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 2017  agosto 28 Lunedì calendario

Mayweather record nel match show. Ma non ripetiamolo più

Non c’era bisogno di essere dei grandi esperti per pronosticare Floyd Mayweather chiaro vincitore nel match contro Conor McGregor, l’irlandese delle Mma (arti marziali miste) che aveva voluto sfidare, con le regole pugilistiche, il pluricampione del mondo, accettando un confronto del tutto impari e senza un vero fondamento tecnico. Il più grande spettacolo del weekend, celebrato a Las Vegas nella consueta cornice di vip e lustrini, ha dato fiato alle velleità post-moderne di chi scambia lo sport per show-business, ma si è concluso nel modo previsto, con un k.o. tecnico che ha fermato l’incontro nel decimo dei dodici round programmati.
Il quarantenne Mayweather, incassati i 300 milioni di dollari di borsa, ha annunciato il ritiro. Smette senza aver mai perso, come fece Rocky Marciano nel 1955, ma con un match in più (50): un record, sia detto con franchezza, di cui può andare fiero sino a un certo punto. McGregor, respinto dalla storia, continuerà la sua carriera di guerriero degli spazi ottagonali: è il migliore, avrà occasioni per dimostrarlo.
Il pugile americano, inattivo da 23 mesi, ha avuto qualche problema solo nei primi tre round: l’irlandese, conscio che soltanto il fattore-sorpresa avrebbe potuto capovolgere la sfida a suo favore, magari con una rocambolesca soluzione nelle prime battute, lo ha subito assaltato cercando di piazzare il gancio sinistro, il suo colpo migliore. Mayweather ha atteso che quel furore si esaurisse, poi ha cominciato a macinare il pugilato che conosce, una boxe non spettacolare ma solida, piena di valori e di saperi, padrona dello spazio e del tempo. Ha concesso poco alla platea (non è una novità) ma è andato dritto al sodo: ha preso un margine rassicurante e, dalla sesta ripresa in avanti, quando Conor ha mostrato un cedimento fisico, ha cominciato a pianificare la fine del match, certo immaginando la terribile sequenza di due diretti destri e un gancio sinistro con la quale, qualche minuto più tardi, avrebbe piegato la resistenza dell’irlandese.
Conor il rosso, debuttante sul quadrato (mai dimenticarlo: il suo record è di 21 vittorie e tre sconfitte nelle mixed martial arts), ha fatto quel che ha potuto. Penalizzato dalle regole imposte nel match (i guantoni più leggeri è stata l’unica concessione), è subito finito in un cortocircuito di azioni scomposte che l’avversario ha annullato utilizzando i semplici fondamentali del pugilato: gioco di gambe, finte e schivate. Con le regole del fighting estremo, crediamo, sarebbe accaduto l’esatto contrario: e in questa semplice, suggestiva constatazione è racchiusa l’incongruenza tecnica di questa sfida ibrida e senza veri brividi, ben recitata dai due protagonisti ma priva della passione e della tensione che caratterizza i grandi confronti di boxe o di Mma.
Si è vista insomma tutta la differenza tra due mondi che viaggiano su binari paralleli, ognuno con le proprie regole e la propria dignità, destinati a rimanere distanti per ragioni storiche e tecniche, o forse soltanto logiche.