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 2017  agosto 22 Martedì calendario

Il reddito di inclusione ci costa 2 miliardi

Per Paolo Gentiloni che si scandalizza se un banchiere incassa 185 milioni di dollari l’anno, ma pare meno interessato alla disoccupazione giovanile, sempre altissima quella del reddito di inclusione è quasi un’ossessione. Con una sterzata rispetto alla idea di fondo del Partito democratico e una strizzata d’occhio alla base del Movimento 5 Stelle, il premier in carica ha varato, lo scorso giugno, un decreto che ha introdotto, nel nostro ordinamento, uno strumento assai simile al reddito di cittadinanza, bandiera proprio del partito fondato da Beppe Grillo. La misura voluta da Gentiloni entrerà in vigore dal prossimo gennaio e, al momento, sono stati stanziati circa 1,6 miliardi di euro a cui aggiungere altri 3-400 milioni da racimolare nelle pieghe dei capitoli di spesa del bilancio pubblico. 
Qualcuno, come la Confindustria, avanza qualche critica pesante e parla di «sprechi». Senza dubbio, si tratta di una misura di stampo elettorale (tra pochi mesi si torna alleurneeunpo’dimancea pioggia fanno comodo per aumentare il consenso). In totale stiamo parlando di 2 miliardi destinati, appunto, ad alimentare il fondo per supportare le persone in stato di bisogno, tecnicamente che necessitano di «inclusione». In partenza dovrebbero essere aiutate con cifre variabili da 190 euro a 485 euro 560mila famiglie, che vuol dire grosso modo 1,8 milioni di persone. Molti saranno immigrati. 
Come funziona il reddito di inclusione attiva (Rei)? Viene riconosciuto alle famiglie con un reddito (vale l’Isee, fino a 6mila euro) e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, fino a 20mila euro (in questo si permette l’accesso anche a chi è proprietario della casa in cui abita, ma versa in uno sta
to di povertà). In prima applicazione sono prioritariamente ammessi i nuclei con figli minorenni o disabili, donne in stato di gravidanza o disoccupati ultra cinquantacinquenni. 
Dicevamo delle elezioni e della mancia. Quei 2 miliardi in ballo potrebbero crescere a breve. Sia nella maggioranza parlamentare sia nelle file dello stesso governo cresce l’ipotesi di incrementare lo stanziamento. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, vorrebbe mettere sul piatto altri 1,5 miliardi. Calcolatrice alla mano, vorrebbe dire portare l’ammontare complessivo a 3-3,5 miliardi. Per il dem Edoardo Patriarca è una «priorità». Di un «maggiore finanziamento» in arrivo con la prossima legge di bilancio (sarà messa a punto entro settembre) ha parlato apertamente anche il viceministro dell’Economia, Enrico Morando. 
Restano i dubbi sui possibili sprechi e sulle furbate. Secondo Confindustria «una misura di contrasto alla povertà assoluta come il Rei, che va finanziata esclusivamente con la fiscalità generale, necessita di un monitoraggio attento per evitare sprechi di risorse e inefficienze legate a possibili comportamenti opportunistici». 
Certo, di persone in difficoltà ce ne sono tante. La stessa organizzazione degli industriali ha ricordato recentemente i numeri: «L’arretramento generale del livello di benessere ha ridotto in povertà un numero consistente di famiglie e di persone: per queste ultime l’aumento numerico è drammatico, 4, 74 milioni, +165,1% dal 2007». Il funzionamento è legato alla corretta individuazione dei bisognosi. Il pericolo è che a mettersi in fila siano soggetti non legittimati a ricevere il sussidio: dai falsi invalidi, ai falsi poveri.