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 2017  agosto 26 Sabato calendario

Le lettere preventive di papa Paolo VI per dare le dimissioni

Paolo VI, pensando alla possibilità di una sua lunga inabilità e al rischio di paralizzare il governo della Chiesa, aveva preparato due lettere autografe di dimissioni. Lo ha confermato il cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto emerito della Congregazione dei vescovi e sottodecano del collegio cardinalizio, già stretto collaboratore di Papa Wojtyla. Il porporato bresciano ha rilasciato un’intervista al quindicinale bergamasco Araberara. E ha spiegato che le due lettere «me le mostrò Giovanni Paolo II».
Il timore
Raggiunto telefonicamente da La Stampa, il cardinale Re aggiunge: «Erano due lettere scritte a mano, non ricordo esattamente la data, ma non si trattava dell’ultimo periodo di vita di Papa Montini. Mi sembra che risalissero alla fine degli Anni Sessanta o al 1970. Paolo VI era preoccupato di una sua possibile futura inabilità, di un grave impedimento che non gli permettesse di svolgere il suo ministero – continua il porporato – e per questo aveva voluto premunirsi».
Siamo qui di fronte a un caso storico molto diverso da quello della rinuncia per anzianità o perché vengono meno le forze, come è avvenuto per la prima volta nella storia della Chiesa nel febbraio 2013 con il gesto di Benedetto XVI. Fin dal Medioevo Bonifacio VIII, successore del dimissionario Celestino V, aveva razionalizzato l’istituto della rinuncia con un apposito decreto. La rinuncia del Pontefice è poi entrata nel Codice di diritto canonico del 1917 e in quello attuale e vigente, datato 1983.
La malattia
L’ipotesi di Montini riguardava un problema diverso: che cosa bisogna fare se il Papa si ammala e rimane a lungo incosciente o è colpito da un morbo che ne diminuisce le capacità mentali? Va ricordato che Paolo VI nel novembre 1967 venne sottoposto a un intervento chirurgico alla prostata in anestesia totale, compiuto non in ospedale ma in una sala operatoria allestita nell’appartamento papale: che cosa sarebbe accaduto, ad esempio, se non si fosse risvegliato rimanendo a lungo in coma?
Per cercare di risolvere il dilemma, di fronte al prolungarsi della vita grazie alle scoperte della medicina, il Papa aveva dunque deciso di premunirsi con due dichiarazioni autografe, che dovevano essere tirate fuori dal cassetto nel caso lui non fosse più in grado di far presente la sua volontà (cosa che invece ha fatto nel 2013 per Benedetto XVI, il che rende i due casi non paragonabili). Un’iniziativa, quella di Montini, che si inseriva nella scia dei pontificati precedenti: Pio XI aveva meditato la possibilità di lasciare in caso di malattia, mentre Pio XII aveva predisposto qualcosa di simile in caso di deportazione da parte dei nazisti: «Se mi rapiscono, avranno il cardinale Pacelli, non il Papa».
Con la lettera indirizzata ai porporati del collegio cardinalizio Paolo VI annunciava dunque la sua rinuncia. Con la seconda lettera, indirizzata – ci ha spiegato il cardinale Re – al «Segretario di Stato pro tempore, cioè al suo principale collaboratore in quel momento, senza indicazione del nome», il Pontefice bresciano lo incaricava di insistere con il collegio cardinalizio perché la rinuncia fosse accettata.
Non si era più nell’epoca dei Papi rapiti o deportati (Pio VI nel 1799 fu l’ultimo a morire in esilio, prigioniero di Napoleone, a Valence-sur-Rhône, ma anche il suo successore Pio VII rimase per anni in balia dell’imperatore francese), ed era finita anche l’epoca dei dittatori che minacciavano Roma come fece Hitler. Le motivazioni erano diverse, temeva di cadere ammalato e di non essere più in condizioni di manifestare liberamente la sua decisione di lasciare. «Lo preoccupava – aveva raccontato il gesuita padre Paolo Dezza, confessore di Papa Montini – il pensiero di un’infermità che lo rendesse inabile al lavoro, per il danno che ne sarebbe venuto alla Chiesa».
Le copie
Copia delle lettere dovrebbe trovarsi nell’archivio della Segreteria di Stato, ma anche il segretario particolare di Paolo VI, Pasquale Macchi, scomparso nel 2006, ne aveva conservata copia. È infine significativo che le lettere siano state mostrate al cardinale Re da Papa Wojtyla. Giovanni Paolo II, a partire dalla metà degli Anni Novanta, era stato colpito dal morbo di Parkinson, e con l’avanzare della malattia aveva preso in considerazione la possibilità di rinunciare.