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 2017  agosto 20 Domenica calendario

L’umanità è in fuga

Quella che vi apprestate a leggere non è solo un’intervista (in esclusiva per «la Lettura»). È il più recente capitolo di quella sorta di romanzo critico che uno tra i più attivi e influenti curatori del nostro tempo – Hans Ulrich Obrist – e uno tra i più controversi artisti – Ai Weiwei – stanno elaborando da diversi anni. Il prologo: Ai Weiwei Speaks, un volumetto uscito da Penguin nel 2012 (in Italia: Ai Weiwei parla, traduzione di Alessandra Salvini, Il Saggiatore), poi, in una versione più ampia, nel 2016. Periodicamente, questo romanzo viene aggiornato, integrato, arricchito. Per comporlo, Obrist si serve di diversi media: filma, registra, manda mail. Spesso dialoga a distanza con l’artista cinese ricorrendo a Skype. Altre volte approfitta di mostre, eventi e dibattiti per interrogarlo.
È nato così un diario pubblico, il cui tono non è mai formale né specialistico. Chi lo legge ha la sensazione di assistere a una conversazione tra due amici. Il canovaccio resta sempre il medesimo. Ogni capitolo di questo work in progress muove da episodi specifici: una mostra, un’opera, un fatto di cronaca. Come è sua consuetudine, Obrist si mette al servizio dell’intervistato. Si pone in ascolto della sua voce, sollecitandolo su questioni estetiche e su urgenze civili. Da queste confessioni emerge il profilo di un intellettuale «luterano». Ai Weiwei pensa l’arte in maniera totale. Sulle orme della tradizione delle avanguardie primonovecentesche, la intende come indifferenza nei confronti della specificità delle singole tecniche e come sperimentazione infinita in diversi ambiti linguistici (pittura, scultura, architettura, cinema, scrittura). Ma anche come esperienza comunitaria aperta, pronta a farsi contaminare: esemplare l’installazione immersiva, concepita ora nel Park Avenue Armory di New York insieme con gli architetti Herzog&de Muron.
Ma l’arte, per Ai Weiwei, si configura soprattutto come pratica militante. Forma spietata di testimonianza. Strumento per aiutare a comprenderne le contraddizioni del presente. Da queste premesse sono nate installazioni che ci parlano in maniera esplicita e diretta – senza filtri concettuali – di drammi, problemi sociali, oppressioni, sofferenze, dittature, conflitti, libertà negate.
In tal senso, illuminanti le due più recenti presenze italiane di questo artista. L’opera collocata nel 2016 sulle facciate di Palazzo Strozzi a Firenze: una sequenza di gommoni arancioni incastonati nelle finestre a bifora, per alludere alle tragedie dei migranti. E Human Flow, il film che sarà in concorso al prossimo Festival di Venezia: un kolossal girato in 22 Paesi (alla Michael Moore), che documenta guerre, carestie, malattie, cambiamenti climatici e crisi dei rifugiati, invitando alla riscoperta di valori come tolleranza, compassione, fiducia. Per descrivere la sua filosofia, Ai Weiwei ha detto: «Sono un lottatore. Se facessi l’atleta, sarei un pugile. Prendo cazzotti che fanno male e mi metto in situazioni a rischio».
Vincenzo Trione
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Conversazione di HANS ULRICH OBRIST con AI WEIWEI
HANS ULRICH OBRIST – Prima di affrontare il film sui rifugiati, Human Flow, che porti a Venezia, mi piacerebbe molto che mi parlassi del progetto newyorchese Hansel & Gretel, un’installazione in cui i visitatori diventano allo stesso tempo osservatori e osservati che si muovono in un paesaggio inquietante, un paesaggio sotto sorveglianza. È la tua collaborazione più recente con Jacques Herzog e Pierre de Meuron.
