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 2017  agosto 22 Martedì calendario

La nuova frontiera dei micro-satelliti

Il 23 giugno scorso sono stati immessi in orbita bassa parecchi satelliti in un unico lancio effettuato con un razzo vettore indiano di media capacità, PSLVC38.
Giunto all’altezza opportuna l’ultimo stadio del vettore ha rilasciato, fra gli altri, un piccolo satellite dedicato a Max Valier, scienziato austriaco considerato uno dei padri fondatori dell’astronautica negli anni 30, tragicamente morto mentre sperimentava un’auto con propulsione ad alcol. Il satellite, un telescopio a raggi X miniaturizzato ad uso degli appassionati dell’astronomia, è stato pensato e sviluppato dagli studenti dell’omonimo Istituto tecnico di lingua tedesca di Bolzano, assieme a colleghi di Merano, entrambi supportati dalla industria tedesca OHB System AG. Come se non bastasse, il satellite in questione, sui 140 kg al lancio, porta addossati alla propria parte esterna 8 satelliti “Sprite”, folletto, del progetto Breakthrough Starshot, i più piccoli finora mai realizzati. Misurano infatti solo 3,5 cm per 3,5, pesano 4 grammi e sono completi di pannelli solari, computer di bordo, sensori, antenne e apparati radio. Fino ad ora tutto funziona benissimo. I segnali radio dei folletti, con qualche difficoltà, vengono ricevuti a terra e i responsabili ci tengono a far sapere che questi piccoli apparati sono solo il primo passaggio verso satelliti coriandolo da 1 centimetro di lato e 1 grammo o poco più di peso, necessari per volare fino alla stella a noi più vicina, Alpha del Centauro.
Questa notizia, che è cronaca, dà bene l’idea del cambiamento avvenuto nel settore spaziale negli ultimi cinque anni o poco più e indotto in parte dalla politica lungimirante dell’ex presidente Obama e in parte dalla tecnologia disponibile, che ha fatto passi letteralmente da gigante negli ultimi anni. Oggi, un satellite di piccole dimensioni, ma non per questo meno sofisticato o innovativo, può essere costruito anche da una scuola qualificata o da un’Università.
L’ingresso dei privati
Obama infatti, nel suo primo mandato, diede il via libera ai privati per la costruzione di mezzi spaziali e il loro utilizzo, costringendo nel contempo la Nasa a passare tecnologia e soldi all’industria americana per servizi non essenziali e tenere per sé solo quelle missioni di ricerca che un privato, per motivazioni economiche, non può pensare di intraprendere. Questo ha scatenato, prima in Usa e poi nel resto del mondo, una corsa ad accaparrarsi parte del ricco e molto promettente mercato dello spazio. Il primo che ne ha tratto benefici è stato ancora una volta il vulcanico Elon Musk, già “inventore” di grandi innovazioni nel mondo delle carte di credito, dell’automobile, con le sue Tesla, e ora anche nei trasporti terrestri con il “treno” ad alta velocità Hyperloop. SpaceX, la sua compagnia spaziale, in pochi anni è riuscita a costruire i vettori Falcon, testarli e firmare contratti miliardari con la Nasa per il trasporto verso la Stazione spaziale internazionale di carico utile: cibo, acqua, materiale elettronico, attrezzature per esperimenti. Lo scorso anno è anche riuscito nello spettacolare tentativo di mandare nello spazio un razzo vettore e farlo ritornare sulla Terra sano e salvo, con atterraggio effettuato coi retrorazzi. A parte il successo tecnologico, notevolissimo, la riduzione dei costi è evidente, dato che quel razzo è in parte riutilizzabile. Per fine 2017 o inizio 2018 potremmo vedere anche il primo trasporto di astronauti effettuato da SpaceX, che oggi è tallonato dalle imprese analoghe di altri tycoon dell’economia digitale, come Jeff Bezos di Amazon.
La situazione è insomma molto diversa da quel che abbiamo probabilmente ancora in mente in molti, cioè che la costruzione, lancio e gestione dei satelliti, in genere grandi e pesanti, sia appannaggio dei grandi stati e delle loro agenzie. Il mercato si è aperto in modo impressionante e non è un mercato da poco. La Space Economy, secondo il rapporto 2017 preparato da Bryce Space Techonolgy, società specializzata nel settore, nel 2016 ha visto un aumento dei ricavi totali del 2% rispetto all’anno precedente, con un valore complessivo di 260,5 miliardi di dollari che si ottengono sommando ai 5,5 legati al settore lancio e i 13,9 della costruzione di satelliti i valori dei due settori più importanti: servizi da satellite 127,7 miliardi e servizi a terra 113.4.
In 10 anni il settore è raddoppiato, in pratica, passando dai 122 miliardi del 2007 ai 261 circa del 2017, crescita ottenuta in modo discontinuo ma con punte del +19 % annuo. Per ribadire quanto abbiamo detto sopra notiamo che negli ultimi 5 anni il numero di satelliti è cresciuto del 47% e oggi si attesta a 1.459 per quelli in operazione, al 31 dicembre 2016. Almeno 59 Paesi hanno un satellite che sta lavorando in orbita, mentre il record è ancora una volta degli Usa coi suoi 594. Certamente questo aumento notevolissimo è dovuto alla possibilità, e relativa facilità, di costruire e lanciare a cifre affrontabili piccoli o anche medio satelliti, sotto i 200 kg e sotto i 500 rispettivamente.
Prendendo in considerazione i vari settori in cui vengono utilizzati i satelliti il record di crescita nel 2016 è rappresentato dall’11% per la parte di osservazione e monitor della Terra, mentre cala ben del 13% il ricavo per costruzione di satelliti, per il crollo dei costi e la maggior vita media dei mezzi spaziali. Per avere un’idea nel 2016 ben 45 dei 79 satelliti made in Usa sono “Cubesat”, letteralmente satelliti contenuti in un involucro cubico con peso di pochi chili, costruiti per funzioni ben precise, di buona qualità, ma ovviamente non costosi.
Al di là dei numeri, occorre dire che si respira oggi un nuovo clima di interesse e anche entusiasmo verso lo spazio, e non solo per le imprese che fanno sognare, come la colonizzazione di Marte o il più probabile impianto di un villaggio sulla Luna, cui anche l’Europa è parecchio interessata, ma per l’utilità che dallo spazio può scaturire e per la facilità con cui oggi vi si può accedere e impiantare un servizio. Google, ma anche altri player globali, immaginano di avvolgere la Terra in una rete di centinaia di piccoli satelliti, 648 nel caso del progetto dell’americana OneWeb, per portare internet e web anche nel più recondito angolo del pianeta, e in questi progetti l’Europa coi suoi lanciatori Vega e Ariane potrebbe piazzarsi molto bene con offerte competitive per costi e sicurezza.
Per assurdo, la diminuzione dei costi e la miniaturizzazione gioca a sfavore anche dei nuovi lanciatori. Il Falcon di SpaceX può portare in un solo lancio anche 50 satelliti, in pratica in una sola volta può realizzare una costellazione per un privato, con guadagno bassissimo, dato che il ricavo è legato al numero di volte che un vettore decolla. Forse per questo pensa, a fasi alterne, a una sua costellazione di mille satelliti, come altri operatori. Fra progetti come questo, la cui realizzazione è oramai questione di tempo, e quello utopico, accennato all’inizio, per far arrivare satelliti grandi come un dado per brodo fino alla stella più vicina, comunque lontana 4 anni luce, lo spazio sta diventando sempre più affollato, ma anche attraente e redditizio.
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Secondo di una serie di articoli Il precedente è stato pubblicato l’11 agosto