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 2017  agosto 28 Lunedì calendario

Venezuela e Libia così i governi sprecano le risorse

Questa estate 2017 ci ricorda che sono ancora molti i posti nel mondo dai quali si fugge a causa di crisi economiche generate da instabilità politica, malgoverno, interessi personali che prevalgono su quelli generali. Tra i tanti, due casi sono paradossali: la Libia e il Venezuela. Entrambi hanno la fortuna di possedere nel sottosuolo la materia prima per antonomasia, il petrolio; stanno invece sperimentando profonde recessioni economiche e ci vorranno anni per tornare ai livelli pre-crisi.
Secondo il Rapporto annuale dell’Opec, il Venezuela è il primo Paese al mondo per riserve petrolifere certificate, e con circa 300 miliardi di barili possiede il 20 per cento di tutte le riserve petrolifere mondiali. Ma è ad oggi soltanto l’undicesimo produttore mondiale e la produzione giornaliera è calata, rispetto al picco del 2006, almeno del 20 per cento (l’ultimo dato si riferisce al 2015).
Anche la Libia ha enormi potenzialità: per riserve petrolifere è l’ottavo Paese al mondo e di gran lunga il primo nella regione, ma la sua produzione è letteralmente crollata, con un meno 75 per cento rispetto al 2010, occupando il 29o posto nella classifica dei produttori.
Il contesto rende ovviamente impossibile sviluppare attività economiche di mercato, anche perché la situazione politica impedisce una corretta informazione. Le statistiche ufficiali della Banca Mondiale sul prodotto interno lordo del Venezuela si fermano al 2013, quelle della Libia al 2011. Il Fondo Monetario Internazionale non produce un rapporto di analisi per i due Paesi da anni, quando invece, da statuto, dovrebbe aggiornarlo ogni anno. Senza una adeguata informazione indipendente sulle principali variabili macroeconomiche, nessun investitore, sia nazionale che internazionale, può sviluppare in modo razionale scelte di investimento per il futuro. A meno di non essere una industria di Stato ed essere obbligata dal regime di turno.
Fidandosi delle stime ad oggi disponibili, il prodotto interno lordo del Venezuela potrebbe ormai essere tornato ai valori di 20 anni fa, il deficit pubblico supera il 20 per cento del Pil, le riserve in valuta pregiata sono ridotte al minimo, le esportazioni – per la quasi totalità petrolio – sono crollate. Il valore della valuta nazionale è in caduta libera, dove le stime parlano di un’inflazione che ormai supera il 1000 per cento all’anno. Come conseguenza, i consumi privati sono minimi, con i salari erosi dall’inflazione, gli investimenti azzerati, così come le importazioni. Il tutto, nel giro di poco meno di 5 anni. Oggi il Venezuela avrebbe disperato bisogno di finanziamenti esterni, ma gli investimenti esteri privati sono impensabili e anche per la comunità internazionale non ci sono le condizioni per un prestito. Peraltro, il Venezuela non sarebbe neanche disposto ad accettarlo perché questo significherebbe accettare delle condizioni su privatizzazioni, finanza pubblica, indipendenza della banca centrale, riforme strutturali.
In Libia la situazione non è molto differente. Il prodotto interno lordo stimato è 1/3 rispetto ai valori pre-rivoluzione: per fare un paragone, è come se il Pil italiano fosse ritornato nel giro di 5 anni al livello della metà degli Anni 80; le infrastrutture sono state danneggiate da anni di guerra civile, il turismo, che era una ragguardevole fonte di guadagno e stava trasformando la Libia in una delle principali mete del Nord Africa non esiste più, il deficit pubblico è probabilmente intorno al 70 per cento del Pil.
La sfida principale per la Libia sarà quella di ricreare le condizioni per sviluppare l’attività privata e di usare i proventi del petrolio non per sussidiare la popolazione (gli stipendi pubblici assorbono il 60 per cento del Pil) ma per costruire infrastrutture.
Tutto ciò ci riguarda da vicino, per i legami storici ed economici che l’Italia ha sia con la Libia che con il Venezuela. Molte aziende italiane dell’indotto petrolifero e delle costruzioni avevano sviluppato attività in e con la Libia, e l’Italia ne rappresentava il primo mercato di sbocco. Senza contare naturalmente la presenza dell’Eni, in Libia dal lontano 1959.
In Venezuela, migliaia di italiani erano emigrati negli Anni 70 e 80 attratti dalle potenzialità del Paese e diffuse erano le attività di import-export. C’è poi l’emigrazione più antica, con i venezuelani che hanno il doppio passaporto. Nel complesso, oltre ai 160 mila italiani registrati all’anagrafe dei residenti all’estero va aggiunto almeno un altro milione di italo-venezuelani, facendo della comunità italiana la seconda, dopo quella spagnola, presente nel Paese.
La situazione politica nei due Paesi è così complessa che soluzioni a breve termine non si intravvedono. Quanto ancora dovrà impoverirsi la popolazione venezuelana e libica prima di ottenere, finalmente, un buongoverno che prenda atto delle enormi potenzialità economiche?
@MontaninoUSA