AI WEIWEI – Si tratta di un progetto davvero speciale, perché il Park Avenue Armory è al centro di New York. È forse uno degli spazi più grandi della città. Jacques, Pierre ed io abbiamo cercato di realizzare un lavoro che si collegasse alla metropoli e alla sua forma architettonica: le vie di New York, gli edifici, l’urbanistica più democratica che si possa immaginare e anche la più moderna, con numeri anziché nomi a indicare le strade. È un progetto fantastico. Fin dall’inizio abbiamo deciso di sfruttare l’intero spazio, rispettandolo e nello stesso tempo creando una situazione che avesse a che fare con un’altra realtà, una realtà – diciamo – virtuale, che oggi è parallela a quella fisica tangibile. Come il fatto che noi ora parliamo attraverso Skype ed è esattamente come se fossi seduto davanti a te. E in realtà sono seduto davanti a te. Qualche anno fa sarebbe stato impensabile. Per confrontarci con quest’idea abbiamo pensato di utilizzare i sistemi di sorveglianza, la realtà virtuale, le tecniche di identificazione delle caratteristiche delle persone. Si tratta di un argomento totalmente nuovo. Quando ero in Cina ero sottoposto a una notevole pressione e a una sorveglianza costante. Ma mi sono anche cimentato nell’anti-sorveglianza o nell’uso della sorveglianza per rovesciarne lo scopo. Con Jacques e Pierre non abbiamo avuto problemi a collaborare, sono molto interessati alle nuove idee sulla realtà, alle condizioni fisiche e a quelle virtuali. Abbiamo lavorato con passione per affrontare questo nuovo tema. E il risultato è stato questa mostra newyorchese.
HANS ULRICH OBRIST – È interessante anche perché si collega a una lunga indagine che stai conducendo sulla sorveglianza. Nel 2010 hai realizzato Surveillance Camera, in cui hai riprodotto in marmo una telecamera a circuito chiuso. Nel 2012 hai fatto CCTV Spray per il mio progetto Do It. Di Surveillance Camera si sta parlando molto in questo momento perché sarà in mostra all’Imperial War Museum di Londra in una grande esposizione sull’età del terrore. Vorrei che ci parlassi dell’importanza della sorveglianza nel tuo lavoro e di queste due tue opere, la Surveillance Camera, che è molto famosa, e la meno nota CCTV Spray.
AI WEIWEI – Pensa a 1984, alla letteratura sul Grande Fratello, che ora è diventata realtà. Tutti vogliamo che ci sia sorveglianza. Oggi, quando succede qualcosa, qualsiasi cosa, la prima cosa che chiediamo è dove sono le immagini delle telecamere di sorveglianza. Ne parliamo solo se c’è un’immagine, se c’è un’evidenza. Viviamo in uno strano momento, la gente vuole assolutamente un’immagine. Ma la sorveglianza può essere usata in entrambe le direzioni. Le autorità la possono utilizzare per monitorare la vita degli individui, per controllarli, per accedere ad aree private. Ma anche la gente o la giustizia la possono usare per controllare l’altra parte, come hanno fatto Snowden, Assange e anche Chelsea Manning, rivelando quel che era segreto. Parliamo dell’uso di informazioni riservate per contrastare il potere, e può essere una questione di grande rilievo, se si guarda alle elezioni statunitensi, in cui dopo tanti mesi ancora si parla di rivelazioni o di accordi segreti. Si discute di email, di filmati, di video, di registrazioni. La gente non si accontenta della realtà, vuole altre realtà.
HANS ULRICH OBRIST – L’ultima volta che sono venuto a trovarti a Berlino abbiamo scoperto una città quasi underground, una città come studio o uno studio come città. E ho visto tutte le tue ricerche dell’anno scorso sull’isola greca di Lesbo, i lavori con i tuoi studenti sui rifugiati, perché avevi cominciato a lavorare là, a fare interviste. Voglio chiederti ora, estate 2017, passato un anno, cosa succede nel tuo studio e cosa si può vedere?
