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 2017  agosto 26 Sabato calendario

Intervista al Nobel per l’economia Eugene Fama: «La presenza ingombrante dei governi sta frenando la crescita in Europa»

«Mario Draghi sta facendo quello che deve, ma sull’Europa pesa la presenza troppo ingombrante dei governi, che non agevola una crescita dinamica». A dirlo è Eugene Fama, premio Nobel per l’economia 2013 e professore all’università di Chicago.
Professore, un discorso di ampio respiro quello di Draghi, in qualche modo in sintonia con quello di Yellen. Pensa che i mercati ne saranno rassicurati?
«Draghi sta facendo un buon lavoro, la Bce ha imboccato la stessa strada percorsa dalla Federal Reserve anni prima e il suo corso sarà forse un po’ più lungo, anche per le caratteristiche dei mercati e dell’economia dell’Eurozona».
Quindi le pressioni della Bundesbank sono inopportune?
«Le misure di sostegno alla crescita servono senz’altro, specie all’indomani di una crisi da cui l’Europa esce assai malconcia. Ma i vostri problemi hanno radici più profonde».
Cosa intende?
«In Europa, specie in alcuni Paesi, le dimensioni del settore privato sono davvero ridotte. C’è troppo Stato, i governo sono ingombranti. Un recente rapporto parlava di una presenza del pubblico nella attività produttive pari a circa il 66% facendo una media. C’è troppa interferenza e burocrazia e questo non aiuta la crescita sostenibile e dinamica».
Quindi la Bundesbank ha ragione?
«Io dico che le manovre monetarie di sostegno alla crescita devono aiutare le economie a rialzarsi, ma devono essere seguite a misure che permettano agli Stati di riacquistare la capacità di camminare con le proprie gambe».
Cosa che in Europa non accade?
«In certi casi sì, altri no. I governi devono agevolare il settore privato nelle attività economiche, non interferire in queste».
Quindi serve una deregolamentazione?
«Servono a una semplificazione dal punto di vista burocratico e governi meno ingombranti. A proposito di deregolamentazione, Janet Yellen ha ragione a difendere il proprio operato e quello della precedente amministrazione in termini di riforme volte a rafforzare il sistema finanziario. Sono stati fatti importanti migliorie in termini di requisiti di capitale degli istituti bancari americani e questo ha reso più vigorosa la resilienza del sistema nel suo complesso».
C’è però chi vede nel suo discorso un attacco a Donald Trump e alla sua voglia di deregulation, non trova?
«La deregolamentazione in sé non è qualcosa da mettere all’indice per principio, ci sono esempi nel recente passato di deregulation misurate e virtuose che hanno apportato beneficio al sistema finanziario. Certo se si eccede in senso opposto i rischi ci sono eccome. Bisogna capire che tipo di deregulation ha in mente Trump».
Lei si è fatto un’idea?
«E chi può dirlo? Il punto è proprio questo, chissà cosa ha in mente Trump per deregulation. È ovvio che i mercati dinanzi alla prospettiva di una deregolamentazione si scaldino, ma non aver chiaro cosa intenda e fino a dove si voglia spingere il presidente in ultima istanza è un fattori di destabilizzazione, e il vero rischio è proprio questo».
Quindi nessun messaggio politico nel discorso di Yellen?
«È indirizzato anche alla politica. A fare regole e riforme sono principalmente Congresso e Casa Bianca, la vigilanza e la stabilità del sistema finanziario però sono materia di competenza della Fed».
Crede che verrà confermata alla guida di Constitution Avenue?
«Chi può dirlo, questa amministrazione è imprevedibile. Ci sono segnali in senso opposto, ma magari poi Trump la conferma perché non si fida di altri».
Nemmeno di Gary Cohn?
«Non credo che cambi molto se Cohn prende le redini della Banca centrale. Forse potrebbe essere più utile alla Casa Bianca».