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 2017  agosto 25 Venerdì calendario

«Il Milione» Cinese. Così Xi’an ha risvegliato il suo esercito di terracotta

XI’AN L’ultima carovana è quella della vergogna: 122 funzionari di governo e di partito costretti a sfilare in tribunale: le mazzette per nascondere i rischi della sicurezza, i cavi del metrò taroccati per costare di meno – e incassare di più. Brucia sotto il sole d’estate il mito di Xi’an, l’antica Chang’an, la capitale della Cina di un mondo che fu. È da qui che partiva la Via della Seta ed è (anche) da qui, provincia dello Shaanxi, che partono adesso i treni di Obor, acronimo per One Belt One Road, Una Cintura Una Via, il percorso voluto dal presidente Xi Jinping per tornare a collegare Pechino all’Europa. E non è un’ironia del destino che il terminale della strada più vecchia del mondo, beneficiato da 60 progetti da 18 miliardi di dollari, sia agitato oggi da uno scandalo che sconquassa proprio il cuore interrato dei suoi trasporti?
Miracoli, e maledizioni, della Via della Seta. Miracoli del mito che ancora oggi ti costringe a guardare al presente con gli occhi del passato: con tutti gli errori di prospettiva del caso. Come se i ventimila musulmani rimasti in questa metropoli da nove milioni di anime fossero davvero i discendenti diretti dell’islamizzazione che si spinse sin qui, nel cuore dell’Oriente buddista e confuciano, e non invece le copie conformi prima tollerate e oggi generosamente supportate dal regime per l’attrazione che suscitano nei turisti – mezzo milione solo nell’ultimo anno.
Provare, per credere, a spingersi su Beiyuanmen, lo struscio principale del Quartiere Islamico, dietro alla Grande Moschea dell’Ottavo secolo che sembra uno scherzo della storia – il minareto travestito da pagoda, i versetti del Corano incisi sui muri della dinastia Ming, un centinaio di fedeli che dopo essersi genuflessi in direzione della Mecca sciamano verso l’uscita per inforcare le biciclette di Mobike e degli altri marchi del bike-sharing, come succede ogni giorno a ogni ora in ogni città della Cina. Eppure non è questo l’incanto della Via della Seta? L’errore di prospettiva non è il prodotto intangibile di questa strada che su beni tangibilissimi – seta, pietre preziose, spezie – è stata fondata?
Decine di secoli dopo, perfino nelle parole di Xi Jinping riaffiora il mito degli “Imperi del miraggio”, come Edith e Francois-Bernard Huyghe hanno ribattezzato i luoghi della loro Via della Seta, tour (de force) tra Oriente e Occidente riedito quest’anno dall’Éditions Payots a Parigi. È ?il7 settembre del 2013 e con la sua prolusione all’Università di Astana, Kazakhstan, l’ultimo imperatore sta ponendo la prima pietra della nuova Via della Seta: annunciando un accordo da 30 miliardi di dollari con la dittatura dell’Asia centrale. E quando mai un piano così ardito di espansionismo economico, che da qui si allargherà fino a coinvolgere sessanta nazioni, dalla Gran Bretagna alla Russia, fu condito da un discorso tanto alto? Sentite che attacco da Mirabilia, che prosa da Milione. «Più di 2100 anni fa, durante la dinastia degli Han, l’emissario cinese Zhang Qian fu spedito in Asia Centrale con una missione di pace e di amicizia. I suoi viaggi aprirono le porte ai contatti amichevoli tra la Cina e i paesi dell’Asia Centrale, quella Via della Seta che unì l’Est e l’Ovest, l’Asia e l’Europa».
Qui la storia del mondo si fa piccina e come in ogni trasfigurazione letteraria l’eruditissimo Xi scava nel suo passato per elevarlo a topos. «Shaanxi, la mia provincia, si trova proprio all’inizio dell’antica Via della Seta. E oggi, mentre guardo indietro a quell’episodio della storia, posso quasi sentire l’eco per le montagne delle campanelle del cammello e scorgere i pennacchi di fumo che si alzano nel deserto».???