AI WEIWEI – Da allora, abbiamo girato un film sui rifugiati intitolato Human Flow. Adesso è finito, sarà presentato in concorso al Festival del Cinema di Venezia e sarà distribuito in tutto il mondo. Per questo film sui rifugiati abbiamo viaggiato in più di venti nazioni, abbiamo visitato una quarantina di campi profughi, realizzato circa 600 interviste e quasi mille ore di riprese; questo mi ha aiutato a comprendere i problemi dell’umanità di oggi. Perché prima, quando discutevamo dei problemi dell’umanità, parlavamo di Cina, di Europa o Stati Uniti. Ma oggi la condizione umana ha un carattere globale. La politica e l’economia non sono mai state così strettamente globali. Tutti i valori – i valori delle aree regionali, la democrazia, la libertà, il territorio – sono in continua evoluzione. E tutto avviene velocemente. Il capitalismo ha massicciamente sfruttato questa situazione. Naturalmente ne beneficia la Cina, ne beneficiano molte altre nazioni. Allo stesso tempo, si creano difficoltà e problemi enormi, come quello dei rifugiati, sempre più tragico. Sul piano personale, questo lavoro mi aiuta a studiare e ripensare i problemi dell’umanità di oggi.
HANS ULRICH OBRIST – Dall’ultima volta che ci siamo incontrati hai lavorato a una grande mostra a Washington. Ho trovato un articolo sul «Washington Post» intitolato «Ai Weiwei crea arte politica nell’era Trump. Partecipa al cambiamento». Volevi offrire un’immagine delle prigioni politiche, un argomento molto rilevante per la politica degli Stati Uniti in questo momento. Ci sono dei ritratti assemblati con più di un milione di mattoncini Lego. Ci puoi parlare di questa mostra di Washington?
AI WEIWEI – La mostra fa parte dell’installazione continua Trace, presentata per la prima volta nella prigione federale di Alcatraz. Sono felice di avere la possibilità di esporre a Washington e all’Hirshhorn. È un luogo molto importante per mostrare i miei 176 ritratti. Sono persone che hanno perso la libertà per motivi di coscienza e Washington è sicuramente la sede più adatta. È un ambiente totalmente diverso. La mostra è popolare, ha avuto molti visitatori e se ne è parlato molto. Ci sono prigionieri politici non solo in Cina, in Tibet, in Medio Oriente, in Russia e in molte altre nazioni, ma anche negli Stati Uniti. Prima dell’inaugurazione ho incontrato Chelsea Manning (militare e attivista statunitense, analista di intelligence, è stata condannata per aver consegnato documenti riservati a WikiLeaks. Durante la detenzione ha cambiato sesso. È libera dal 17 maggio, ndr ). Abbiamo parlato della sua vita in carcere e della difficile situazione. È stato un momento di grande spiritualità. Non ho mai incontrato una giovane così brillante, acuta e pura. Sono stato contento di sentire che aveva ricevuto più di quattromila cartoline in un giorno. La guardia della prigione le ha posato sul tavolo uno scatolone pieno di cartoline e ha detto che erano tutte per lei. Come mai tante cartoline? Erano state inviate dai visitatori della mia mostra come parte del progetto Yours Truly. È un progetto in cui i visitatori inviano una cartolina a un prigioniero politico. È stato molto bello incontrarla.
HANS ULRICH OBRIST – Di che cosa avete parlato? Che cosa ti ha colpito di più di Chelsea Manning?
AI WEIWEI – Chelsea Manning ha 29 anni e ne ha passati sette in prigione. In questi sette anni si è mantenuta in ottima forma, ha lottato, ha fatto scioperi della fame e ha tentato il suicidio e ha provato a far uscire la sua voce fuori dal carcere. È sempre riuscita ad avere un account Twitter e a far sapere alla gente che c’è una giovane donna degli Stati Uniti, un puro prodotto americano, che ha una coscienza davvero forte. La sua è la storia di un giovane individuo che ha tutto contro, ma non si fa abbattere. È notevole.
HANS ULRICH OBRIST – In Trace a Washington esponi i ritratti di 157 uomini e 19 donne di 30 Paesi. Naturalmente ci sono Mandela e Martin Luther King, ma anche una giornalista del Ruanda, Agnes Uwimana Nkusi, e Liu Xiaobo che è morto il 13 luglio...
AI WEIWEI – Vuoi sapere una cosa? Ho appena fatto una mostra in Israele. Molti artisti boicottano tutto quello che ha a che fare con Israele. Da artista anch’io mi chiedo sempre se devo fare una cosa oppure no. E ho deciso di farla. Cioè: credo che l’artista debba usare il suo lavoro per parlare; non solo per esprimere una critica diretta, ma per prendere posizione a sostegno della libertà di parola e di opinioni diverse.
