La Stampa, 23 agosto 2017
Da Leonardo a Clooney il corpo perfetto è una formula matematica
La bellezza totale? «Non solo è rarissima ma insignificante». Il desiderio? «Si sofferma su un dettaglio, un tratto, un segno particolare, una caratteristica fisica o un modo di fare». L’amore? «È cieco perché mette a fuoco la parte per il tutto» (e meno male). Forse Giulia Sissa, storica dei comportamenti e delle idee, docente all’Università della California, Los Angeles (Ucla) ci libererà una volta per tutte dall’ossessione del corpo perfetto.
Al Festival dei Sensi dell’Itria (22-24 agosto) in un’anteprima del suo prossimo lavoro, difende la chirurgia estetica come espressione della cura di sé e scopre che in fondo, la perfezione è inutile, anche se ci affanniamo a individuarla e pensiamo, qualche volta di averla trovata. In George Clooney, per esempio. Il chirurgo inglese Julian De Silva ha analizzato matematicamente il volto di svariati sex symbol secondo la regola della sezione aurea che dall’antica Grecia definisce la bellezza (usata anche da Leonardo nel suo «Uomo Vitruviano»). George, tra le molte fortune, ha la miglior simmetria in assoluto. È perfetto al 91,86 per cento, tallonato da Bradley Cooper (91,80 per cento) e Brad Pitt (90,51 per cento). «People» invece incorona Julia Roberts. Modelli impossibili. Nasce un desiderio di controllo del corpo (come posso migliorarlo?) che produce facile ironia: le «labbrosaure», le «rifatte», le «zigomatiche».
L’intelligenza estetica
«Se invece di controllo parliamo di “cura”, si capisce che c’è un’intelligenza nel vivere estetico – spiega Sissa – il corpo perfetto è un mito, mi spiace per George Clooney. Un po’ di perfezionismo è un modo di occuparsi di sé, dalla doccia quotidiana alla ginnastica. Il mondo è un bagno di linguaggio. I codici mi permettono di comunicare. Che mio marito si tonifichi gli addominali mi fa piacere. È un gesto rivolto anche a me. Che io scelga un rossetto scarlatto gli dice qualcosa. La cura è intenzionale ed espressiva. È relazionale, erotica e creativa».
La medaglia però ha il suo rovescio. Un aspetto ingrandito del nostro corpo ci rende desiderabili, un altro ci fa dimenticare il resto (troppo seno, poco seno, pancia, calvizie). Per Sissa «l’angoscia è distruttiva, ma l’ansia è vitale. Passiamo il tempo a interpretare i nostri sentimenti, a interrogarci su cosa fare, a coltivare un genere di vita. In quest’ansia c’è posto per l’irrequietezza estetica. Questo è il mio corpo: che cosa ne faccio? La domanda vale per il cervello, ma anche per la pelle o la voce. Penso che ci sia un “meglio”. Esiste un perfezionismo sia morale che estetico. Né l’uno né l’altro sono obbligatori».
Ma la cultura ci rende coscienti della relazione tra realtà e immagine ideale. L’indagine di «In a Bottle» condotta su 1300 italiani racconta storie di «bikini blues»: per una donna su due, è davvero angoscia. Addirittura, Marika Tiggemann, psicologa della Flinders University, ha evidenziato effetti negativi sull’autostima. Agli uomini va leggermente meglio: il 39% non si sente in forma e pianifica dieta/sport/medicina estetica. «In effetti è aumentato il numero dei maschi che interviene sul corpo con depilazione definitiva, definizione degli addominali, trattamenti anti-pancia», conferma Dvora Ancona, la filosofa del «belle senza bisturi» che sta sperimentando con successo un’apparecchiatura in grado di «ridistribuire» la ciccia localizzata.
La metamorfosi
L’ossessione viene da lontano, spiega Sissa: «Storicamente, il corpo antico (Greco, Romano e pre-Cristiano) è vissuto nella metamorfosi. Nasco, invecchio e muoio. Se sono femmina, resto molle e soffice, quindi intelligente e codarda. Se sono un maschio, divento denso e focoso, quindi coraggioso e risoluto. Poi ci rinsecchiamo insieme. L’educazione lavora su questa materia prima. Imparo a combattere, a parlare in pubblico, a danzare o ad allattare. La civilizzazione mi modella e mi modifica. Certo, l’arte classica immobilizza il corpo in divenire, cogliendone momenti memorabili. Uno di questi è la giovinezza, il fiore dell’età. I fiori sfioriscono e non c’è risurrezione della carne. Accettare che il tempo sia irreversibile, significa accettare la tragedia (e commedia) del corpo stagionale. Carpe diem! Ma anche: andiamo in palestra!»