Il Sole 24 Ore, 25 agosto 2017
Draghi e la Yellen a Jackson Hole
Attese deluse. Gli investitori si aspettavano qualche indicazione, ieri, dalle parole di Mario Draghi presidente della Banca centrale europea. Niente però, nel suo ricco discorso sull’«interdipendenza tra ricerca e politica», è stato trasformato in uno spunto operativo, e la stessa cosa potrebbe accadere domani, quando è previsto un analogo discorso “accademico” al Simposio economico di Jackson Hole, organizzato dalla Federal Reserve di Kansas City.
La Bce, del resto, aveva avvertito: le prossime indicazioni di politica monetaria arriveranno in autunno. Il rialzo dell’euro – il cambio effettivo ha toccato a fine luglio i massimi da settembre 2014 e resta vicino ai livelli di dicembre 2014 – aveva però fatto pensare che il presidente della Bce volesse ripetere il messaggio di luglio: se i mercati esagerano, la politica cambia. L’intervista di ieri della BoersenZeitung a Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, secondo il quale non c’è «una necessità acuta» di prolungare il quantitative easing (qe), da cui chiede un’uscita «ordinata che deve essere programmata tempestivamente» ha aumentato il desiderio di qualche precisazione.
Draghi, nel suo discorso al Nobel Laureate Meeting di Lindau, in Germania, ha difeso il Qe – che sul piano teorico poteva apparire ininfluente – perché permette di superare i vincoli derivanti dal leverage, a lungo ignorati dagli economisti – e ha fatto riferimento alle «nuove sfide», alle quali i banchieri centrali devono prepararsi. Sono parole che si si riferivano però alle frontiere della ricerca («La propagazione non lineare degli shock, l’impatto sulla distribuzione delle politiche, come l’ingresso e l’uscita endogena delle aziende può condizionare le performance economiche») mentre nulla ha detto sulla situazione economica attuale.
Jackson Hole, che si aprirà stanotte e si chiuderà sabato, non promette nulla di diverso. Solo in poche occasioni – Bernanke nel 2012, Draghi nel 2014 – è diventato un palcoscenico da cui si sono lanciati messaggi ai mercati. È, dal 1978, l’annuale incontro tra banchieri centrali ed economisti, e in questo 2017 ha come tema “Favorire una dinamica economia globale”, titolo che lascia immaginare un’enfasi sulla crescita, sulle interazioni internazionali delle politiche monetarie, sulla globalizzazione. Alcune fonti della Bce hanno escluso che nel suo discorso di domani – alle 21 italiane – Draghi possa far accenni alla politica monetaria attuale.
Il discorso di ieri mostra quanto potrà essere attento il presidente della Bce a evitare qualunque riferimento all’attualità. L’esperienza recente lo ha molto scottato. A Sintra, in un appuntamento analogo a quello di Jackson Hole, Draghi aveva parlato a lungo del vero grande tema, analitico e politico insieme, in discussione oggi: il ritardo con cui i prezzi reagiscono alla crescita, un argomento che vede impegnati anche i banchieri centrali della Federal reserve. In quell’occasione gli investitori – che in realtà, e come spesso avviene, cercavano solo conferme alle loro aspettative – si concentrarono su un vago, e rituale, accenno alla forza dell’economia, scatenando reazioni sulle quotazioni che hanno rischiato di rendere inadeguata – perché improvvisamente appariva troppo restrittiva – la politica monetaria.
Difficile che Draghi voglia rischiare un esito simile. Il tema della stabilità dei prezzi, l’obiettivo della Bce, è stato del resto ampiamente esplorato negli ultimi interventi. È possibile allora che sia scelto un argomento più astratto. Non però i rapporti con la finanza di cui ha discusso oggi; e forse nemmeno gli aspetti distributivi della politica monetaria, di cui ha parlato il suo vice Vítor Constâncio martedì (spiegando che sono «piuttosto modesti»). Il tema della conferenza, inoltre, invita a discutere dello scenario internazionale (anche se Eurolandia è sempre un buon esempio di integrazione, sia pure regionale).
Non parlerà forse di inflazione – come invece gli investitori si attendono – neanche la presidente della Fed Janet Yellen, il cui discorso si concentrerà sulla «Stabilità finanziaria», un tema – molto caro alla Banca dei regolamenti internazionali – che resta sullo sfondo della discussione non solo accademica: da una parte ci sono crescenti segnali di stress, anche creditizio, che vengono dalla Cina e da altri Emergenti; dall’altra si discute se la politica monetaria ancora molto espansiva, nell’attesa di una risposta dell’inflazione, possa alterare il costo del rischio e quindi lanciare segnali sbagliati.