HANS ULRICH OBRIST – Che cosa hai portato in Israele?
AI WEIWEI – La decisione è stata presa poco tempo prima, sei mesi circa, quindi non ci sono molte opere nuove. Ma tutte le nostre mostre comprendono nuove opere. Tra queste c’è il video di una tigre, che ho girato a Gaza lo scorso anno. È una tigre quasi moribonda, perché con questa sorta di apartheid, Gaza è chiusa come una specie di enorme prigione, a causa del blocco. Le persone vivono in condizioni drammatiche, e la tigre non ha niente da mangiare. Io l’ho filmata. Alla fine viene salvata da una Ong internazionale che la porta in Africa. Questa tigre, che si chiama Laziz, rappresenta la condizione degli abitanti di Gaza e la sua situazione politica. Abbiamo anche messo in mostra per la prima volta in un museo un enorme tabellone su cui si racconta la storia dei rifugiati dall’inizio dei tempi, dall’Egitto a oggi. Sappiamo tutti che gli ebrei sono stati a lungo costretti all’esilio e hanno provato le difficoltà degli immigrati e la persecuzione razziale. È una vicenda molto significativa.
HANS ULRICH OBRIST – Il 12 settembre debutterai al Sakıp Sabancı Museum di Istanbul. È un momento molto difficile per la democrazia in Turchia...
AI WEIWEI – Un mio amico, un medico e insegnante che ho conosciuto grazie al film sui rifugiati, mi ha appena annunciato di essere stato licenziato dalla scuola. So che è un medico bravissimo, che aiuta i rifugiati, ma in Turchia non c’è libertà di parola. E questo rende ancora più importante la nostra mostra, per la gente, per i giovani e le persone che credono nel cambiamento, che credono che la libertà di parola sia lo spirito che rende una società più sana. Credo che esporre lì sia molto importante. Ci saranno anche alcune opere nuove, ma soprattutto la mostra copre tutti gli anni dal primo lavoro in porcellana che ho fatto, siamo nel 1976 o 1977, fino all’ultimo che è ancora in fase di cottura a Jingdezhen. Ci saranno anche molte opere nuove sulla situazione dei rifugiati, un tema costante di questi anni.
HANS ULRICH OBRIST – Il tuo primo lavoro? Del 1976? È il Plate with Bird Motif On di porcellana chizhou ?
AI WEIWEI – Sì, è quel pezzo, il primo... Me l’ero totalmente dimenticato. Di recente ho sgomberato un magazzino e l’ho ritrovato...
HANS ULRICH OBRIST – È l’unico rimasto della serie di cui faceva parte ed è legato alle ceramiche tradizionali...
AI WEIWEI – È il primo lavoro che ho fatto per imparare le tecniche tradizionali. In realtà ci sono state due fasi: la prima, apprendere quel che era stato fatto nel passato; poi, creare un linguaggio moderno, che interpreti la contemporaneità. Infine ho cercato il modo di integrare le due fasi.
HANS ULRICH OBRIST – La mostra di Istanbul metterà un forte accento sulle tue opere in porcellana. Mi chiedevo che cosa significhi per te questo materiale. Altre volte abbiamo parlato dei Colored Vases e delle opere in porcellana frammentata che hai fatto alla Tate di Londra. Ma mai del significato di questo materiale.
AI WEIWEI – Ho sempre detto che odio la porcellana e lavorare la porcellana, perché è una vera lotta tra quel che hai in mente e quel che è possibile fare. La manifattura della porcellana ha molti limiti: di dimensione, peso, spessore, colore. In fase di cottura è difficile da controllare. Ora, dopo averci lavorato per anni, riesco a capire meglio quel che è possibile fare e non fare. Comincio a ottenere dei risultati, a scoprire possibilità inattese. Questa mostra è tutta dedicata alla porcellana. Anzitutto perché i turchi hanno grandi raccolte di porcellane, fin dai tempi delle loro relazioni con la cultura cinese. Nel periodo ottomano, nel mondo musulmano e nella tradizione araba la porcellana è sempre stata vista come arte di grande valore. Per me è quindi molto interessante tenere una mostra di porcellane a Istanbul.
