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 2017  agosto 23 Mercoledì calendario

Hamburger a 30 euro e bidonville. L’Angola fra business e dittatura

L’ideologia comunista rivoluzionaria è sempre più un lontano ricordo in Angola. Per le strade di Luanda, capitale dell’ex colonia portoghese, brulicano fast food ad ogni angolo. Se ne trovano anche in Avenida Comandante Che Guevara, dove ci si prepara alle elezioni presidenziali, oggi, le più importanti dalla fine della guerra civile nel 2002. Eppure, nella solita lunga attesa per il voto, saranno in pochi a potersi togliere lo sfizio di un panino. Un menu hamburger, coca cola e patatine può arrivare a costare fino a 30 euro: il doppio del guadagno quotidiano dei due terzi della popolazione.
Benvenuti a Luanda, anche nel 2017, considerata da Mercer, società di consulenza mondiale, la città più cara al mondo per gli espatriati. L’affitto per un bilocale si aggira sui 5400 euro al mese, oltre la metà della media del Pil pro capite in Angola. A pochi chilometri dai quartieri centrali ci sono le musseques, i quartieri dormitorio della miseria.
Toccherà al nuovo presidente, quasi sicuramente João Lourenço, provare a riequilibrare una delle società più sbilanciate al mondo che nonostante la crescita economica degli ultimi 10 anni continua a rimanere al 150° posto (su 187) dell’Human Development Index. Generale ed ex ministro della Difesa, Lourenço è un uomo di ferro e punta tutto sulla disciplina nella lotta alla corruzione. Più dell’esito del voto quasi scontato, la notizia è che il presidente dell’Angola, Josè Eduardo dos Santos, secondo per numero di anni al potere solo a Teodoro Obiang Nguema della Guinea Equatoriale, dopo 38 anni alla guida dell’ex colonia portoghese si fa da parte. Una rarità in un Continente abituato ad avere capi di Stato incollati alla poltrona per decenni. Una scelta motivata, secondo alcuni commentatori, dalle deteriorate condizioni di salute del 75enne leader, più volte andato in Spagna negli ultimi anni per visite mediche. Voci sempre negate dall’entourage del presidente e dalla stessa famiglia.
La realtà è che, Dos Santos, resterà alla guida del Mpla (Movimento Popular de Libertação de Angola) e quindi del Paese sfruttando due canali preferenziali: un successore fedele, appunto João Lourenço; e i due figli, Isabel e José, a cui è stata consegnata la cassa dello Stato. Politica ed economia un binomio indissolubile dal 2002 ad oggi, che ha permesso ad un Paese distrutto da oltre 30 anni di guerra civile di costruire un’oligarchia basata sulla scoperta del petrolio al largo delle coste atlantiche. L’Angola è il primo esportatore in Africa di greggio e gli introiti sono gestiti dalla Sonangol, società pubblica guidata proprio da Isabel dos Santos, figlia del presidente e considerata da Forbes la donna più ricca d’Africa con un patrimonio personale stimato intorno ai 3 miliardi di dollari. Il figlio maggiore Josè ha la gestione del fondo sovrano e degli appalti per il massiccio programma per ricostruire le infrastrutture di un Paese dove sono ancora presenti circa un migliaio di campi minati.
Al contrario degli anni passati quando l’Mpla vinse con il 72% delle preferenze, quest’anno i sondaggi indicano un assottigliamento con il partito di governo fermo al 38% e i principali partiti d’opposizione, Unita e Casa-Ce, rispettivamente al 32% e al 30%. Una flessione dovuta principalmente al peggioramento delle condizioni di vita della popolazione per il crollo dei prezzi del petrolio. La crescita economica al 22% del 2007 è solo un lontano ricordo, il deprezzamento della moneta locale (kwanza) una realtà e la necessità di una sempre maggiore diversificazione dell’economia un obbligo. Una grande mano la sta dando Pechino, principale partner commerciale di Luanda con uno scambio annuo pari a 5,5 miliardi di dollari, con una netta prevalenza di esportazioni verso la Cina. In cambio di greggio e diamanti, di cui l’Angola è diventato quinto esportatore al mondo, il gigante asiatico ha assicurato infrastrutture, abitazioni e formazione tecnologica. Due Paesi sempre più uniti da un’ideologia basata sul concetto di una via capitalista con una meta socialista.
Nelle tornate elettorali precedenti le opposizioni hanno accusato l’Mpla di brogli, ma anche questa volta il governo non ha accettato la richiesta dell’Unione europea di mandare osservatori per controllare lo svolgimento regolare del voto. Dopo settimane di tensione tra Luanda e Bruxelles è stato deciso che solo 4 osservatori prenderanno parte alle operazioni di voto.