la Repubblica, 23 agosto 2017
«Niente selfie, si fa penitenza». E il sindaco vieta i telefoni per il rito degli incappucciati
NAPOLI La parte sinistra, quella del cuore, è un quadrato strappato nel sudario bianco che avvolge i penitenti dei Settennali di Guardia Sanframondi. Paese noto per il vino e per questa festa che festa non è.
Perché non ci sono fuochi d’artificio, bancarelle col torrone e luminarie. Anzi, per ordinanza del sindaco, bar e ristoranti non potranno cucinare nel momento più importante, quello della processione. C’è solo la penitenza, in questa festa. Anche Roberto Saviano volle la grande processione dei Settennali in un episodio della serie Gomorra, per mostrare come i boss, gli stessi che uccidono anche da latitanti, vanno alla processione a battersi il petto, nascosti dal lenzuolo.
È iniziata lunedì la celebrazione che durerà una settimana, culminando domenica nella grande processione dei Battenti che si perforano il petto in quel quadrato strappato, proprio sopra il cuore. Quello che, secondo il concetto di penitenza, “deve cambiare” la tristezza del peccato, dell’errore a cui il penitente deve rimediare. Per l’occasione, il paesino di 5.000 abitanti del Beneventano ritrova i suoi tanti emigrati (circa duecento in sei anni hanno ripreso la residenza e comprato casa dal Canada o dall’Australia) e il borgo medioevale diventa un immenso teatro. E le processioni si susseguono, come uno spettacolo per un pubblico d’altri tempi. Proprio per questo il sindaco, Floriano Panza, per l’edizione che sta per andare in scena ha vietato i cellulari. «Speriamo di poter celebrare una giornata di vera spiritualità», dice, commentando la sua ordinanza. «Abbiamo due vigili urbani, non crediamo di poter esercitare un controllo pieno, ma contiamo sull’atmosfera che si crea in paese e sulla sorveglianza dei guardiesi, che sono molto fieri della loro festa». Due tipi di processioni sono state preparate nei sei anni intercorsi fra questa e l’ultima edizione. Quella dei Misteri, che porta per le stradine del paese cento tableaux vivents a riprodurre episodi delle sacre scritture. E la sfilata della domenica, dove centinaia di misteriosi incappucciati si offrono volontari per fustigarsi e ferirsi con la disciplina, frustino moderno fatto di alluminio anodizzato, e la spugnetta, un turacciolo di sughero da damigiana da cui spuntano decine di spilli. Il sangue cola anche sulla strada e loro si disinfettano con il vino bianco. Ma leggenda vuole che il giorno dopo la processione le ferite siano magicamente guarite.
Una festa senza tempo, quella di Guardia Sanframondi. «Niente selfie con i battenti – insiste il sindaco – meglio concentrarsi sulla religione e trascorrere una bella giornata di spiritualità. Roba rara ai nostri giorni. Sette anni fa non c’erano ancora tanti telefonini. Ma non ci saranno solo divieti: abbiamo dotato di filodiffusione l’intero paese e nel raggio di trenta chilometri c’è il tutto esaurito, contiamo di arrivare a 200 mila persone».
Imponente il servizio d’ordine nel quale sono impegnate mille unità. Ogni cinquanta metri ci sarà una postazione medica con defibrillatore per prevenire i rischi del caldo annunciato. Un’invasione non senza ansie: i vertici in prefettura, dopo l’attentato di Barcellona, si sono susseguiti. Ma il sindaco, tenace, ha rifiutato di imbruttire il paese con i new jersey di cemento e ha optato per un centinaio di fioriere come transenne per contenere la folla. Duemila figuranti, quasi tutta Guardia, divisi nelle quattro contrade, interpretano i personaggi delle vite dei santi, dei vangeli, dei dogmi teologici. Qualcuno è la star, come Gesù Cristo, parte che si può ricoprire alla fine di una carriera che inizia vestendo i panni del puttino. Il giorno della processione, i guardiesi “diventano” il personaggio che interpretano. «I riti sono sempre spettacolari – spiega Giovanni Vacca, etnomusicologo e autore di Nel corpo della tradizione – Prima degli anni Quaranta, le celebrazioni di Guardia si tenevano quando c’era qualcosa da impetrare, una grazia da ottenere, quando bisognava far muovere la Madonna Assunta». Quella Madonna che non a caso qui – spiega il giornalista e storico Sandro Tacinelli – «viene detta “la madonna dell’appila e spila”, ovvero che tappa e stappa il cielo quando piove troppo o non piove più».