivi “legittimi”.
Ora che il gruppo sta perdendo terreno i messaggi diventano sempre più aggressivi. L’obiettivo principale, se prima era “vieni nei nostri territori”, adesso è “colpisci i nemici a casa loro”. E se il primo magazine del gruppo si chiamava Dabiq, il nome di una località in Siria che l’Isis controllava e poi ha perso, il nuovo si chiama Rumiyah, che significa “Roma”, il simbolo dei “crociati”. Tuttavia le strutture fondamentali del messaggio sono le stesse: un linguaggio sofisticato fatto di adrenalina, violenza, punizione, potere e controllo, ma anche speranza e appartenenza.