la Repubblica, 27 agosto 2017
Telecom, l’allarme di Palazzo Chigi. «Un problema la rete in mani francesi»
Tira una brutta aria per i francesi di Vivendi negli antichi saloni della Presidenza del Consiglio. A Palazzo Chigi si consolida, fino a farsi quasi certezza, la convinzione che Vivendi abbia un controllo pieno di Telecom Italia. La convinzione è suffragata da un parere di un pool di giuristi di Palazzo Chigi, che cita tra le altre cose la riforma del nostro diritto societario. In questo scenario, il governo ha chiesto ai ministeri dell’Interno e della Difesa – e adesso analizza – tutti i contratti in essere tra lo Stato e Telecom Italia. Così l’unità di crisi di Palazzo Chigi – il comitato che indaga sul presunto controllo di Telecom Italia in capo a Vivendi – avrà un quadro certo degli impegni della società di telecomunicazioni. Impegni che Telecom Italia ha sul fronte della sicurezza nazionale, della lotta al terrorismo, delle intercettazioni penali ai criminali anche di stampo mafioso. Palazzo Chigi dunque non è preoccupata solo di Sparkle, la società di Telecom Italia proprietaria di cavi internazionali di trasmissione per oltre 560 chilometri. È l’intera rete di Telecom Italia, con i suoi infiniti compiti, ad allarmare il governo.
Il 23 agosto, Vivendi ha ribadito la sua difesa. Le redini del cavallo Telecom Italia – dicono i francesi – non sono nelle nostre mani. Su questa società i francesi giurano di esercitare un mini-potere di “direzione e coordinamento”. Ma i giuristi di Palazzo Chigi considerano la difesa di Vivendi un colossale autogol, quasi un’ammissione di colpa. A loro parere, “direzione e coordinamento” è un quid pluris, e cioè qualcosa che va addirittura oltre il semplice controllo. I giuristi citano la relazione che ha accompagnato in Parlamento la riforma del diritto societario (con l’introduzione degli articoli 2497 e seguenti). La relazione classifica la società che assume la direzione e il coordinamento come già “controllante” e la società “diretta e coordinata” come già “controllata”. I giuristi del governo sospettano, allora, che Vivendi abbia sottovalutato gli oneri che ricadevano sulla sua testa dopo l’acquisizione prima del controllo, e poi anche della direzione e coordinamento di Telecom Italia. Un onere specifico era quello di notificare al nostro governo la condizione di sostanziale dominio in Telecom Italia, come impone la legge sul “golden power” (la 56 del 2012).
Che cosa succederà adesso? Tre le mosse che il governo si riserva di prendere. Primo. Contestare a Vivendi la mancata notifica. Secondo. Infliggere a Vivendi, se davvero colpevole di mancata notifica e comunicazione a Palazzo Chigi, una sanzione da 298 milioni. Terzo. Inviare ai francesi di Vivendi una richiesta di chiarimenti sul Piano industriale e soprattutto sulle risorse che investiranno nei settori strategici di Telecom Italia.
Nel loro parere, i giuristi di Palazzi Chigi fanno anche un’ipotesi di scuola. Supponiamo pure – scrivono – che i francesi non controllino Telecom Italia. Bene, questo scenario comunque non assolve Vivendi, che era tenuta a notificare il suo ruolo nella società di telecomunicazioni anche solo in ragione di una quota azionaria non di controllo. Telecom Italia d’altra parte ha un ruolo chiave per la sicurezza, l’ordine pubblico e la difesa del Paese. Il governo, per questo, sta riesaminando tutti i contratti che lo Stato ha firmato con Telecom Italia per una valutazione aggiornata sulla “natura strategica dell’intera rete”. Ultimata questa stima, potrà fare due cose. Imporre delle “prescrizioni” a Vivendi nella gestione della rete stessa. Quella più estrema è la sua vendita (soluzione che però non viene evocata). Il governo, seconda ipotesi, ha il diritto di opporsi all’acquisto di specifiche azioni da parte dei francesi. In altre parole, può impedire che Vivendi conservi la proprietà di una controllata chiave come Sparkle (la misura richiederebbe però una specifica istruttoria dell’esecutivo da ultimare nel 2018). I giuristi invece sconsigliano Palazzo Chigi dall’imporre a Vivendi la cessione della sua intera quota in Telecom Italia. Questo veto sarebbe la madre del tutte le sanzioni. Ma non è opportuno aprire una guerra totale contro una società come Vivendi che batte bandiera europea, e ha dunque pari diritti di una consorella italiana.