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 2017  agosto 24 Giovedì calendario

La vita bruciata di John Fante

Fu Elio Vittorini a proporre per primo John Fante al quale da domani al 27 agosto è dedicato un festival a Torricella Peligna, in provincia di Chieti, paese natale del padre – inserendo un suo racconto nel 1941 in chiusura di Americana, la straordinaria antologia della narrativa Usa che aprì una nuova prospettiva letteraria agli scrittori italiani ancora immersi in un’atmosfera provinciale. In una breve nota Vittorini accostava il nome di John Fante a quelli di Erskin Caldwell e di William Saroyan, osservando che i tre rappresentavano un nuovo modo di intendere l’antica leggenda dell’Ovest. «L’America – aggiungeva – non è più l’America, non è più solo un continente nuovo: è tutta la terra. Le particolarità vi giungono da ogni parte, vi si incontrano, la vita vi si afferra con i gesti più semplici, e senza mai sottintesi politici, intrepidamente accettata». 
Di John Fante – figlio di emigrati abruzzesi, nato in Colorado nel 1909 – piaceva il modo intrepido e ironico di scrutare l’esistenza quotidiana, la precisione nel ritrarre il magmatico mondo delle tante Little Italy sparse da New York alla California, il linguaggio in presa diretta con annesso turpiloquio riprodotto rigorosamente «in italiano nel testo». Lui, del resto, conosceva molto bene quella realtà e per uscirne – visto che non riusciva a sopravvivere di letteratura – aveva messo la penna al servizio di Hollywood. 
CORAGGIO«Cerco di darmi coraggio leggendo a dosi pesanti Nietzsche», annuncia in un lettera del 1934 dalla quale traspare tutto il suo odio verso la «trappola della celluloide», come definisce il mondo del cinema. Quindi aggiunge: «Mi sono arreso agli studios e faccio il mestiere più disgustoso della terra, ma guadagno cinquanta volte più di James Branch e Sherwood Anderson messi insieme. D’altra parte se non finisco come Nietzsche me la godo: ho un ufficio enorme, la gente mi saluta con deferenza e metto in tasca quasi duemila dollari la settimana».
Sesso facile con le attrici e denaro in quantità, si consola, costituiscono le migliori medicine per battere la noia. «Qui le donne abbondano. A breve conto di portarmi a letto Dolores Del Rio. Sul set è pessima, ma a letto l’arte conta poco!», scherza con un critico che lo prega di non abbandonare la letteratura. Anche grazie all’intervento di Vittorini, la Medusa mondadoriana tradusse alcuni romanzi di Fante usciti tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Cinquanta: Aspettiamo primavera Bandini, Il cammino nella polvere e In tre ad attenderlo. L’accoglienza fu però nel complesso abbastanza tiepida. Di lui qualcuno tornò poi a occuparsi nel 1982 in coincidenza con l’uscita di un nuovo libro che lo scrittore, ormai cieco e paralizzato a letto, aveva dettato alla moglie. Fante si spense nel corso dell’anno successivo, proprio mentre le sue opere venivano ristampate negli Stati Uniti e in Francia in virtù degli elogi gli aveva tributato Charles Bukowski, sommo sacerdote della narrativa maudit’ d’oltreoceano. 
«Ero giovane, saltavo i pasti, mi ubriacavo e mi sforzavo di diventare uno scrittore. – afferma Bukowski – Un giorno presi in mano un volume e compresi subito di essere arrivato in porto. Le parole scorrevano con facilità, un flusso ininterrotto. Ognuna aveva la sua energia ed era seguita da un’altra simile. La sostanza di ogni frase dava forma alla pagina e l’insieme risultava scavato dentro di essa. Ecco, finalmente, uno scrittore che non aveva paura delle emozioni. Quando cominciai a leggere John Fante mi sembrava mi fosse capitato un miracolo, grande e inatteso». Gli elogi di Bukowski servirono ad aprire la strada alla riscoperta italiana di Fante mentre i lettori Usa si mostrarono più tiepidi. 
Se in seguito la loro indifferenza è caduta il merito è di Stephen Cooper, che dopo aver proposto quattro anni fa la biografia dello scrittore (Full of Life, North Point), ha presentato in seguito The John Fante Reader (Harper Perennial), una scelta antologica premiata da ottimi risultati in termini di vendite. Da noi, intanto, l’intera opera di Fante è stata più volte ristampata e ha ottenuto la consacrazione tra i classici contemporanei trovando spazio nella collana dei Meridiani Mondatori in un volume curato da Francesco Durante. Ricco ma non famoso, John Fante riversa la sua rabbia intellettuale nel ciclo narrativo che ha protagonista Arturo Bandini, il suo doppio che in Chiedi alla polvere insegue l’amore di una cameriera, inventato per dar corpo e voce alle aspirazioni dell’intellettuale frustrato, cronista di un quotidiano vissuto tra bar e motel a poco prezzo. 
Per la letteratura americana del ventesimo secolo le storie di Bandini rappresentano un punto di svolta perché Fante inaugura quel rapporto circolare tra arte, scrittura e vita che apre la strada alla ricerca di Kerouac e della Beat Generation di cui si trova traccia in ogni suo libro, da La confraternita dell’uva a La Strada per Los Angeles, da I sogni di Bunker Hill a Aspetta primavera, Bandini. 
ENERGIE SOFFOCATEIl lavoro per il cinema, intanto, ne soffoca pian piano le energie creative: per un lungo periodo non scrive più nulla, poi quando riprende, con la vista sempre più debole a causa del diabete, è costretto a dettare alla moglie. Muore l’8 maggio 1983 dopo un’agonia protrattasi per circa dieci anni: la malattia lo aveva prima reso cieco e poi obbligato i medici ad amputargli le gambe. «Lo stipendio percepito a Hollywood non lo aveva corrotto, ma riuscì a fiaccarne il cuore e lo spirito», ricordò in seguito il figlio Dan. Il favore di cui ora gode la sua opera, anche grazie alle riduzioni cinematografiche, sembra quasi un tardivo risarcimento per l’altissimo prezzo che in vita fu costretto a pagare dopo aver scelto di mettere il suo talento al servizio della «trappola di celluloide».