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 2015  marzo 01 Domenica calendario

La sfida delle riviste patinate tra al Qaeda e Stato Islamico

Da sempre le masse si conquistano attraverso la propaganda. I due maggiori movimenti jihadisti globali, al-Qā‘ida e lo Stato Islamico (Dā‘iš) 1, non sono da meno. Dal 2010, la filiale al-Qā‘ida nella Penisola Arabica (Aqap) pubblica il web magazine Inspire, giunto ormai al suo tredicesimo numero, nonostante le misure prese da numerosi governi per bloccarne la diffusione e gli attacchi degli hackers al soldo delle intelligence occidentali 2. Nel luglio 2014, a pochi giorni dalla nascita del califfato (oeilāfa) guidato da Abū Bakr al-Baġdādī, è nato invece l’organo di propaganda di Dā‘iš, chiamato Dābiq, dal nome di una cittadina siriana a nord di Aleppo dove, secondo un noto ḥadīṯ 3 relativo all’apocalisse, i musulmani avranno la meglio sugli eserciti di Roma (l’Occidente). La cittadina di Dābiq viene inoltre associata alla battaglia di Marğ Dābiq del 1516, quando la vittoria degli ottomani sui mamelucchi spianò la strada all’espansione del loro impero. Un riferimento probabilmente intenzionale all’ultimo califfato della storia islamica (1453-1924). Dall’analisi dei contenuti dei due strumenti di propaganda emergono stili, visioni politiche e contenuti ideologici alquanto differenti.  
L’avanguardia futurista di Dā‘iš surclassa i veterani di al-Qāida
 
Pur essendo tradotte in svariate lingue e attingendo spesso a testi originariamente in arabo, sia Inspire sia Dābiq sono pubblicate in inglese e rivolte a un pubblico non arabofono di potenziali giovani mujāhidīn, avido di contenuti esteticamente appetibili. Entrambe sono riviste patinate, ma la seconda sembra opera di un collettivo più giovane, contraddistinto da un gusto per le copertine sfrontate (si pensi a quella in cui il vessillo nero sventola sull’obelisco vaticano) e l’esibizione splatter dei cadaveri dei nemici, in linea con i formati hollywoodiani dei video prodotti da Dā‘iš 4. Anche i ritmi di pubblicazione di Dābiq, sette numeri in otto mesi, sono molto più incalzanti di quelli di Inspire, solamente 13 in quasi cinque anni.
 
La distanza conflittuale tra due generazioni diverse 5 – quella della leadership qaidista e quella dei sottoposti che ingrossano le file di Dā‘iš – risulta evidente anche quando Dābiq annuncia la bay‘a (il giuramento di fedeltà) allo Stato Islamico di altri gruppi precedentemente vicini ad al-Qā‘ida nel Caucaso o in Pakistan e riconduce tali scissioni a dissidi con i vertici 6. Inoltre, al-Qā‘ida critica Dā‘iš in virtù della maggiore esperienza politico-militare della prima e perché ritiene prematuro l’annuncio del califfato, che dovrebbe essere preceduto da una fase di consolidamento (tamkīn) 7.
 
La portata della rivoluzione attuata dall’intraprendenza di Dā‘iš è invece evidente nell’enfasi apposta nel primo numero di Dābiq al concetto di imāma (leadership) del califfo, sancita dalle vittorie militari «volute da Dio» prima ancora che da una legittimità religiosa 8. A dispetto del ricco repertorio di citazioni di aḥadīṯ e versetti coranici (āyāt), il team editoriale di Dābiq sembra così tradire uno spirito da avanguardia futurista incentrato sull’azione. Sul fronte opposto, formazioni come Ğabhat al-Nuṣra (franchise di al-Qā‘ida in Siria) rimangono invece arenate negli obiettivi di medio termine, come la destabilizzazione del ṯāġūt (idolo) locale, Baššār al-Asad. Finendo così per allearsi con il variegato cosmo di ribelli sirani in lotta contro Dā‘iš, fazioni corrotte dalle idee occidentali che non ambiscono alla creazione del califfato 9. La vocazione massimalista dello Stato Islamico a bruciare le tappe, in contrapposizione a una leadership più cauta, riflette del resto una tensione già emersa storicamente in seno a molte altre correnti politiche 10.
 