L’eco per le montagne delle campanelle del cammello. La nuova Via della Seta tecnologica e miliardaria nasce così: sulle liriche orme di quella antica. Tutto torna: e peccato se Xi sia nato in realtà a Pechino, e nello Shaanxi sia stato sbattuto solo in esilio, durante gli anni della Rivoluzione Culturale, come racconta adesso Sette anni da zhiqing, il libro appena uscito e già bestseller che racconta la sua “rieducazione” nelle campagne. Del resto la sua prolusione è uno strano incrocio tra il discorso programmatico e la riscoperta delle antiche fonti. Questo Zhang Qian, per esempio, è oggi considerato un eroe nazionale, il vero iniziatore del percorso che attraversato da Marco Polo diventerà Via della Seta solo grazie all’espressione (felicissima) che il tedesco Ferdinand von Richtofen conierà alla fine del XIX secolo.
Certo un conto è rileggere il passato in una prolusione, altro cercarlo nelle strade di questa antica capitale. La Drum Tower di questo XXI secolo, il simbolo della metropoli che si arricchisce – magari rubando sul metrò – è il Kaiyuan Shopping Mall che incombe sulla piazza della Torre del tamburo medievale. E quanti grattacieli e Wanda Plaza e altre amenità hanno surclassato la Pagoda dell’Anatra? È qui che arrivarono i sutra portati dall’India da Xuan Zang, il monaco che nel VII secolo contribuì a diffondere il buddismo e che quasi mille anni dopo ispirò Il viaggio in Occidente, uno dei Quattro Classici della letteratura cinese, che nella terza e più famosa parte si snoda proprio sulla Via della Seta.
Fantastico. L’Occidente di questo Viaggio che ispirò perfino un fumetto di Milo Manara è l’India: cioè quello che per noi è Oriente. Dicono allora benissimo i dottissimi Huyghe: la Via della Seta è un miraggio, la Via della Seta è sempre esistita e non è mai esistita. Perché ci sono sempre stati un Oriente e un Occidente un po’ più a Est o un po’ più a Ovest del nostro. In fondo ogni strada è una funzione, metafisicamente parlando, di quel percorso che chiamiamo viaggio. E in nessun posto come qui ti accorgi quanto la “funzione” si nutra di “finzione” – che per gli antichi greci, i primi occidentali che al seguito di Alessandro Magno si misero in cammino per queste contrade, voleva dire “immaginazione”. Prospoioumai, immaginare, fingere: To pretend traducono gli anglosassoni. Ecco: essere a Xi’an, anno 2017, e pretendere di essere a «Chang’an nel 26 prima di Cristo: un’età augusta in Cina», come recita lo studio curato da Michael Nylan e Griet Vankeerberghen che immagina la vita nel Primo secolo di questa Xi’an-Chang’an che fu «quasi 3 volte più grande di Roma, quasi 4 volte più grande di Alessandria e 17 volte più grande di Bisanzio». Una vera età dell’oro.
E infatti. Il “Romanzo” dello Pseudo-Callistene che nel Terzo secolo della nostra era ricostruisce le gesta di Alessandro- Iskander, l’eroe “bicornuto” come Mosé destinato a rappresentare nei secoli le due civilizzazioni pronte allo scontro-incontro (Greci e Barbari, Occidente e Oriente, Cristiani e Musulmani) racconta di quel “Paese della Seta” dove il tessuto misterioso – il primo segreto industriale – viene raccolto in forma di lana dagli alberi. E dove gli abitanti «sono i più giusti di tutte le genti: si dice che non commettano né omicidi né adulteri, non siano propensi né agli spergiuri né all’ebbrezza».
Neppure un neotradizionalista come Xi Jinping, che nei suoi “aforismi” si raccomanda di «estrarre l’essenza e drenare l’energia dal forziere della cultura cinese», s’è mai spinto a disegnare un popolo così perfetto. Ma infilandoti nel sottopasso di Beidajie, dopo lo slalom tra uno Starbucks e mille brand che testimoniano ben altri “Viaggi in Occidente”, non puoi non pensare che a pochi chilometri da qui furono seppelliti gli ottomila guerrieri dell’Esercito di Terracotta, l’armata dell’imperatore Qin Shi Huang ritrovata dopo un sonno lungo 2227 anni, quel capolavoro dell’antichità probabilmente influenzato – dicono gli ultimi studi – proprio dalla scultura dei greci. Sì, questo doveva essere davvero il paese delle meraviglie. E l’esercito pietrificato, sparito e ritrovato, non è forse l’ultima metafora degli “Imperi del miraggio”? Non è la prova provata che quando la Cina scava nel passato – miracoli della Via della Seta – non è solo per farci passare i cavi del metrò taroccati dalla carovana della vergogna?