HANS ULRICH OBRIST – La porcellana è un’arte tradizionale, ma tu innesti immagini contemporanee. Penso per esempio a Brain Scan Image on a Plate in cui inserisci la foto di una Tac del cervello dopo il pestaggio che hai subito a Chengdu. C’è un’immagine di te e di Zuoxiao Zuzhou in un ascensore che è diventata virale in internet. Poi naturalmente anche l’emorragia causata dal pestaggio della polizia. Qui metti insieme il materiale tradizionale della porcellana con immagini digitali contemporanee. Si tratta di una giustapposizione stimolante – la tradizione della porcellana, la sua eternità e la natura assai più effimera delle immagini digitali.
AI WEIWEI – Quando pensiamo alla porcellana, parliamo di un materiale realizzato a circa 1.200 gradi, tra i più raffinati che l’uomo abbia mai prodotto, e che può durare all’infinito, molto più delle nostre vite, generazioni e generazioni. Abbiamo porcellane che risalgono a migliaia di anni fa. Ma per rappresentare la condizione di oggi, la foto nell’ascensore o della Tac del cervello introduce una fragilità, rendendo permanente una situazione temporanea e accidentale.
HANS ULRICH OBRIST – Poi c’è Remains del 2014. È fatta di porcellana anche quella ma è quasi un ritrovamento archeologico...
AI WEIWEI – Questo lavoro nasce in un luogo preciso della Cina nord-occidentale. Pechino sta costruendo lassù un enorme carcere che può contenere decine di migliaia di detenuti. Lì furono spediti ai lavori forzati un gran numero di intellettuali – migliaia, e tra loro mio padre – come in un campo di concentramento. Molti di loro morirono dopo pochi anni a causa delle terribili condizioni di vita. I loro corpi furono sepolti in quella zona desertica. Le ossa sono riemerse solo dopo anni. Un mio amico che realizza documentari le ha trovate ed è riuscito a mandarmele. Ho usato la porcellana per riprodurle e smaltarle. Per renderle permanenti. Nessuno oggi in Cina vuole fare i conti con quella storia, né parlare di quel che è veramente accaduto lassù.
HANS ULRICH OBRIST – Abbiamo cominciato l’intervista con te, Herzog e de Meuron e il risultato di questa collaborazione è un’opera di ceramica che hai realizzato nel 2008. Si intitola Porcelain Vases with Bamboo Poles. Si tratta di vasi di ceramica con bastoni di bambù che arrivano al soffitto, alle pareti; un’opera di architettura, di trasformazione dello spazio.
AI WEIWEI – Sì, Jacques e Pierre hanno sempre voluto che facessimo un viaggio insieme, così siamo andati a Jingdezhen intorno al 2008 o al 2009, subito dopo l’Olimpiade. Quando siamo arrivati, sono stati folgorati dalle porcellane e abbiamo pensato di fare qualcosa insieme. Un risultato della nostra collaborazione è stata l’utilizzazione di elementi architettonici, in questo caso dei bambù che spingono le porcellane incastrandole tra due piani architettonici.
HANS ULRICH OBRIST – Naturalmente ci sono i Ceramic Flowers, i Porcelain Flowers. Ricordo di aver visto questi incredibili piatti con fiori, bellissimi. C’è anche il Bicycle Basket with Flowers in Porcelain, un’opera anch’essa molto forte perché è legata a un rituale che praticavi quando eri agli arresti nel 2011. Nel periodo in cui ti era vietato viaggiare e non avevi passaporto, hai cominciato a mettere ogni giorno dei fiori fuori dallo studio. Il regista Andrej Tarkovskij ha detto che abbiamo bisogno di riti per il XXI secolo. E tu ne hai creato uno...
AI WEIWEI – È vero, abbiamo bisogno di riti per il XXI secolo. Abbiamo bisogno di riti anche per vivere in questa società autoritaria. Anche quando lottiamo, la nostra lotta andrebbe celebrata, e dovremmo esserne felici. Se pensiamo che il sacrificio valga la pena, dobbiamo celebrarlo. Quando mi hanno proibito di viaggiare per cinque anni, ho pensato che fosse un’opportunità, una possibilità di utilizzare quelle condizioni difficili per esplorare il significato della libertà. Così ho chiamato quei fiori i Fiori per la Libertà, e sono diventati molto popolari su internet. La gente mi mandava fiori su Twitter ogni giorno e io li ritwittavo. Li riproducevo in porcellana perché i fiori di porcellana sono un’arte tradizionale molto bella. Penso siano diventati un simbolo di questa lotta.