Colpisce però il fatto che, a fronte delle invettive scagliate da Dābiq contro figure di primo piano di al-Qā‘ida 11, Inspire si ostini a ignorare l’ascesa dello Stato Islamico. Non si riscontra infatti nessun riferimento nemmeno nel numero 13, pubblicato nel dicembre del 2014 12, in piena offensiva occidentale sulle postazioni di Dā‘iš. Forse il sintomo di una ferita aperta e imbarazzante, che si è deciso di ignorare a dispetto delle crescenti defezioni a favore dello Stato Islamico 13. Di certo, la guerra mediatica la sta vincendo Dābiq, grazie a un’offensiva coordinata ai danni degli ideologi di al-Qā‘ida, contrapposta alle sconnesse critiche dei qaidisti 14.
 
La guerra all’Occidente: dai lupi solitari agli scenari apocalittici
 
Il potenziale mujāhid occidentale che legge le due riviste è chiamato a scegliere tra due campi di battaglia completamente diversi, uno nelle terre del califfato e l’altro nella roccaforte dei nemici.
 
Dābiq è disseminato di appelli alla hiğra (emigrazione), che si traduce nella partecipazione a un ambizioso progetto politico annunciato in toni enfatici 15. Da una parte, Dā‘iš si muove come un’organizzazione orizzontale, ben diversa della struttura a grappolo decentralizzata delle reti qaidiste. Presenta pertanto alcuni tratti del partito Ba‘ṯ, come la capacità di garantirsi il supporto delle tribù locali 16, opportunamente celebrato sulle pagine di Dābiq nei resoconti degli incontri tra i funzionari del califfato e i capiclan 17. Lo Stato Islamico promuove anche l’insediamento di veri e propri coloni stranieri per sostituire quelle popolazioni locali che insorgono contro le leggi draconiane imposte dai jihadisti. Di fatto, si tratta di un’«importazione» di sostenitori che soddisfano determinati criteri ideologicoreligiosi per schiacciare le forme di dissenso. Un tratto che paradossalmente evoca il sionismo.
 
Nel sesto numero di Dābiq, la funzione del mujāhid muhājir (combattente migrante) che difende le terre del califfato dalle derive nazionalistiche traspare nella testimonianza dell’emigrato in Waziristan (Pakistan nord-occidentale) Abū Ğarīr al-Šamālī. Il quale ricorda con amarezza l’appello dai toni nazionalisti lanciato dal leader talibano afghano, il mullah Omar, ai mujāhidīn stranieri affinché lasciassero il paese nel 2012, in seguito all’inizio del ritiro americano 18.
 
La qaidista Inspire si concentra invece sulle ricette fai-da-te per produrre ordigni esplosivi «nella cucina di mamma» 19, sul jihād pragmatico dei «lupi solitari», lontano dai proclami in pompa magna dello Stato Islamico. La sezione «appunti del mujāhid», presente nell’introduzione della rivista, svela un’attenzione per il pubblico afroamericano di fede musulmana solidale con la rivolta di Ferguson, adescato con alcune citazioni di Malcolm X 20.
 
Anche la polemica nei confronti dell’Occidente infedele (kāfir) assume finalità diverse nei due magazine. Dābiq, a partire dal nome, propone una visione apocalittica della resa dei conti con la coalizione «crociata», destinata a essere sconfitta nei pressi della fatidica cittadina siriana. La copertura mediatica della trionfale avanzata di Dā‘iš e la scelta di assediare le minoranze curde di Sinğār e Kobani sembravano essere concepite per trascinare i governi occidentali in uno scontro aperto. Catalizzando così il supporto della comunità jihadista globale.
 
