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 2017  agosto 27 Domenica calendario

Tendopoli nel cuore di Roma. La vita sotto i portici di Santi Apostoli dei cento sfollati del palazzo di via Quintavalle

ROMA «Accogliere questa gente è come offrire una capanna a Gesù, Giuseppe e Maria. È lo spirito di papa Francesco. Non è una risposta ai loro problemi, aspettiamo che le istituzioni si muovano e assicurino una soluzione. Ma intanto affrontiamo l’ emergenza. La reazione della gente, dei fedeli? Sono tanti i gesti di solidarietà, le offerte di aiuto dei parrocchiani, dei passanti, anche dai rettori e dai parroci delle chiese vicine. E proseguiamo la nostra vita normale. Con loro qui». Fra Agnello Stoia, saio grigio dei Frati minori conventuali, è il parroco della Basilica dei Santi XII Apostoli a Roma: un tratto sereno ma deciso, sembra un professore universitario. Dal 10 agosto il portico quattrocentesco, sotto la facciata neoclassica del Valadier, ospita una tendopoli. Sulla cancellata le scritte spiegano: «Prima i poveri», «Casa/redditi/dignità», «Mai più senza casa». Più di cento persone (per un censimento auto-organizzato 45 bambini e 60 adulti) si sono accampate qui dopo lo sgombero del 10 agosto dello stabile occupato dal 2013 (ex Inps, ora di un privato) in via Quintavalle 88 a Cinecittà: ore di tensione, quel giorno, elicotteri a bassa quota, tafferugli ma nessun ferito. In serata manifestazione sotto la Prefettura, l’occupazione della vicina antica Basilica, dietro a piazza Venezia e via del Corso. Infine la trattativa: tendopoli sotto il portico. Alcuni sono reduci da un altro sgombero, quello di gennaio a Colle Monfortani, sulla Prenestina.
Tende da campo ultraleggere e materassi per un’umanità multicolore: italiani come Alberto, 35 anni, romano, lavori saltuari. O il romeno Costantino, 44 anni, muratore ammalato, con la moglie e la figlia di 9. E poi marocchini, sudanesi, molta gente dell’est europeo, siriani, sudamericani. Tra loro parlano italiano, unico collante linguistico comune. Donne col velo islamico condividono lo spazio con una bella ragazza centrafricana inguainata in un aderentissimo body nero. I bambini, che sanno organizzarsi nelle emergenze, giocano in piazza, dimenticando nazionalità, religioni, colori della pelle e lo sfratto. Basta un gessetto, il disegno della campana per terra, e sono risate.
Più cupi gli adulti. Solo voci, niente nomi e cognomi, è il patto se si vogliono racconti: «Ci hanno sgomberato senza prima darci una soluzione. Rifugiati politici? Non ci sono. Dal Comune arrivò una proposta: dividere le famiglie, mettere madri e bambini in qualche posto, gli uomini in mezzo a una strada. Inaccettabile. E poi tanti bambini sono iscritti alle scuole di Cinecittà, alla Don Gioacchino Rey in via Laparelli. Adesso, tra pochi giorni, come faranno? Nessuno ci risponde». Altre voci: «Niente servizi igienici, si ricorre alla pazienza di bar e ristoranti della zona, per lavarsi ci sono gli amici o le docce sotto al colonnato di san Pietro per i senza tetto. I bagni chimici, chiesti e richiesti, mai arrivati». Sulla sinistra del portico funziona un lavandino di fortuna, proprio sotto la tomba dell’incisore Volpato firmata da Canova, con un tubo attaccato a un rubinetto della Basilica: si lavano i panni e si stendono. E per mangiare? «Tantissimi aiuti degli abitanti di qui. Da questa e altre parrocchie. No, la Caritas non si è vista. Né si è vista la Comunità di Sant’Egidio. È venuta la Ronda della solidarietà, una onlus. Aspettavamo l’Elemosiniere del Papa che aiuta tutti, ma… Poi ci sono i turisti, tanti: fotografano, non credono ai loro occhi, regalano biscotti e caramelle ai bambini». Di fronte alla tendopoli palazzo Odescalchi, sulla sinistra palazzo Colonna, due regge del patriziato romano. Alberto li guarda: «Roma, ogni sera, diventa un dormitorio all’aperto e nessuno se ne occupa… Ci fanno sentire colpevoli di essere poveri».