la Repubblica, 25 agosto 2017
Il non-compleanno di Guido Ceronetti
CETONA (SIENA) Gli scappa un sorriso quando dice: «Non me li aspettavo gli auguri del presidente». È così esile, così fragile dentro questi suoi novant’anni, Guido Ceronetti. La camicia gli sta larga, i pantaloni pure, il corpo è magrissimo e spigoloso, la pelle quasi trasparente. «Non credevo proprio che mi telefonasse Mattarella». Fa una pausa e, raggiunto da un dubbio improvviso, strizza gli occhi per la luce che entra nel suo studio come un fastidio: «Speriamo non sia uno scherzo… a me sembrava proprio il presidente della Repubblica».
Suona il telefono, suonano alla porta. Entrano ed escono amici e conoscenti dalla casa di Cetona, paese della campagna senese fra gli ulivi e i casali: «Sono venuto qui trentaquattro anni fa». “Qui” è una piccola strada del centro, a due passi dalla piazza. Una piccola anticamera e subito lo studio e una brandina: «Permesso, auguri Guido» gli dice un’amica che arriva da Pistoia. Lui si muove a fatica, con un deambulatore, sorretto da altre mani e braccia, fa soltanto i passi necessari nelle stanze zeppe di libri e di fotografie. «Prima facevo lunghe passeggiate e scrivevo, scrivevo. Adesso per muovermi ho bisogno degli altri e mi pesa tantissimo tutto questo: alla fine della giornata conto i passi che ho fatto e sono quelli per arrivare fino alla Posta o al massimo fino al panificio». Tutto lì, quasi un cortile. «Scrivere scrivo ancora, ma con fatica. E mi ripeto… è passato il tempo dell’ispirazione, insomma non mi piaccio».
Cetona ha festeggiato ieri questo poeta, scrittore, drammaturgo, giornalista che un giorno ha lasciato la sua Torino per ritirarsi nel borgo toscano. Cetona gli ha organizzato una festa di compleanno senza clamori, con uno spettacolo messo in scena dal Teatro dei Sensibili che fondò con la moglie Erica Tedeschi negli anni Settanta. Un gruppo di attori – il nucleo principale è quello che ha incrociato nel 2002 al Piccolo di Milano – è venuto apposta in Toscana per festeggiare il maestro. E Ceronetti non solo ha scelto personalmente i testi, le poesie, le ballate, tratti dalle sue raccolte Deliri disarmati, Trafitture di tenerezza e Ballate dell’Angelo ferito, ma quando è arrivato, fra gli affreschi e i blocchi di travertino della cinquecentesca piccola chiesa della Santissima Annunziata, ha chiamato a raccolta gli attori e cambiato la scaletta: «Questo sì, questo no» con una penna e un tavolo pieno di fogli. Ha scelto i testi più ironici, quelli in cui si ride amaro. Posti tutti occupati, ingresso libero, un centinaio di persone dentro la chiesa, altre fuori in piedi, per un reading dal titolo: 90 anni di solitudine.
Le locandine erano affisse nei negozi, al bar, alla mescita di vini, alla vetrina del fioraio. Non c’è un teatro da queste parti, Cetona si arrangia con quel che ha. «Non voleva una vera e propria festa di compleanno – spiega Luca Mauceri del Teatro dei Sensibili – allora abbiamo pensato a uno spettacolo alla Ceronetti mescolando parole e musica». E qualche brano recitato dallo stesso scrittore. Un titolo, 90 anni di solitudine, pieno di tristezza: «In parte è un calembour per ricordare i cent’anni di solitudine di García Márquez – racconta il festeggiato – in parte è per ricordare che la solitudine è quella di ciascun uomo, eterna, immutabile. È difficile da capire quando si è giovani, ma è una condizione dolorosissima, anche fatale. È il fardello con cui si nasce».
Niente torta, niente pranzo di compleanno, solite verdure, pasto frugale vegetariano e biodinamico. Per regalo ha ricevuto un mazzo di fiori dal Comune, rose bianche e gli abbracci della gente: villeggianti e del paese. Sulla porta di casa ha affisso un biglietto: «L’ospite più gradito è quello che meno fa uso di cellulare». Durante lo spettacolo legge un inedito: «Non c’è più un pazzo che sia un vero saggio. Un normale che sia un vero pazzo…». Parla della tecnologia come di un’invasione molesta: «Scrivo da sempre a mano, poi siccome a volte io stesso fatico a capire la mia calligrafia, mi aiuta una collaboratrice che ribatte i miei testi al computer. Non amo però la tecnologia, i cellulari ci portano sempre in un altrove e mi pare che siamo tutti meno liberi, più rintracciabili, più controllati». Fra le sue battaglie, un cruccio resta quello per l’ambiente: «La Terra è caduta in mano all’uomo che è l’animale più nocivo che esista – dice con il pessimismo che lo accompagna in questo tempo – Così tutto finisce in un tragico, ineludibile oltraggio alle cose. Stiamo facendo danni che non siamo in grado di riparare. Come fare non lo so, non ho soluzioni». Ha ricevuto tanti auguri nel giorno dei suoi 90 anni, ma lui stesso che augurio si fa? Ci pensa un momento, alza gli occhi piccoli, azzurri: «Soltanto quello di una fine dolce».