Il Messaggero, 21 agosto 2017
Intervista a Carlo Rovelli
La passione secondo Carlo Rovelli: «La fisica per me, aveva lo stesso tipo di fascino che poteva subire un ragazzo dell’Ottocento, quando decideva d’imbarcarsi in una nave per le Indie, per visitare porzioni di mondo ancora inesplorate. Ha pesato il senso dell’avventura, il desiderio di andare verso l’ignoto; e questo distaccamento dal quotidiano, e dalle banalità di tutti i giorni, mi sembrava bellissimo». Eppure, la vocazione è arrivata tardi: «Non è stato il mio pallino sin da bambino, ho cominciato a studiare fisica quasi per caso, iniziando il percorso universitario molto svogliatamente, occupandomi d’altro. Poi ho scoperto questa materia meravigliosa, ed è stato un vero e proprio innamoramento». L’autore delle Sette brevi lezioni di fisica e dell’ultimo L’ordine del tempo (Adelphi) – il primo è stato un fenomeno da un milione di copie in tutto il mondo, il secondo è già a quota 150mila – non ama molto parlare di sé come di un cervello in fuga. «Sì, è vero, lavoro all’Università di Aix-Marseille, prima ero in America, ho anche provato a tornare, ma è un tema così noioso, toccato tante volte, non trova?» Eppure è proprio dall’estero che questo uomo di 61 anni, «un po’ marchigiano, un po’ veronese e un po’ piemontese», ha fatto scoprire la fisica agli italiani.
Sorpreso dal successo?
«Pensi che all’inizio, con il primo libro, eravamo partiti con l’idea di stampare tre o cinquemila copie. Un successo simile non me lo aspettavo nella maniera più assoluta; non era neanche ipotizzabile».
Ora, un libro sul tempo. Perché?
«Non volevo fare una operazione commerciale. Tutti mi dicevano: fai qualcosa di simile alle
Sette brevi lezioni e venderai altrettante copie, ma a me non andava. Il mio mestiere non è scrivere, ma fare ricerca scientifica; così mi sono detto: faccio una cosa più seria, più alta. E ne ho approfittato per parlare dell’argomento che a me sta più a cuore, il tempo».
Un libro più complesso del precedente, ma sempre molto divulgativo. Ci sono persino grafici con dei puffi. Temeva che il lettore si annoiasse?
(Ride) «No i puffi mi sono sempre stati simpatici, sin da ragazzo, quando ero in campagna con gli amici mi sembrava di stare in una comunità di questi personaggi immaginari. E anche quando guardo la gente, mi sembrano tutti dei puffi...»
Come fanno le teorie ad arrivare prima della loro conferma in laboratorio? Lei cita Einstein e il tempo che rallenta a seconda dell’altitudine in cui ci troviamo.
«Questo è l’aspetto bello della scienza, quello più spettacolare. È facile vedere una cosa, ma non capirla prima di poterla osservare. In fondo, il nostro stesso cervello è disegnato per anticipare. Ci siamo evoluti come cacciatori per poter scorgere una preda ancor prima che si manifesti. Questo è il gioco della scienza, ma anche dell’intelligenza: cercare la coerenza tra gli indizi che ci mettono sulla buona pista».
Lei scrive anche che il mondo è ignoranza.
«Riusciamo a vedere più lontano soltanto nel momento in cui ci sentiamo ignoranti. Quello che più blocca il progresso è pensare di sapere già tutto. I secoli in cui si pensa che la verità sia già stata trovata sono proprio quelli in cui non si scopre nulla di significativo, mentre quelli in cui ci si sente confusi, incerti, sono quelli in cui si avanza tantissimo nella conoscenza».
Lei scrive anche che è l’entropia a trascinare il mondo. Cosa significa?
«Il tempo sembra una cosa così ovvia, che scorre in avanti, ma perché il futuro sia diverso dal passato è tutt’altro che scontato, e quando si cerca di capirlo si fa molta fatica, perché là dove ci si aspetta che ci siano differenze tra futuro e passato, in realtà non ci sono. E l’unica cosa che dà una direzione al tempo, che distingue tra futuro e passato, è proprio l’entropia, l’aumento del disordine».
Di cosa si sta occupando come ricercatore?
«Il mio mondo è la gravità quantistica, vale a dire: mettere in relazione tra loro la meccanica quantistica e la relatività di Einstein. Un problema che richiede di ripensare lo spazio e il tempo. Più in particolare, in questi ultimi anni, sto studiando i buchi neri, perché c’è una teoria secondo la quale questi possono esplodere, e se succede, se riusciamo a osservare queste esplosioni, potremmo trovare conferme alle teorie della fisica».