Inspire dedica invece spazio alle reazioni dell’Occidente alla sua pubblicazione e al costo socioeconomico delle misure antiterroristiche innescate dagli attacchi dei mujāhidīn che seguono i tutorials della rivista. L’obiettivo dichiarato nel colpire i civili occidentali, nelle parole del defunto Anwar al-‘Awlaqī, è di mobilitare l’opinione pubblica interna degli infedeli affinché insorga contro le classi dirigenti che avallano le guerre nel mondo musulmano 21. E l’esempio citato – gli attentati di Madrid del 2004 e il successivo ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq – non potrebbe essere più calzante. Persuadere un pubblico non musulmano delle presunte «buone intenzioni» che legittimerebbero il ricorso alla violenza indiscriminata è invece obiettivo totalmente estraneo all’universo apocalittico di Dābiq. Nel quale quasi ogni forma di violenza è esibita e legittimata per terrorizzare i nemici infedeli.
 
Divergenze ideologiche e pratiche… e retroattive?
 
Sono proprio gli eccessi del takfīr (la scomunica di un fedele delle religioni abramitiche) e l’uso della violenza contro coloro che vengono dichiarati kuffār (infedeli) l’oggetto delle divergenze tra al-Qā‘ida e Dā‘iš, trattate ampiamente sulle pagine di Dābiq. Basta soffermarsi sulle didascalie che accompagnano le foto pubblicate dalla rivista per notare come ogni musulmano opposto allo Stato Islamico venga considerato un murtadd (apostata) e la maggioranza dei non musulmani dei kuffār. Per difendersi da chi li accusa di esagerare, gli autori di Dābiq fanno ricorso a un repertorio imponente di aḥadīṯ e āyāt, attraverso cui giustificano l’esecuzione del pilota giordano arso vivo nel febbraio 2015, l’attentato contro la chiesa cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad (compiuto nel 2010 dal progenitore di Dā‘iš, Abū Muṣ‘ab al-Zarqāwī) e il rapimento degli ostaggi egiziani copti in Libia, poi giustiziati sempre nel febbraio 2015 22. Gli aḥadīṯ scelti sono quelli tramandati dagli studiosi più autorevoli in ambito sunnita, Muḥammad al-Buoeārī e Muslim ibn al-Ḥağğāğ, onde evitare contestazioni religiose 23.
 
Al di là dei singoli episodi, il conflitto ideologico tra al-Qā‘ida e lo Stato Islamico ha radici ben più profonde, riconducibili all’utilizzo dell’irğā’ (differimento) in materia di takfīr imputato all’organizzazione di Ẓawāhirī. La quale viene accusata di essere seguace della Ğahmiyya, la setta eterodossa fondata da Ğahm bin Ṣafwān nell’VIII secolo, che sospendeva le sentenze sugli atti blasfemi – il takfīr appunto – rimandandole al giorno del giudizio divino 24. L’accusa di irğā’ è del resto respinta dagli ideologi di al-Qā‘ida, che reputano lo Stato Islamico incapace di distinguere tra kufr al-naw‘ e kufr al-‘ayn: tale criterio prevede la condanna delle idee blasfeme, con una serie di attenuanti che impediscono di scomunicare l’individuo che le esprime 25.
 
L’ irğā’ è una costante nelle invettive antiqaidiste di Dābiq. È stata anche alla radice di una polemica scoppiata su Twitter tra i sostenitori dei qaidisti di Ğabhat al-Nuṣra e la redazione della rivista di Dā‘iš a inizio gennaio 2015. Il fraintendimento di un passaggio della citata testimonianza del mujāhid Abū Ğarīr al-Šamālī ha scatenato una campagna denigratoria del fronte filoqaidista, scandito dall’hashtag «Dā‘iš definisce Osama [bin Laden] il leader del differimento» 26. La questione è stata ritenuta particolarmente sensibile per il coinvolgimento di uno dei «totem» del jihād come bin Laden, al punto da richiedere l’intervento riconciliatorio di diversi autori jihadisti sul blog filoDā‘iš Ansarukhilafah 27. Tuttavia, la ferita resta aperta, poiché al-Šamālī aveva semplicemente ripercorso le divergenze esistenti tra la leadership di al-Qā‘ida e Zarqāwī già prima dell’11 settembre, quando l’organizzazione si mostrava riluttante a dichiarare l’Arabia Saudita un regime apostata 28. Nelle parole di al-Šamālī, l’unico breve periodo in cui al-Qā‘ida sembrava aver abbandonato il compromesso dell’irğā’ è stato il decennio tra l’11 settembre e la morte di bin Laden nel 2011, in cui quest’ultimo aveva dichiarato guerra al regime saudita 29. Il rifiuto categorico di ogni forma di compromesso con i regimi idolatri è un tratto ricorrente della propaganda di Dābiq, che si tratti dell’Arabia Saudita o del governo pakistano sul fronte del Khorasan, dove i talibani afghani accettano di non colpire l’esercito di Islamabad in cambio di agevolazioni 30.
 
