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 2017  agosto 23 Mercoledì calendario

1923, quando Piero Gobetti scelse l’intransigenza

Piero Gobetti, il “prodigioso giovinetto”, per riprendere l’etichetta coniata da Bobbio, non finisce di sorprendere. Oggetto di un culto laico, da parte di una schiera non numerosissima, ma assai attiva di seguaci, la memoria di questo intellettuale militante, morto a 25 anni non compiuti nell’esilio parigino, viene tenuta viva attraverso una incessante serie di iniziative, specialmente editoriali. In tale novero si colloca il secondo volume del Carteggio, relativo al 1923, curato con amoroso zelo da Ersilia Alessandrone Perona, come il precedente, sul periodo 1918-1922.
Il 1923 è un anno “cruciale”: il matrimonio (a gennaio) con Ada Prospero, la nascita della casa editrice (che cambierà diverse volte la denominazione), l’avvio di una seria azione politica, accanto a quella culturale. Sarà proprio quest’ultimo dato ad attirare l’attenzione del regime e di Mussolini in prima persona, sul giovane torinese, il quale, a partire da quest’anno, in particolare, è sottoposto a varie forme di persecuzione, con la censura sull’attività giornalistica (mi riferisco alla principale delle tre riviste fondate da Piero, La rivoluzione liberale, nata nel novembre ’22 e cessata definitivamente, per decreto del prefetto nel novembre ’25), con lei intimidazioni, le minacce, gli arresti (due nell’anno), e via seguitando. Un Gobetti politico, dunque, quello che si fa luce nel ’23, anche se il lavoro culturale è e rimarrà il vero titolo di merito di questo “suscitatore” che, prendendo a modello il Prezzolini della Voce, diventerà a sua volta modello da seguire e imitare nella ricca esperienza editoriale torinese tra la seconda metà degli anni Venti e la prima dei Trenta, fino alla fondazione di casa Einaudi, nel novembre ’33.
In altri termini, tra politica e cultura, tra editoria e giornalismo, il ventunenne Piero diventa nel ’23 un personaggio pubblico, con tutti i rischi inerenti. Del resto, Piero ha quasi il culto dell’eroismo: è un giovane alfieriano, tanto che a Vittorio Alfieri ha dedicato la sua tesi di laurea, con il dimenticato Gioele Solari, e la pubblica in quell’anno, sotto le proprie insegne editoriali. Contemporaneamente, Gobetti sviluppa un proprio percorso intellettuale, in particolare sul piano filosofico-politico, con la resa dei conti con Giovanni Gentile, che proprio nel ’23 vara la riforma della scuola, definita dal duce “la più fascista delle riforme”. Non era vero: la sua è una riforma classista la cui natura il giovane intellettuale coglierà immediatamente.
Il carteggio, con le sue 579 lettere, fornisce una mappa, geografica, culturale e politica, del lavoro gobettiano, un lavoro incredibilmente ricco, in cui da pari a pari – questo l’altro dato stupefacente – Piero dialoga con una varia gamma di intellettuali, anche se prevalentemente di modesto valore. Il suo è un fervore febbrile, incessante, che finisce per contagiare, assai spesso, gli interlocutori, che passano dallo stupore all’ammirazione, e talora, all’imitazione. Il principale corrispondente è Prezzolini, suo mentore sul piano culturale, mentre tra loro si apre il solco politico, tra chi, come lui, vuole tirarsi fuori della mischia (“ogni giorno di più mi convinco che non mi conviene occuparmi di politica, che mi disgusta”, scrive il 20 dicembre), in una scelta ambigua di “apotismo”, e chi, come Piero, al contrario nella mischia si vuole gettare a corpo morto.
Prezzolini è però il principale “consigliere” culturale; reiteratamente invita il giovane amico a tenere alto il livello delle scelte editoriali e giornalistiche, che, in effetti, non sempre sono tali: del resto la casa editrice è anche un modo per sbarcare il lunario, e col sistema delle prenotazioni (di copie da parte degli autori), Gobetti cerca di ricavare un reddito, anche se non di rado le cose vanno storte, e il giovane editore ci rimette del suo, invece di trarre profitto.
Eppure, con tali limiti, nel ’23 escono libri importanti: un titolo per tutti, Nazionalfascismo di Luigi Salvatorelli, che propone una interpretazione originale della nascita e della vittoria mussoliniana, ancora oggi fondamentale. Altri nomi di rilievo vanno ricordati, da Giovanni Amendola a Luigi Sturzo, da Luigi Einaudi a Rodolfo Mondolfo, tra i collaboratori dell’impresa giornalistica ed editoriale di Gobetti, il quale, però, sembra ormai prediligere l’azione politica. Il fascismo è una realtà che con amaro realismo egli prevede che “è e sarà per molto tempo padrone”. Lungi dallo scoraggiarlo, questo pensiero gli fa ribadire (scrivendo a Tommaso Fiore, il 13 novembre) un concetto che gli sarà fatale: “Noi dobbiamo rimaner fedeli alla nostra disperata intransigenza”.