Si sono mai osservati buchi neri esplodere?
«Non direttamente. Ma alcuni astronomi hanno colto dei segnali, che forse potrebbero indicare eventi di questo genere. Potremmo anche averli già osservati senza averli riconosciuti».
La fisica delle particelle e l’astrofisica lavorano sempre più in stretto contatto. L’estremamente piccolo e l’estremamente grande sono un po’ la stessa cosa?
«Sì, l’avvicinamento di questi due mondi è recente. Io ricordo le prime conferenze in cui gli astrofisici e i fisici si incontravano e si guardavano con sospetto. Ora i contatti sono sempre più frequenti. Noi esseri umani viviamo qui sulla terra in un mondo che è – come dire? – un paesello piccolo e quieto in cui non succede mai niente, rispetto al resto dell’Universo. Se vogliamo osservare i fenomeni dobbiamo guardare altrove».
Le teorie della fisica sfidano la nostra immaginazione. Com’è possibile che le particelle possano comparire, a caso, in posti diversi?
«È proprio quello che affascina della fisica. Il fenomeno che ha citato è il cuore della meccanica quantistica. Vede, il mondo non è come ce lo immaginiamo, non è fatto di sassolini che restano là e stanno fermi, finché non li scuoti o gli dai un calcio. No, il mondo è un pullulare, un vibrare, di cose che non sono oggetti, ma sono questi microfenomeni. Noi vediamo del mondo soltanto un aspetto molto grossolano e impreciso».
Si parla della materia oscura come prossimo obiettivo della ricerca scientifica. È d’accordo?
«La materia oscura è questa strana cosa di cui intuiamo l’esistenza ma che non sappiamo cosa sia. È tanta, tantissima, ma non rientra nell’elenco degli oggetti che sapevamo componessero il mondo e, quindi, scoprire di cosa si tratti è una sfida affascinante. Ci sono tante ipotesi, ma nessuna si è rivelata convincente. Potrebbe essere un nuovo tipo di particella, potrebbe trattarsi di buchi neri, oppure, semplicemente, le teorie che usiamo per dedurne l’esistenza sono sbagliate. Prima di dieci anni sapremo di cosa si tratta».
Il suo modo di raccontare le questioni scientifiche ricorda un po’ quello di Hawking. Cosa ne pensa di lui?
«È un grande personaggio è un certamente un bravo fisico, uno dei migliori al mondo. Però i miei libri sono molto diversi dai suoi e mi sono trovato in polemica con lui recentemente. Lui sostiene che la filosofia sia morta e che la scienza possa spiegare tutto; io penso semmai il contrario».
Si parla sempre di scoperte definite importantissime, ma poi alla gente non è chiaro cosa possano comportare, nelle loro vite.
«Per prima cosa direi ai giornalisti di essere un po’ più cauti. Non è vero che, ogni volta che c’è una scoperta scientifica, questa debba per forza cambiare le nostre esistenze. Però un grandissimo risultato recente è stato quello delle onde gravitazionali: una pietra miliare nella scienza, lo aspettavamo da decine di anni e non arrivava mai. Anche quando abbiamo capito che la terra non è al centro dell’universo non è cambiato nulla, per la popolazione. Ma poi la civiltà intera è mutata, perché la portata culturale era enorme. Quando Faraday faceva i suoi esperimenti con l’elettricità sembrava che facesse giochini inutili. Il primo ministro del re andò a visitarlo nel suo laboratorio, per chiedergli quali potessero essere le applicazioni dei suoi studi, per i cittadini inglesi. Lui rispose: io non lo so a cosa serva, ma sono sicuro che prima o poi ci metterete delle tasse, su queste cose. E infatti l’elettricità ci ha cambiato la vita. Io ero certo che la teoria di Einstein, confermata dalle onde gravitazionali, non servisse a niente, quando la studiavo all’Università. E invece mi sbagliavo, perché i gps funzionano anche grazie alla relatività generale».
Come passa l’estate un fisico?
«Viaggio tantissimo per conferenze, per incontrare delle persone, quindi sono sempre in viaggio, sono sempre in aereo. Parto per Copenaghen, ci resto una settimana, poi dopo due giorni parto per Vancouver, torno... La mia idea di vacanza è stare qui a casa, tranquillo. Vivo sul mare, a Cassis, a venti chilometri da Marsiglia. C’è un mare meraviglioso e il cielo è blu».