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 2017  agosto 23 Mercoledì calendario

Silvan, a tavola il papà mago fa sparire tutto

Il cardigan da casa blu scuro con cui affronta ogni inverno, non c’è verso di farglielo buttare. «Le tasche sono sempre più sformate e allungate. Dentro c’è di tutto: palline di gomma, elastici, caramelle, conchiglie, tappi. Quando guarda la tivù, ci infila dentro le mani e si allena». Le dita, a furia di esercizi, sono diventate fortissime. «È un ottimo massaggiatore: quando vado a trovarlo e mi fa male il collo o la schiena gli chiedo subito di pensarci lui». È per questo che di tutti i «numeri» con i quali suo padre Aldo Savoldello, in arte Silvan, ha lasciato a bocca aperta milioni di italiani, preferisce quello della manipolazione delle candele. «A parte il colpo d’occhio di questi oggetti che si moltiplicano, lo considero il migliore perché ne comprendo la difficoltà. In fondo anche lei potrebbe tagliare una donna in tre pezzi, ma per tenere cinque candele o cinque palline tra le dita ci vogliono forza e allenamento enormi».
Mentre la mente si distrae al pensiero di potenziali conoscenti da affettare, Sara Olga, la primogenita del Mago, ci riporta alla realtà con un bicchiere di tè freddo e un piatto di biscotti al cioccolato preparati dal marito Eugenio e dai figli Giacomo Domenico e Francesco Aldo (i secondi nomi in onore dei due nonni). Occhi blu, sorriso genuino, nel giardino della casa di Lavinio, sul mare di Anzio, racconta com’è stato crescere con un papà magico. «Il punto è che lui non finge a beneficio del pubblico, lui è davvero così!».
«Così», tradotto nella pratica, significa tante cose. «Quando va dal fruttivendolo, se prende in mano un’albicocca è per vedere se gli sta nella mano e se può farla sparire. E lo fa, lasciando tutti basiti». A tavola, non c’è pranzo o cena senza una piccola magia. «Trasforma la mollica in crosta o un tappo rosso in bianco». Neppure al mare va in vacanza. «Ricordo un’estate a Capri. Mia madre Irene aveva il compito di raccogliere le conchiglie che lui teneva in tasca. Quando le persone lo fermavano, a ognuno chiedeva di dargli un euro e al posto della moneta faceva comparire la conchiglia. Con quei soldi ci siamo presi un aperitivo!».
Fino ai quattro anni la vita di Sara è stata nomade. «Vivevo praticamente in camerino, tra colombi, conigli bianchi e foulard che si trasformavano in bacchette magiche (a proposito, in casa Savoldello è possibile trovarne una nel cassetto delle posate, nel portapenne accanto al telefono, su qualunque tavolino, ndr )». Quando poi Silvan decise di ritornare stabilmente in Italia, per Sara arrivarono nuove «controindicazioni». «Andare al parco poteva essere fastidioso, papà veniva assediato da donne che lo volevano baciare, o che gli chiedevano l’autografo o che mi davano pizzicotti sulle guance per dirmi quanto ero bella». La qualità del tempo speso insieme, però, è sempre stata altissima. «La domenica, quando mamma restava a casa a fare le faccende, lui mi portava in campagna, nelle fattorie: potevo buttarmi nei fienili, giocare con i maialini, accarezzare le mucche. E poi mi faceva bere l’ovetto fresco appena deposto dalla gallina». Era la sua «Pipinella». «E così mi chiama ancora. Quando vuole essere molto affettuoso parla in veneziano, la sua lingua».
Dentro casa il «regno magico» di Silvan era «inavvicinabile»: «Sono due stanze alle quali si accede scendendo una scala a chiocciola. Una ha tre pareti a specchio ed è lì che prova i numeri. L’altra è quella dello studio, con la libreria sterminata: ci sono oltre 3.500 volumi di magia e dintorni, con tre statuine automatiche antiche scovate nei mercatini delle pulci, altra passione di papà. Io e mio fratello Stefano, di sei anni più giovane di me, da piccoli non potevamo mai scendere, perché sul pavimento avremmo potuto inciampare in fili trasparenti o polverine infiammabili. Crescendo, siamo stati ammessi. Io mi sedevo per terra e raccoglievo le carte che cadevano in terra alla fine di un numero».
Qualche trucco lo ha imparato pure lei. «Feci il mio unico spettacolo a 12-13 anni a Fregene, a una festa di compleanno. Chiesi di scrivere su dei pezzetti di carta nomi di persone morte e soltanto uno di un vivente. Li mescolai e li bruciai. L’unico foglietto a non prendere fuoco fu quello con il nome della persona viva. Rimasero tutti sconvolti. Io mi vergognai tantissimo perché li avevo ingannati!». Soltanto una volta ha calcato il palcoscenico nei panni di assistente del mago. «Avevano offerto a papà uno spettacolo in una crociera, il viaggio sarebbe durato una settimana con un’unica esibizione e avrebbero coperto le spese pure a un aiutante. Così lo accompagnai. Mi ero esercitata a portare un vassoio con degli oggetti, ma quel giorno c’era il mare molto mosso. La vera magia fu che non cadde niente».