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 2017  agosto 28 Lunedì calendario

La Liguria ostaggio dei micro gestori. Rifiuti, strade, acqua: il flop dei tagli

Più società pubbliche che Comuni – 248 contro 235 – stando all’ultima ricognizione dell’Istat, un rapporto che suona ancor più stridente se si considera che 133 centri non superano i 2 mila abitanti e hanno bilanci da poche migliaia di euro.
Riforme rimaste sulla carta
In Liguria, lingua di terra che da Ventimiglia a Sarzana conta 1,5 milioni di abitanti, poco più del solo Comune di Milano, la gestione disinvolta delle società partecipate è un fardello che nessuna riforma, fino a oggi, è riuscita a scalfire. E se il numero di addetti, nel tempo, è sceso notevolmente, dopo aver rappresentato un serbatoio elettorale e man mano che i vincoli alle assunzioni si sono fatti più stringenti, le società restano un numero abnorme. Non solo: resiste saldamente un panorama a dir poco frastagliato, che accanto ai gestori dei servizi principali registra una lunga serie di piccole e piccolissime realtà, fino a vere e proprie anomalie. A partire da Genova, dove da anni si tenta invano di dismettere la società che gestisce – in perdita – le farmacie comunali o Bagni Marina, srl cui fanno capo un nucleo di stabilimenti balneari. Fino a società che sono nate, sono sopravvissute, quindi sono state chiuse senza portare a casa nulla di concreto, come la “partecipata” che, a Genova, avrebbe dovuto favorire la costruzione di un sempre annunciato tunnel sotto al porto per sostituire la strada Sopraelevata. O quella che dal 1967, promuove, a cavallo tra Liguria e Piemonte, la costruzione dell’autostrada Albenga-Garessio-Ceva. E tuttavia il numero è solo una parte del problema. E l’esborso dovuto agli amministratori, i cui compensi non superano nemmeno nelle società con i fatturati più alti i 50-55 mila euro lordi annui – e che spesso sono nell’ordine delle poche migliaia di euro, quando non nulli – pur rappresentando una dispersione da correggere, non è l’aspetto peggiore. È infatti superato di gran lunga dallo stato dei servizi pubblici essenziali, spezzettati tra decine di soggetti diversi e quasi sempre assegnati senza alcuna procedura concorrenziale. E capaci di fagocitare risorse milionarie.
Il buco nero dei rifiuti
Non è un caso che uno dei due settori più frammentati, quello dei rifiuti, sia anche quello disastrosamente più inefficiente, costretto a ricorrere, a caro prezzo, all’assistenza delle regioni vicine per gestire la spazzatura, dopo decenni di inerzia e assenza di investimenti sugli impianti. Secondo i dati della fondazione Utilitatis, in Liguria il servizio di raccolta dei rifiuti viene svolto da 49 operatori diversi, inclusi ben 20 Comuni che lavorano in economia, cioè fanno da sè. Ancor peggio, da questo punto di vista, il servizio idrico. A fronte di sei “gestori unici”, in alcuni casi del tutto teorici, perché previsti per legge ma lontani dall’essere soggetti operativi, si contano 10 operatori pubblici e 7 misti – su 85 totali – dei quali ben 63 gestiti in proprio dai Comuni.
«Nel settore idrico – rileva Valeria Garotta, direttore della fondazione Utilitatis – se Genova e La Spezia hanno ambiti operativi e gestori unitari da tempo, il che è il requisito fondamentale per realizzare gli investimenti che garantiscono la qualità del servizio, rimane da completare l’assetto nell’ambito di Imperia, dove pur si sono fatti passi in avanti verso l’operatività di Rivieracqua». Discorso a parte, aggiunge, riguarda la realtà savonese, in cui l’organizzazione del servizio idrico dovrà essere ripensata, con un allungamento dei tempi verso l’operatività del gestore unitario, dopo il recente pronunciamento della Corte Costituzionale che ha giudicato illegittimi i tre ambiti savonesi. «Nel settore dei rifiuti sarebbe auspicabile una razionalizzazione del sistema. In questo senso bisognerà vedere se la legge recentemente emanata dalla Regione riuscirà a dare un contributo in tal senso», dice Garotta. Più in generale, tutti i tentativi passati di mettere mano alle società in orbita pubblica sono naufragati miseramente. Perché i tagli o sono stati assenti, o hanno riguardato “scatole” inserite in realtà più grandi, nate anni prima per perseguire finalità specifiche poi rimaste lettera morta.
Il flop degli accorpamenti
Solo in casi estremi le società sono sparite. Ma, come accaduto nel capoluogo di regione, nell’ultima razionalizzazione su 8 società tagliate 4 non facevano nulla e 3 sono state accorpate in altre spa. Ciò, prima della più stringente legge Madia. Mentre incombe la scadenza del 30 settembre, c’è già chi parla della necessità di proroghe.