HANS ULRICH OBRIST – A questo si somma il legame con la storia. Il celebre storico dell’arte Erwin Panofsky ha detto che inventiamo il futuro con frammenti del passato. Tu usi frammenti del passato per costruire il futuro. Questo è vero per molte delle tue opere fin dall’inizio, in particolare per le ceramiche. Pensiamo, ad esempio, al Dragon Vase, un pezzo recente, del 2017. Il Dragon Vase risale alla dinastia Ming e ce n’è una versione blu e una rossa. Questi vasi sono diventati famosi per i record delle loro vendite all’asta. Tu li hai rifatti identici, si tratta quindi di una sorta di ripetizione. Ma una differenza c’è, perché hai aggiunto un particolare, la mano del drago. Il futuro è sia ripetizione che differenza?
AI WEIWEI – Il motivo del drago è molto antico, risale alla dinastia Song o Tang, o anche prima. Durante la dinastia Han era un elemento per oggetti d’arte o rituali. Il vaso blu e bianco è un pezzo tipico della dinastia Ming. Riguardo alla mia opera, conosco gente di Jingdezhen, dove lavorano i migliori produttori di porcellane del Paese, che sono bravissimi a copiare i capolavori antichi, a creare dei falsi. Ho detto che volevo una copia perfetta, ma che la zampa doveva avere sei dita, anziché cinque. Anticamente la zampa con cinque dita poteva essere destinata solo all’imperatore. Nessun altro poteva usare quell’immagine. Quando gli imperatori volevano fare un dono a un sottoposto, a qualcuno della corte, se si trattava di un capo di abbigliamento facevano scucire un dito dalle figure delle zampe, in modo che ne restassero quattro. Solo allora un sottoposto poteva indossare quell’abito. Se sfoggiavi una zampa con cinque dita, potevi essere punito o persino ucciso. Così ho detto che volevo una zampa con sei dita per fare uno scherzo, sai, è il dito che uso sempre. Per rendere omaggio alla nostra vecchia cultura e alla situazione odierna. Solo gli esperti l’hanno capito. Nessuno capiva o notava che c’era un sesto dito, tanto era ben fatto. Questo segreto mi dà molta soddisfazione. Duchamp ha fatto qualcosa del genere.
HANS ULRICH OBRIST – La ripetizione e la differenza ci portano a un’altra forma di ripetizione che è l’accatastamento. Tu esponi anche un nuovo pezzo del 2017 che si intitola Stacked Porcelain Vases as a Pillar. Questi vasi presentano motivi dell’ Odissey e dei Blue-and-White Porcelain Plates e di nuovo hanno un legame con motivi tradizionali.
AI WEIWEI – Mi sono ispirato a Brancusi, tutte le mie opere sono ispirate a opere classiche o a classici moderni. Questo è un omaggio ai primi pezzi moderni. È ripetizione, con la differenza che vi è inserita porcellana cinese di alta qualità. I disegni raffigurano rifugiati, parlano di uccisioni, di gente che attraversa i confini, che è in mare, nelle tende, che protesta, è maltrattata, rifiutata, abbandonata, muore; sono le condizioni in cui si trovano i rifugiati.
HANS ULRICH OBRIST – Il Pillar Support del 2015 è invece una replica in porcellana di una trave: fa riferimento a una tecnica di assemblaggio del legname per tenere insieme una struttura senza l’uso di chiodi o adesivi. In un certo senso queste colonne sono metafore, sono la colla che tiene insieme tutto.
AI WEIWEI – Sì, l’ho posto tra due gallerie in Cina poco prima di andarmene. La mia prima e ultima mostra in Cina. È molto simbolico utilizzare pezzi di porcellana come elementi architettonici, l’ho fatto perché non assomigliavano a nient’altro e nessuno avrebbe capito. La forma era unica, quasi come Batman, un’immagine che nasconde un significato che rimanda a qualcos’altro.
