Libero, 24 agosto 2017
Il dominio della scienza: non nascono più down
A breve sarà la prima nazione al mondo “Down free”, ovvero il primo Paese dove non esisteranno più bambini affetti dalla Sindrome di Down. Oggi questo è un dato di fatto. In Islanda attualmente nasce a malapena un neonato all’anno con la trisomia 21, la alterazione cromosomica responsabile del mongolismo, e questo non a causa di una modifica genetica naturale, ma di una selezione scientifica e chirurgica umana, da ascrivere alla scelta dei genitori islandesi di interrompere la gestazione nell’eventualità di uno screening positivo per tale patologia.
I motivi sono soprattutto dovuti alla accuratezza del test prenatale eseguito nelle prime settimane di gravidanza, e che viene richiesto dal 95% delle donne islandesi incinte, e pare che tutte, una volta ricevuto il responso certo che il feto sia affetto da tale sindrome, decidano volontariamente di procedere all’aborto terapeutico.
A fare il punto sull’estinzione della sindrome di Down nell’isola nord-europea è stata l’inchiesta della Columbia Broadcasting System (CBS), l’emittente radiotelevisiva statunitense, la
quale, oltre all’Islanda ha esteso il focus di tale tema anche alla crescita esponenziale dell’utilizzo del test prenatale specifico osservata in Europa e negli Stati Uniti. Secondo le stime riportate, l’Islanda, che ha una media di 330mila abitanti, sta raggiungendo un valore numerico prossimo allo 0 in fatto di Trisomia 21, mentre negli Stati Uniti ogni anno nascono ancora circa 6mila bambini affetti da tale difetto cromosomico, anche se il test diagnostico è eseguito dal 95% delle gestanti.
LE POLEMICHE
Nell’ospedale di Reykjavik, il centro sanitario nel quale viene partorito il 70% di tutti i bambini nati sull’isola, nascono tuttora bambini con la sindrome di Down, ma solo da quelle madri alle quali è stato previsto un basso rischio del feto di avere questa patologia, e che pertanto hanno deciso di portare avanti la gravidanza. Tutte le altre gestanti invece, quelle che ricevono la certezza che il loro bambino sia affetto da mongolismo, scelgono di non condurre a termine la gravidanza. La sindrome di Down sta quindi scomparendo dall’Islanda ed appena resa pubblica questa statistica, si sono subito sollevate voci polemiche, soprattutto dalle associazioni che tutelano i diritti delle persone Down e che parlano di aborti eugenetici, di violenza contro natura e di strage silenziosa di bambini innocenti.
Ma oltre all’Islanda, sono molti i Paesi europei nei quali i feti affetti da Trisomia 21 non vengono fatti nascere, come per esempio la Danimarca, che in fatto di percentuale è ormai vicinissima all’isola islandese, ma anche la Germania, dove, come denunciato dallo Spiegel nel marzo scorso, nove gravidanze su dieci vengono interrotte in presenza della anomalia cromosomica, mentre nel resto d’Europa la pratica abortiva, in casi come questi, è rimasta costante tra il 91 e il 93%, una percentuale che sfiora il 98% negli Stati Uniti. Inoltre, tra tutte le madri che hanno partorito figli Down senza aver fatto prima il test prenatale, due terzi di loro hanno dichiarato che se potessero tornare indietro ricorrerebbero di sicuro alla diagnosi prenatale.
C’è chi parla di criminale estinzione dei down, chi fa lezioni di etica e di morale, chi si commuove per la sorte dei piccoli indifesi e chi si spende per il diritto alla vita di questi bambini, ma nessuno mette in luce seriamente le grandi difficoltà dei genitori e delle famiglie, oltre alle prevedibili sofferenze dei piccoli affetti da tale anomalia, nella vita di tutti i giorni, a causa di questa patologia. La Sindrome di Down, infatti, è una disabilità permanente ed irreversibile, solitamente associata a un ritardo nella capacità cognitiva e nella crescita fisica di questi piccoli pazienti, ma anche a frequenti malformazioni cardiache e di molti altri organi, dovute alla morfogenesi in completa od imperfetta che si compie nello stato fetale, tutte condizioni che implicano successivamente assistenza continua e frequenti ricorsi ad interventi medici e chirurgici. Molti genitori scelgono pertanto di rinunciare ad un bambino che non possa avere un alto benessere psicofisico a causa della sua genetica disabilità, e questa è una decisione comprensibile e difficilmente criticabile.
IL CASO DI GAMMY
Qui non si tratta di ignorare o disprezzare il valore delle persone disabili dalla nascita, o, ci mancherebbe, l’amore per loro e quello che loro restituiscono, ma di fronte alla scelta tra un bambino sano ed uno down, molte madri non sembrano avere alcun dubbio. Recentemente ha fatto molto discutere il caso di Gammy, un bambino abortito selettivamente da una coppia australiana, perché, a differenza del gemellino sano, era appunto affetto dalla sindrome di Down. Ed è stata bufera su Richard Dawkins, il celebre studioso e biologo britannico, ateo convinto, autore di libri che hanno venduto milioni di copie nel mondo, come “L’illusione di Dio”, il quale ha scritto nel suo ultimo lavoro “Il gene egoista” che tutti i feti ai quali è stata diagnosticata la Trisomia 21 dovrebbero essere abortiti, perché sarebbe “immorale” partorirli, visto che esiste la possibilità scientifica e chirurgica di evitarlo, e visto che le vaccinazioni di massa obbligatorie nel mondo sono finalizzate a debellare malattie mortali od invalidanti, mentre, al contrario, sostiene sempre lo scienziato, i bambini autistici non andrebbero mai eliminati o scartati, poiché, essendo alcune delle loro facoltà intellettive superiori alla norma, essi potenzialmente potrebbero dare un grande contributo al mondo in diversi settori.
Queste parole sono state criticate come frasi agghiaccianti, accusate di evidente stampo eugenetico, e considerate gravissime, soprattutto perché espresse da un mostro di scienza come Dawkins, il quale però ha cinicamente espresso il suo parere di biologo, ha spietatamente consigliato, e personalmente sottoscritto e descritto senza ipocrisie, quello che accade realmente ogni giorno in silenzio, in ogni ospedale, alla maggior parte dei feti affetti dalla sindrome di Down, i quali cioè vengono abitualmente abortiti senza esitazioni, e senza fare alcuna notizia, ma che vengono percepiti dai genitori come un dolore evitato, una tragedia eliminata sul nascere, una condanna a vita per il loro nascituro, che finisce citata o annoverata solo nelle statistiche in negativo di queste nascite nel mondo.
Come succede appunto non solo nell’isola di Islanda.