Lo Stato Islamico non nutre inoltre alcuna simpatia per i movimenti pacifisti di piazza della cosiddetta «primavera araba» e per quell’islam politico «moderato», tollerato dall’Occidente, rimasto brevemente al potere in svariati teatri post-rivoluzionari e di cui i Fratelli musulmani sono l’espressione più nota. Dābiq si è scagliato con veemenza contro il sostegno di Ẓawāhirī alle rivoluzioni arabe 31 e il messaggio di conforto indirizzato al presidente egiziano deposto Muḥammad Mursī al momento della sua incarcerazione 32. Sulle pagine del dodicesimo numero di Inspire, invece, la sezione introduttiva degli «appunti del mujāhid» non nasconde il sostegno alla rivoluzione siriana, criticando la comunità internazionale che continua a riconoscere il presidente al-Asad, mentre considera i ribelli dei terroristi33. L’ostilità di Dā‘iš alle rivendicazioni siriane risulterà forse meno ipocrita se si pensa al gran numero di attivisti sequestrati da Ğabhat al-Nuṣra nella sola città nord-orientale di Raqqa nel 2013.
 
Se si escludono gli ultimi due anni della sua vita tra il 2004 e il 2006, Zarqāwī viene presentato sulle pagine di Dābiq come il leader di un movimento indipendente dalla leadership di bin Laden sin dalla fine degli anni Novanta, quando era alla guida di un gruppo di mujāhidīn in Afghanistan, in una regione diversa da quella supervisionata dallo šayḫ saudita 34. Il tutto diversi anni prima del jihād contro l’occupazione americana dell’Iraq e del noto scambio di lettere tra Zarqāwī e Ẓawāhirī (2004-5), in cui quest’ultimo si oppose all’uso eccessivo della violenza contro gli sciiti iracheni 35. Sicuramente esistevano divergenze ideologiche in merito all’applicabilità del takfīr nei confronti degli sciiti e dei regimi della regione; tuttavia, il resoconto retrospettivo di Dābiq dei passi di Zarqāwī nel consolidamento del futuro Stato Islamico è l’ennesimo tentativo di legittimare il califfato a posteriori attraverso gli sviluppi militari. Per esempio, il fatto che Zarqāwī abbia trascinato le altre componenti etnico-religiose irachene in un conflitto con i sunniti viene spacciato come piano sistematico per la nascita dello Stato Islamico – riferimento esplicito al piano delineato nella lettera scritta a Ẓawāhirī – concepito per garantirsi il supporto dei sunniti iracheni 36. Di fatto, la rivista è impegnata nella costruzione ex post di un mito fondativo indipendente da al-Qā‘ida.
 
Conclusione
 
Dābiq non è soltanto espressione di un salto di qualità grafico rispetto a Inspire, ma anche di un golpe interno al jihadismo. Un attacco alla vecchia guardia qaidista da parte di un fronte interventista insofferente di compromessi e temporeggiamenti. Nonostante le invettive scagliate contro Dā‘iš da alcuni ideologi di al-Qā‘ida, Inspire continua a ignorare l’ascesa del nuovo califfato sia per non dare troppa importanza allo scomodo fronte degli scissionisti sia perché la battaglia dei seguaci di Ẓawāhirī continua a combattersi lontano dai territori di al-Baġdādī, nel cuore della dār al-ḥarb 37 (e soprattutto negli Stati Uniti), dove i mujāhidīn solitari devono essere istruiti sulla preparazione degli ordigni artigianali.
 
