La Stampa, 26 agosto 2017
Arbitrati da 175 milioni. Le cause perse portano Roma verso il dissesto
Due bombe sotto i conti del Comune di Roma. Due arbitrati – trasporti e rifiuti – da 175 milioni in grado di mandare in dissesto il Campidoglio. C’è anche questo dietro il quarto cambio della guardia all’assessorato al Bilancio. Controversie legali nate anni fa, che ora producono effetti in grado di abbattersi sulla già fragile giunta M5S.
Virginia Raggi era appena partita per le vacanze, quando in Campidoglio è stata notificata «l’ordinanza non impugnabile» del tribunale di Roma, su un contenzioso dell’Atac, l’azienda comunale trasporti, contro Roma Tpl, un consorzio privato che svolge parte (20%) del servizio bus nelle periferie. La lettera del consorzio, che accompagna il provvedimento giudiziario, dà a Atac e Comune 15 giorni per pagare i circa 83 milioni di risarcimento «al fine di evitare l’esecuzione forzata».
I 15 giorni sono scaduti ieri. Roma Tpl si rivolgerà al Tar per chiedere la nomina di un commissario che effettui il pagamento sostituendosi al Comune.
Le sconfitte
Il contenzioso risale al 2009. Il consorzio Roma Tpl rivendicava una revisione dei prezzi per il servizio svolto e un riconoscimento economico per prestazioni accessorie. Atac non voleva pagare. Ne nacque un arbitrato, ovvero un giudizio semplificato devoluto a un collegio arbitrale (un arbitro a testa nominato dalle parti, il presidente nominato dai due arbitri). Da quel momento, Atac e Comune hanno inanellato una serie impressionante di sconfitte giudiziarie. Perso l’arbitrato (2009). Perso il ricorso alla Corte d’appello (promosso nel 2010 e deciso nel 2014). Perso il ricorso in Cassazione (2014-2016). Perso il giudizio cautelare di opposizione all’esecuzione della sentenza (2015), poi anche quello di merito (2016). Perso il giudizio di opposizione all’atto di precetto (2016). Fino all’ultimo provvedimento.
Ciascuno di questi passaggi processuali ha comportato spese legali per diverse centinaia di migliaia di euro a carico della parte pubblica e un vertiginoso aumento del risarcimento. All’inizio, Roma Tpl si sarebbe accontentata di 26 milioni. Dopo l’arbitrato, la cifra era lievitata a 31 milioni. Dopo il primo ricorso a 51 milioni. Dopo la sentenza della Cassazione a 83 milioni, e ancora cresce a colpi di 500 mila euro di interessi mensili.
Una Caporetto legale. L’avvocatura comunale si è sempre opposta a qualsiasi ipotesi di transazione. Nel 2015, dopo la sconfitta in appello, gli assessori Esposito e Causi chiesero un mandato a trattare. L’ipotesi era di ottenere uno sconto di un terzo. L’avvocatura comunale si oppose, il sindaco Marino si adeguò e non se ne fece niente. «Fu il motivo della mia rottura con lui – dice Esposito – e ora è stato il motivo della rottura Raggi-Mazzillo, che s’è reso conto della gravità della situazione».
Non è l’unico arbitrato, negli ultimi anni, ad aver affossato le aziende comunali e, di riflesso, il Campidoglio, che si fa carico dei risarcimenti contratti dalle società partecipate. Leggendari i molteplici arbitrati intentati dal «re dei monnezzari» Manlio Cerroni contro l’Ama, l’azienda comunale. Il primo si riferisce alla discarica di Malagrotta. Cerroni batteva cassa lamentando l’aumento dei costi per la futura bonifica della discarica di Malagrotta. L’Ama ha perso l’arbitrato (2012) e il ricorso in appello (2013). Nell’attesa della sentenza della Cassazione, Colari ha chiesto e ottenuto dal tribunale, nel febbraio scorso, l’esecutività della sentenza arbitrale. Il valore è di 92 milioni. Soldi che in qualsiasi momento Cerroni può esigere dal Campidoglio. Ma dopo sei mesi non accenna a reclamarli, sebbene il commissario Luigi Palumbo (nominato dopo l’interdittiva antimafia) abbia lamentato difficoltà finanziarie persino in Parlamento. Perché non incassare quei soldi a disposizione? Una spiegazione avrebbero potuto darla i consulenti di Pricewaterhousecoopers, se nel frattempo non avessero rinunciato polemicamente all’incarico.
I soliti sospetti
Per l’arbitrato Ama-Colari si rivolse alla Procura l’allora presidente dell’Ama, Daniele Fortini. Non gli tornavano i conti: l’Ama era stata condannata a pagare 80 milioni, stimando un costo di bonifica di 105. Peccato che nel frattempo, data la prolungata operatività della discarica, avesse già versato per la bonifica altri 144 milioni. Ben più del necessario.
Fortini (con il sindaco Marino) si mosse anche per un altro «anomalo» arbitrato Ama-Cerroni, addirittura da 900 milioni di euro. Il collegio arbitrale aveva dato ragione a Cerroni con una prima sentenza, ma la perizia che doveva quantificare il danno, affidata a Enrico Laghi, attuale commissario Alitalia, la vanificò stabilendo che non era possibile. Il collegio fece retromarcia. In mezzo, c’era stato la denuncia di Fortini alla magistratura. «Uno dei rari casi nella storia del diritto in cui si è riusciti a ottenere un rigetto integrale della domanda dopo un primo singolare ma esplicito accoglimento», ricorda Gianluigi Pellegrino, l’avvocato che Fortini ingaggiò dopo il primo round.
Gli arbitrati sulle opere pubbliche sono vietati dal 2008 (decreto Di Pietro). Ma per le aziende pubbliche sopravvivono. Nei collegi arbitrali siedono docenti di fama, avvocati di studi accorsati, grand commis, superconsulenti di grandi imprese. Tutti romani. Gli arbitri incassano l’1,50% sulla cifra contesa. Il destino della Capitale è nelle loro mani.