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 2017  agosto 24 Giovedì calendario

L’aiuto piovuto dal cielo

Un tempo quando intere aree verdi, boschi e montagne stavano per essere inghiottite dalle fiamme, quando casolari e villette erano lambite, si alzavano gli occhi al cielo e si chiedeva un miracolo. Oggi si continua a guardare in alto, ma nella speranza di veder arrivare aerei di colore giallo dai rombi potenti: è la flotta dei Canadair italiani che, mai come quest’estate, ha salvato vite ed evitato tragedie triplicando il numero di interventi rispetto al 2016. Secondo Legambiente, in tutta la Penisola la superficie complessiva  bruciata, da gennaio al 10 agosto, ha superato quota 100 mila ettari: più o meno cinque volte l’estensione di un città come Milano. Un dato più che raddoppiato rispetto a quanto andato in fumo in tutto il 2016. In particolare, solo nel periodo fra il  15 giugno e l’otto agosto, secondo i dati del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le missioni dei 19 velivoli a disposizione sono state 2.771 (contro le 960 dello stesso periodo del 2016). Missioni che spesso lasciano con il fiato sospeso chi le guarda perché gli aerei si infilano fra funicolari, tralicci  e alberi in fiamme: sono dei veri e propri acrobati dell’aria. «Per poter prendere la cloche di uno di questi velivoli», spiega l’ingegnere Giuseppe Romano, direttore centrale per l’emergenza dei Vigili del fuoco, «serve un addestramento specifico con oltre 1.500 ore di volo come co-pilota alle spalle». Spesso, infatti, evitare scempi ambientali irreparabili, è questione  di minuti e per questo dall’allarme al decollo devono trascorrere al massimo 30 minuti. «Gli equipaggi, composti da due persone, partono dalle basi di Genova, Roma, Ciampino, olbia, Lamezia terme, trapani e una volta raggiunto il rogo, da terra ricevono dal direttore delle operazioni di spegnimento le informazioni dettagliate sui punti  di maggior pericolo non segnalati dalle cartine, come cavi telefonici o elettrici e una descrizione del rogo». Il pilota, quindi, studia in pochi minuti il movimento delle fiamme, il modo in cui avanzano e le zone più a rischio. «Ogni incendio ha una “testa”, dei “fianchi” e una “coda” e per decidere quali dei tre “attaccare” è fondamentale il coordinamento  con gli uomini a terra». Appena è chiaro l’obiettivo si passa all’azione. «Viene sganciata una bomba d’acqua di oltre sei mila litri a una distanza ravvicinata di una trentina di metri perché altrimenti sulla vegetazione arriva una pioggerella». Questa operazione è facile a dirsi meno a farsi perché viene eseguita volando fra i 170 e i 250 chilometri orari fra arbusti in fiamme e cavi. La tensione e la concentrazione del pilota in questa fase sono altissime perché per arrivare così vicino bisogna effettuare a pieno carico virate così strette che se non si è fisicamente e mentalmente al massimo si possono avere capogiri. Occorre avere un fisico integro e forte, visto che le operazioni vanno ripetute numerose volte nel giro di poche ore e non a caso è stato stimato che una loro missione equivale allo stesso sforzo compiuto da un podista che corre una mezza maratona. «Quest’anno è davvero una guerra perché abbiamo dovuto fronteggiare una media di 1.200 incendi al giorno, lo facciamo da giugno senza tregua, la stanchezza inizia a sentirsi». In effetti anche il Canadair Cl 415 funziona più o meno come un aereo bombardiere ma le sue «armi» sono complicate da caricare. «Lo scooping, ovvero

la raccolta del liquido, avviene in mare, laghi o specchi d’acqua vicino all’incendio scendendo sulla superficie e sfiorandola anche a 130 chilometri orari e in 12 secondi si fa il “pieno” dei due serbatoi con 6.137 litri».
Raccolta l’acqua, un miscelatore aggiunge una sostanza schiumogena che riduce la tensione superficiale del liquido e si ritorna verso il rogo nel minor tempo possibile per sganciare una nuova “bomba” così vicino all’incendio che in cabina si può sentire l’odore del fumo. Chi è al comando sa che in questa fase non è concessa nessuna sbavatura perché l’improvviso alleggerimento di sei tonnellate fa accelerare bruscamente il Canadair e bisogna manovrare con grande reattività il mezzo. Tutto questo viene ripetuto per tante ore al giorno sino al crepuscolo perché i Canadair – che hanno circa 600 chilometri di azione – di notte non possono volare. Giusto per dare un’idea quest’estate, sempre dal 15 giugno al 15 agosto, la flotta ha volato per 5.635 ore (2014 ore lo scorso anno), ha effettuato 29.813 lanci (11.036 nel 2016) sganciando100 milioni di litri d’acqua. Eppure, puntuali come ogni anno, arrivano anche le bufale su siti e social network. Come quella che vuole dei subacquei risucchiati dai Canadair e scagliati sulle fiamme. «È impossibile perché le bocche sono larghe 15 centimetri e sono retate per impedire che entrino animali o detriti».
In realtà, senza questi mezzi e la bravura di questi funamboli del volo sarebbe impossibile domare alcuni roghi. «Il 2017 verrà ricordato come un anno orribile con 35 mila ettari del patrimonio naturalistico andato in fumo», dice Rossella Muroni, che presiede Legambiente. Punta l’indice contro i piromani Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi. «I piloti dei Canadair sono straordinari e senza di loro il bilancio sarebbe ancora più terrificante. Ora è tempo di stabilire una strategia per prevenire gli incendi e garantire la certezza della pena ai criminali facendogli scontare sino all’ultimo dei 15 anni di  carcere». Prevenzione e controlli che sono invocati anche da Legambiente. «Serve pure una efficace politica di adattamento ai cambiamenti climatici», prosegue Muroni, «insieme al catasto delle aree percorse
dal fuoco con un aggiornamento automatico delle cartografie e dei vincoli imposti da una autorità». L’ingegner Romano lancia un appello. «Le cause degli incendi vanno approfondite scientificamente e statisticamente coinvolgendo le università, perché mi chiedo se il 2017 sia stato solo un anno eccezionale o l’inizio di un futuro sempre più problematico. Mi interrogo anche se non sia il caso di studiare un sistema europeo di contrasto che guardi a tutto il Mediterraneo. L’Italia ha la flotta più grande d’Europa e siamo stati chiamanti a operare in Francia, Spagna, e Portogallo, ma è necessario sedersi intorno a un tavolo per pianificare il futuro perché, tra l’altro, questi velivoli non sono più in produzione».