Corriere della Sera, 28 agosto 2017
Lavoro, chi ha pagato il conto della crisi
Gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato (contratto a tutele crescenti), che il governo dovrebbe varare con la legge di Bilancio per il 2018, non riguarderanno tutte le assunzioni come il superbonus del 2015, ma solo quelle dei giovani e saranno molto più bassi (secondo le ipotesi allo studio, lo sgravio massimo per le imprese sarebbe di 3.250 euro l’anno per due o tre anni per ogni assunzione, contro gli 8.060 euro per tre anni del superbonus). L’esecutivo sta ragionando su dove fissare il tetto d’età: se a 29 o 32 anni.
Ventinove anni ha più chance perché, coinvolgendo una platea di lavoratori più circoscritta, solo gli under 29 appunto, l’agevolazione costerebbe meno alle casse dello Stato: 900 milioni circa il primo anno, 2 miliardi a regime. L’andamento del mercato del lavoro negli ultimi 14 anni sembra però indicare che è soprattutto la fascia tra 25 e 34 anni che andrebbe sostenuta. E quindi sarebbe meglio fissare l’asticella almeno a 32 anni, se non a 35. Vediamo perché, analizzando le serie storiche Istat degli occupati e disoccupati che partono dal 2004 e arrivano a giugno 2017, ultimo dato disponibile.
Il crollo tra 25 e 34 anniOsservando le rilevazioni per fascia d’età, è vero che quella tra 15 e 24 anni ha visto un forte calo degli occupati (oggi circa mezzo milione in meno rispetto a prima del 2007) e un’impennata della disoccupazione (dal 25 al 35% circa), ma in questo gruppo per la maggior parte sono studenti.
Più grave la situazione nella fascia successiva, quella tra 25 e 34 anni, composta quasi interamente da individui che hanno smesso di studiare e si affacciano sul mercato del lavoro. Qui i dati sono impressionanti: nel 2004 gli occupati erano 6 milioni, per un tasso di occupazione (rapporto tra gli occupati e popolazione nella stessa fascia d’età) del 70% e i disoccupati erano meno di 700 mila per un tasso di disoccupazione (in rapporto alle corrispondenti forze di lavoro) del 10%.
Situazione che va avanti così più o meno fino alla crisi del 2007. Poi il crollo. Oggi in questa fascia d’età gli occupati sono 4 milioni, cioè 2 milioni in meno rispetto al 2004, il tasso di occupazione è sceso di 10 punti e quello di disoccupazione è salito al 17,4%. Sommando le prime due fasce d’età, fra gennaio 2004 e giugno 2017 si sono persi 2,7 milioni posti, dei quali due milioni dalla crisi del 2007 a oggi.
Il boom degli over 50L’unica fascia d’età in controtendenza è quella di chi ha più di 50 anni. Dal 2004 a oggi, gli occupati sono quasi raddoppiati, passando da 4,8 agli 8,1 milioni attuali: 3,3 milioni in più. Una corsa inarrestabile, favorita non solo dall’invecchiamento della popolazione, ma soprattutto dalle riforme delle pensioni che hanno spostato più avanti i requisiti anagrafici per lasciare il lavoro. In quattordici anni il tasso di occupazione degli over 50 è salito dal 22 al 31% e il tasso di disoccupazione è passato dal 4 al 5,9%. Nel complesso, dal 2004 a oggi, gli occupati hanno sempre oscillato tra i 22 e i 23 milioni. A giugno 2017, con 22 milioni 960 mila posti, abbiamo fatto un altro passo in avanti verso il massimo toccato nell’aprile del 2008 con 23 milioni 191 mila.
Ma la composizione per fasce d’età è molto cambiata. Rispetto a prima della crisi, si sono persi mezzo milione di occupati nella fascia 15-24 anni e ben 1,5 milioni in quella 25-34 anni, più che compensati da 2,7 in più tra gli over 50, per i quali servirebbero non tanto incentivi alle assunzioni, ma politiche di formazione e ricollocazione per chi perde il lavoro.
Record di precariLa ripresa dell’occupazione complessiva, tornata quasi ai livelli pre-crisi nonostante il Pil sia ancora 6 punti sotto i livelli del 2008, è stata favorita dalla decontribuzione triennale, il superbonus Renzi, costato ben 18 miliardi di euro alle casse dello Stato. Rispetto a dicembre 2014, ultimo mese prima del bonus, i dipendenti a tempo indeterminato sono aumentati di 445 mila, passando da 14 milioni 529 mila a 14 milioni 974 mila, avvicinandosi anche in questo caso al picco pre-crisi (15 milioni 31 mila nell’agosto 2008). Ma sono cresciuti, in particolare dopo la fine del superbonus, anche i dipendenti a termine: da 2 milioni 314 mila (dicembre 2014) a 2 milioni 690 mila (giugno 2017), toccando un livello senza precedenti.
Due quindi le indicazioni che vengono dai dati: concentrare le risorse sulle assunzioni dei giovani, magari alzando il tetto d’età e l’importo dello sconto, e soprattutto varare incentivi strutturali, che rendano le assunzioni a tempo indeterminato più convenienti di quelle a termine per sempre e non solo per alcuni anni, come il vecchio superbonus.
Sconto strutturaleIn questo senso il governo sta studiando un taglio permanente di 4 punti dei contributi (due a favore dell’impresa e due del lavoratore) che scatterebbe una volta esaurito il nuovo bonus assunzioni, cioè fra due-tre anni. Misura che potrebbe essere finanziata con il maggior gettito che deriverà dall’introduzione della fatturazione elettronica tra imprese private, che dovrebbe andare a regime dal 2019.