Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  agosto 28 Lunedì calendario

Gabbay, il miliardario di origini marocchine, ultima speranza della sinistra israeliana

Quando la “casa comune” della sinistra israeliana si chiamava Partito Laburista, a guidarlo nei lunghi decenni al potere erano i figli delle famiglie ashkenazite venute dal Nord-Est dell’Europa al seguito dell’ impresa sionista: i Ben Gurion, i Dayan, i Rabin, anche se lui, Yitzhak, si vantava di essere un “sabra”, nato in Israele, gli Herzog, i Weizman. Adesso che il vecchio Labour s’è trasformato nell’Unione Sionista e da ben 15 anni non vede che da lontano la poltrona del premier, tutte le speranze di rinascita sono riposte su Avi Gabbay, un sefardita, figlio di immigrati poveri provenienti dal Marocco diventato un manager miliardario, fresco vincitore delle primarie del partito.
In una recente intervista al Financial Times, questo cinquantenne assurto in breve tempo ai vertici di Bezeq Israel, la principale azienda di telefonia israeliana, non ha esitato a lanciare il guanto di sfida contro Benjamin Netanyahu, il primo ministro del Likud, capo di una coalizione che abbraccia anche l’estrema destra nazionalista- religiosa, al centro di alcune inchieste giudiziarie che, oltre a metterne in discussione la leadership, potrebbero accorciare la vita della legislatura. E proprio come possibile alternativa al popolare ma screditato Bibi s’è presentato Gabbay. Il quale, dopo la vittoria alle primarie dell’Unione, s’è visto regalare un’improvvisa notorietà nei sondaggi.
Il punto, sostiene l’uomo che dovrebbe rilanciare le sorti del centro-sinistra israeliano, è che Netanyahu non fa che dividere, su tutto, politica, religione e sulle risposte da dare ai palestinesi, «mentre la gente ha bisogno di sentirsi unita ed è alla ricerca di un leader, non importa se di destra o di sinistra, che la faccia sentire nuovamente unita».
La ricetta di Gabbay si riassume nella parola: moderazione. Memore dell’esito fallimentare della strategia adottata sulla questione palestinese dai capi laburisti del passato, una strategia tutta incentrata sul negoziato di pace (a volte fine a se stesso), il nuovo candidato premier si dice favorevole alla formula dei Due Stati, ma nega la possibilità che Gerusalemme Est possa essere capitale anche di un futuro Stato Palestinese, il che echeggia, da sinistra, il dogma dell’ unicità e indivisibilità della Città Santa-capitale d’Israele caro alla destra.
Ancora. Una chiara differenza, rispetto a Netanyahu, sta negli alleati che Gabbay vorrebbe al suo seguito: non l’estrema destra nazionalista e religiosa che ha consentito a Bibi quasi di stabilire il record di durata alla testa del governo, ma quella “maggioranza silenziosa” che non partecipa al quotidiano gioco al massacro tra destra e sinistra inscenato sui social media, che non partecipa al vuoto dibattito politico all’interno della sinistra, ma, dice Gabbay «si preoccupa soprattutto di capire su quale leader potrà fare affidamento». Insomma, sembra dire il nuovo timoniere del centro sinistra israeliano, è venuto il momento di de-politicizzare la questione del potere, come di fatto avviene in molte altre nazioni dell’Occidente. Ma per Israele e segnatamente per la sinistra israeliana, l’ascesa di Gabbay porta con se il segno di un cambiamento sociale, già avviato ma tuttora incompiuto, verso la piena emancipazione della componente sefardita. “Marocchini”, era l’epiteto dispregiativo che i sefarditi, gli ebrei provenienti dai paesi del Nord Africa e del Levante, si sono sentiti per anni affibbiare in una società dominata dalla componente ashkenazita.
Ma se nel Likud, il partito conservatore, questo cambiamento sì è avvertito sin dagli anni 90 con l’ascesa fino alla carica di Ministro degli Esteri di David Levy, anch’egli di origini marocchine, nella sinistra laburista il mutamento è andato a rilento e l’unico politico sefardita che sia riuscito ad affermarsi ai vertici dello Stato è stato Moshè Katsav, radici iraniane, l’ex Presidente, messo in stato d’accusa e condannato per abusi sessuali.
Un’altra improvvisa ascesa seguita da rovinosa caduta è stata quella dell’ex generale e ministro della Difesa, Yitzhak Mordekai, di origini kurdo-irachene, anch’egli estromesso dal giro del potere per uno scandalo sessuale.
Cresciuto ed educato in un campo per nuovi immigrati, Avi Gabbay, s’è subito guadagnato la stima degli insegnanti per le sue straordinarie doti intellettuali. In politica ha fatto il suo esordio nel partito centrista Kulanu, per il quale ha ricoperto la carica di ministro dell’Ambiente, fino alla folgorazione che lo ha spinto al vertice dell’Unione Sionista grazie ad uno sponsor d’eccezione, l’ex primo ministro Ehud Barak.