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 2017  agosto 23 Mercoledì calendario

Barcellona, nel covo documenti dell’Isis. Arrestati tre complici anche in Marocco

BARCELLONA Il terrorista indossa un pigiama celeste e trascina i piedi su un paio di infradito gialle. Due poliziotti lo tengono per le braccia ammanettate. Alle 12.50 si siede davanti al procuratore capo dell’antiterrorismo spagnolo, Fernando Andreu, a Madrid. È il primo ad essere interrogato e l’unico che ammette: «Il piano prevedeva un grande attacco su più obiettivi, la Sagrada Familia e altri monumenti, con i furgoni bomba riempiti di chiodi e bulloni ed esplosioni dentro le chiese».
Mohamed Houli Chemlal, 21 anni, spagnolo di Melilla, è in pigiama perché l’hanno portato in Procura direttamente dall’ospedale. La polizia l’ha raccolto ferito all’esterno della villetta occupata di Alcanar, saltata in aria per un incidente mentre altri preparavano le bombe. «Mi sono salvato perché ero andato a buttare i resti della cena».
Parla, Chemlal, perché non potrebbe fare altrimenti: la sua presenza nel covo distrutto la sera del 16 agosto lo inchioda al centro della cellula jihadista che il giorno dopo ha attaccato Barcellona e Cambrils (15 morti e 43 feriti ancora ricoverati). Di fronte alla prospettiva di una pena pesantissima, prova a minimizzare la sua posizione: «Dicevo agli altri di mettere le bombe di notte, per evitare vittime». E ribadisce invece il ruolo chiave dell’imam marocchino, Abdelbaki Es Satty, ucciso dall’esplosione: «Voleva morire da martire, voleva immolarsi». E c’era proprio il nome dell’imam su un quaderno verde che è stato tirato fuori dalle macerie della villetta: più importante era il contenuto nascosto tra le pagine. Un testo manoscritto dedicato ai soldati dello Stato islamico in terra andalusa contro i crociati, i peccatori, gli ingiusti e i corruttori. Allegato, anche un biglietto aereo per Bruxelles intestato a Es Satty.
La prima fase dell’inchiesta sulla strage della Rambla si chiude ieri sera con due arrestati che tornano in carcere con l’accusa già definita di terrorismo, uno che resta detenuto ma ancora «sotto inchiesta» e il quarto che esce in libertà vigilata. Il racconto di Chemlal svela retroscena e particolari dell’ultimo rigurgito di jihad in Europa maturato a Ripoll, il paese alle falde dei Pirenei dove l’imam ha agganciato e radicalizzato quella dozzina di amici e fratelli (4 arrestati, 8 morti). «Per comprare le bombole di gas (120, ndr ) abbiamo venduto alcuni gioielli. Polveri e ingredienti per le bombe li tenevamo dentro federe di cuscino. La fase operativa è durata due mesi. Non avevamo un piano alternativo». Ecco perché, quando la villetta è crollata, gli altri terroristi hanno lanciato un’azione immediata e scomposta con il furgone sulla Rambla di Barcellona e un’Audi nella notte tra i passanti a Cambrils.
Definito il versante «spagnolo» dell’indagine, i nuovi filoni si sviluppano all’estero, a dimostrazione che dietro la cellula di Ripoll ci fosse una rete solida e ramificata. La polizia francese indaga su un viaggio lampo che quattro terroristi hanno fatto a Parigi l’11 agosto, sei giorni prima degli attentati. Negli stessi giorni di agosto, però, altri componenti del commando erano in Marocco, lasciando un’altra traccia di quei frenetici spostamenti che sempre precedono la realizzazione di un attentato complesso. E proprio in Marocco negli ultimi due giorni sono stati arrestati tre uomini. Uno pare collegato a un’ipotesi di attacco contro l’ambasciata spagnola di Rabat. Gli altri hanno vissuto invece per anni in Spagna, proprio a Ripoll, e vengono ritenuti complici diretti della cellula appena smantellata: uno è cugino dei fratelli Oukabir; l’altro, un tale Hachim Ennadih, aveva condiviso per qualche tempo un appartamento frequentato da Younes Abouyaaqoub, l’uomo che guidava il furgone omicida sulla Rambla ed è stato ucciso dalla polizia due giorni fa. Di mestiere, in Spagna, Ennadih commerciava bombole di gas: come le 120 che gli attentatori avevano accumulato e volevano far esplodere contro i monumenti di Barcellona.