Gli attentati ispirati dalla rivista qaidista hanno anche il fine di scuotere con la forza l’opinione pubblica occidentale, chiamata a insorgere contro i propri governi. Dābiq è invece un manifesto di guerra aperta alla coalizione «crociata», un appello rivolto a tutti i musulmani perché si trasferiscano nel califfato per difenderlo e contribuire alla sua espansione. Sebbene Dābiq celebri il sostegno ricevuto dalle (o estorto alle) tribù locali, il mujāhid «colono» rimane una figura chiave, capace di tutelare l’impronta islamica del progetto e arginare le derive nazionaliste.
 
Se Inspire resta una rivista militante destinata a promuovere attività clandestine, la missione di Dābiq è molto più ambiziosa, trattando dell’edificazione delle fondamenta politiche, militari e religiose in grado di legittimare lo Stato Islamico e il suo operato di fronte al ripudio della leadership qaidista. Accentuando la profondità del conflitto politico-ideologico con l’organizzazione madre e rivendicando una storia distinta e costellata di successi militari, Dā‘iš si sta presentando sulla piazza del jihād globale come un’alternativa purista di successo. 
Note
1. L’acronimo con cui è noto nel mondo arabo, che sta per al-Dawla al-Islāmiyya fī ’l-’Irāq wa ’l-Šām, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.
2. «MI6 Attacks al-Qaeda in Operation Cupcake», The Daily Telegraph, 2/6/2011, goo.gl/DE2A1i
3. Gli aḥadīṯ sono i detti e le gesta del Profeta, fondamenti del diritto islamico.
4. Il politologo della Rand Colin Clarke ha paragonato al-Qā‘ida alle email datate di Aol e lo Stato Islamico a quella di Google. Si veda «Isis’s New Mag Looks Like a New York Glossy – With Pictures of Mutilated Bodies», The New Republic, 25/8/2014, goo.gl/d5ninf
5. Basti confrontare l’età di alcuni dei principali ideologi di al-Qā‘ida che si sono scagliati contro lo Stato Islamico, come al-Ẓawāhirī, Abū Muḥammad al-Maqdisī e Abū Qatāda al-Filasṯīnī, tutti nati negli anni Sessanta, e quella del califfo di Dā‘iš Abū Bakr al-Baġdādī e del suo defunto mentore Abū Muṣ‘ab al-Zarqāwī, il primo nato nel 1971 e il secondo morto a 40 anni nel 2006.
6. Si veda p. 35 del n. 13 di Dābiq (febbraio 2015). I numeri sono scaricabili da jihadology. net/category/Dābiq-magazine
7. Si veda lo studio condotto da un team di ricercatori di Aljazeera: «Ḫulāṣāt wa natā’iã milaff tanẓ īm «al-dawla al-islāmiyya»: al-naš’a, al-ta’ṯīr wa ’l-mustaqbal» («Punti salienti e conclusioni del dossier sull’organizzazione “Stato Islamico”: origine, influenza e futuro»), 23/11/2014, goo.gl/JqYMnA
8. Si veda il primo numero di Dābiq, p. 20. Si veda inoltre H.K. GAMBHIR, «Dabiq: The Strategic Messaging of the Islamic State», p. 5, Institute for the Study of War, 15/8/2014, goo.gl/iRiXyz
9. Lo Stato Islamico considera le fazioni dell’’opposizione siriana alla stregua delle ṣaḥwāt, le milizie tribali sunnite stipendiate dagli Usa in funzione antiqaidista durante l’occupazione dell’Iraq.
10. Nel contesto italiano, si pensi alla retorica della resistenza comunista partigiana «tradita» dal par- lamentarismo del Pci e a come venne utilizzata per legittimare la nascita di gruppi insurrezionalisti nel corso degli anni Settanta. Nel caso di al-Qā‘ida-Dā‘iš, si tratta senz’altro di un universo ideologico alquanto differente e di per sé votato all’uso della violenza, ma si possono individuare analogie nell’enfasi sul rapido conseguimento dell’obiettivo politico finale (il califfato in ambito islamico, la dittatura del proletariato in quello marxista) e nel rifiuto delle dilazioni tattiche.
