Corriere della Sera, 23 agosto 2017
Perché l’Isis abbandona i suoi dopo gli attacchi
Younes, compiuto il massacro, è fuggito a piedi. In cerca della salvezza, in cerca di un appoggio, magari di un amico che potesse aiutarlo. Lo hanno fermato. Stesso destino di Abdelhamid Abaaoud, il coordinatore dell’attacco di Parigi e Anis Amri, l’autore dell’attacco al mercatino natalizio a Berlino. Il primo si è affidato a una cugina, che poi ne ha determinato l’individuazione. Il secondo vagava vicino alla stazione di Sesto San Giovanni. È come se fossero dei vuoti a perdere. Nessuno si preoccupa di loro. La casa madre – lo Stato Islamico – li considera dei sacrificabili e spera che lo siano davvero. Non deve badare al piano «C» – la fuga – e la morte «in combattimento» ne glorifica il nome. In teoria non è prevista la resa, solo il martirio. Con tutte le eccezioni di una realtà codificata da manuali e istruzioni che, però, lascia spazio alla casualità e alle iniziative personali. Salam Abdeslam, il presunto kamikaze mancato, è sopravvissuto. Nel caso catalano c’era una situazione contingente complicata. Younes era forse l’unico superstite del nucleo duro della cellula. L’imam Es Satty, la sua guida, è deceduto nell’esplosione della base ad Alarcón, gli altri hanno optato per il gesto eclatante lanciandosi contro un posto di blocco a Cambrils. Il killer del furgone era a un bivio: trovare da solo la via d’uscita oppure farla finita. I proiettili degli agenti hanno ricongiunto i due sentieri.