HANS ULRICH OBRIST – L’idea di un frammento che sta per il tutto ci porta anche ai tuoi pezzi più «scomposti», come i Sunflower Seeds del 2007, cento milioni di piccoli semi di porcellana che evocano anche la disseminazione. I Sunflower Seeds sono in molte case di Londra perché la gente li portava via dalla mostra, prima che gli venisse impedito di avvicinarsi all’opera. È una frammentazione, una disseminazione. Mi ricorda anche l’idea di Félix González-Torres. Félix diceva che dobbiamo avere la generosità di far andare il mondo dell’arte nel mondo. Questi pezzetti di ceramica sono andati nel mondo.
AI WEIWEI – Sì, vedere un frammento e pensarlo come uno di cento milioni, esattamente simile a un altro, cento milioni di essi, come un oceano, qualcosa di troppo grande per essere possibile. Poi ci si rende conto che è molto meno di un decimo della popolazione cinese. E si esclama wow! È difficile da concepire.
HANS ULRICH OBRIST – In un certo senso opposti ai frammenti, che sono molto democratici, sono i tuoi Gold Plates, pezzi singolari, quasi preziosi, quasi pezzi assoluti di ceramica. Che cosa ti ha spinto a fare questi Gold Stools e Gold Plates. Che cosa ti ha spinto verso la ceramica dorata?
AI WEIWEI – L’oro ha sempre significato eternità. L’oro è il materiale più stabile e il metallo pesante più prezioso. Sappiamo che molti amano l’oro, perciò volevo vedere i riflessi su queste forme, sugli sgabelli e sui piatti. Prima avevo fatto la Map of China, che sul fianco verticale ha la forma della Cina. È risultata un’opera molto astratta.
HANS ULRICH OBRIST – L’eternità è l’opposto dell’estinzione e, come ha fatto notare l’artista Gustav Metzger, il disastro ecologico porta all’estinzione: l’estinzione delle specie e quella dei fenomeni culturali... Tu affronti anche questa dimensione ecologica dell’estinzione, per esempio con Oil Spills del 2006.
AI WEIWEI – Quando parliamo dell’avidità degli umani nello sfruttare la natura e l’ambiente e nel depredare le risorse naturali, inquinando allo stesso tempo gli oceani, parliamo di uno dei maggiori problemi della vita odierna. E alla fine la natura si prenderà la sua vendetta, perché siamo tutti parte della natura. Ci sono troppi squilibri e troppo sfruttamento. Questo è il mio primo pezzo sugli sversamenti di petrolio.
HANS ULRICH OBRIST – Ancora una domanda su un’altra opera recente, Pazar. Da che cosa nasce?
AI WEIWEI – Volevo fare qualcosa su un mercato di frutta e verdura. Quando sono stato in Medio Oriente per Human Flow sui migranti, i posti dove mi piaceva andare erano i mercatini di cose antiche o quelli di frutta e verdura. Volevo vedere cosa mangiava la gente. Naturalmente, questo pezzo particolare viene da un mercato cinese. Solo nei mercati cinesi si trovano i frutti delle ninfee. Sono una sorta di simbolo buddhista, bellissimi e quasi sacri. Poi ho deciso di fare un mercato turco, così abbiamo iniziato a cercare tradizioni e a ricreare verdure raccolte da luoghi diversi. Le ho fuse e dipinte e saranno in mostra con il nome di Pazar. Ci saranno centinaia di oggetti su un tavolo, come frutti veri.
HANS ULRICH OBRIST – Abbiamo parlato spesso dei tuoi progetti non realizzati. Qui abbiamo parlato molto di ceramica. Hai dei progetti non realizzati con la ceramica?
AI WEIWEI – Sono affascinato dalla ceramica almeno dagli anni Settanta. E sono un collezionista di ceramiche. La mostra in Turchia vuole essere una sorta di conclusione del mio sforzo di avvicinarmi a questa vecchia arte, ma naturalmente avrò sempre voglia di creare nuove opere. Sto già lavorando a nuovi pezzi.

(Traduzione di Maria Sepa)