11. I leader di al-Qā‘ida vengono costantemente definiti dei «partigiani» (ḥizbiyyīn), poiché rifiutano di accettare la leadership unificata del califfato.
12. Scaricabile da justpaste.it/al_husamchannel-6
13. È il caso degli Anṣār Bayt al-Maqdis egiziani, per esempio.
14. Il sito www.tawhed.ws resta una delle piattaforme predilette dai qaidisti palestinesi Abū Qatāda al-Filasṯīnī e Abū Muḥammad al-Maqdisī per criticare lo Stato Islamico.
15. H.K. GAMBHIR, op. cit., p. 4.
16. Si veda lo studio sopracitato di Aljazeera.
17. Si veda il n. 1 di Dābiq, pp. 12-13.
18. Si veda il numero 6 di Dābiq, p. 46
19. Tali toni ironici, secondo alcune fonti difficilmente attribuibili ai leader qaidisti del Golfo, hanno fatto tra l’altro già dubitare dell’autenticità del magazine. Si veda «5 Reasons to Doubt al-Qaeda Magazine’s Autenthicity», The Atlantic, 5/7/2010, goo.gl/9gmgdg
20. Si veda il n. 13 di Inspire, pp. 16-17.
21. Si veda il n. 12 di Inspire, p. 17.
22. Si veda il n. 13 di Dābiq, pp. 5-8 e 30-32.
23. Il che non significa che tali raccolte di aḥadīṯ non siano state oggetto di scetticismo al di fuori del circoli sunniti più ortodossi, ma ciò chiaramente non interessa a Dā‘iš.
24. Si veda lo studio sopracitato di Aljazeera e la voce di Wikipedia araba sulla Ğahmiyya, goo.gl/IG9YOW
25. Si veda lo studio sopracitato di Aljazeera e un video esplicativo dei concetti di kufr al-naw‘ e kufr al-‘ayn nelle correnti salafite, goo.gl/le1Qve
26. In arabo «Dā‘iš taṣif Usāma bi-ra’s al-irğā’».
27. La polemica ha spinto uno degli autori di Dābiq, Abū Maysara al-Šāmī, a pubblicare una dettagliata confutazione delle illazioni circolate sui social network, supportato anche da un post di šayḫ Ma’mūn Ḥātim, uno dei leader di Aqap, accorso a «ricomporre le fratture». Per la replica di al-Šāmī si veda «Mubāhalah [Mubāhala] over the deception of the Ruwaybidāt», 6/1/2015, goo.gl/b45NLE, mentre per la replica di Ḥātim si veda «Šayḫ Ma’mūn Ḥātim Responds on the Slander against the Is on the Articles that Appeared in Dabiq [Dābiq] 6», 1/1/2015, goo.gl/gwGG5k
28. Il medesimo concetto di differimento della scomunica (irğā’al-takfīr).
29. Si veda il n. 6 di Dābiq, p. 45.
30. Si veda il n. 7 di Dābiq, p. 3.
31. Si veda lo studio sopracitato di Aljazeera.
32. Mursī si era guadagnato le simpatie di Ẓawāhirī, perché una volta salito al potere aveva promesso di ottenere la liberazione di šayḫ ‘Umar ‘Abd al-Raḥmān, detenuto negli Usa dietro l’accusa di essere stato il leader della al-Ğamā‘a al-Islāmiyya durante gli attentati degli anni Novanta in Egitto. Si veda «Egypt’s Morsi at Tahrir Square: Power of the People is Above All», Ha’aretz, 29/6/2012, goo.gl/Y8lkZI; Dābiq, n. 7, pp. 18-19.
33. Si veda il n. 12 di Inspire, pp. 6-7.
34. Si veda il n. 6 di Dābiq, p. 41.
35. La lettera inviata da Zarqāwī a Ẓawāhirī nel 2004 è consultabile al seguente link: goo.gl/kIxv7Y, mentre la risposta di Ẓawāhirī è reperibile al seguente link: goo.gl/BmJPfD
36. Si veda il n.1 di Dābiq, p. 37 e H.K. GAMBHIR, op. cit., p. 8.
37. «I territori della guerra», termine con cui alcuni giuristi islamici hanno definito in passato i territori non ancora governati dalla legge islamica.