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 2017  agosto 23 Mercoledì calendario

Fedeli: l’obbligo scolastico può salire fino a 18 anni. Ma in gran parte d’Europa il limite massimo resta fissato a 16 anni

Partire, nel 2018/2019, con una sperimentazione nazionale (in 100 prime classi di licei e istituti tecnici) del diploma a quattro anni (anzichè i cinque canonici); al termine, nel 2023, valutarne i risultati; e, poi, se positivi (e condivisi dal mondo scolastico) pensare a una più complessiva riforma dell’ordinamento «per migliorare la qualità dei percorsi didattici interni»; e, in quest’ottica, contestualmente, «portare l’obbligo scolastico a 18 anni» (fino cioè al termine dei tre cicli).
Dopo l’intervista al Sole 24Ore di domenica, la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha scelto ieri il palco del meeting di Cl, a Rimini, per rilanciare una riflessione a tutto tondo su come innovare e potenziare l’offerta formativa a vantaggio degli studenti: l’idea (per i futuri esecutivi – non ci sarà quindi nessun intervento normativo imminente) è quella di prendere spunto dal percorso di riduzione di un anno della scuola superiore che si andrà a sperimentare (entro settembre gli istituti che vorranno partecipare dovranno presentare la candidatura), per operare un ripensamento complessivo degli ordinamenti scolastici: «Si dovrebbe fare una rivisitazione dei cicli che valorizzi il sapere e le nuove competenze – ha spiegato Fedeli -. Io sarei per innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni perchè un’economia come la nostra, che vuole davvero puntare su crescita e benessere, deve mirare alla conoscenza, come peraltro chiede l’Agenda Onu 2030 sottoscritta anche dall’Italia. E quindi, se questo è l’obiettivo – ha poi aggiunto la titolare del Miur – è necessario anche sapere che il percorso educativo e formativo, che non smette mai nel corso della vita, ha comunque bisogno di avere una più larga partecipazione possibile, almeno, appunto, fino a 18 anni, per percorsi anche differenziati come licei, istituti tecnici, professionali».
Oggi, è obbligatoria l’istruzione impartita nel sistema scolastico e formativo per almeno 10 anni e riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni (il 15esimo anno, come sistematizzato dal Jobs act, lo studente può sottoscrivere un contratto di apprendistato di primo livello e contestualmente adempiere all’obbligo e al termine del periodo di scuola-lavoro conquistare anche il diploma).
L’asticella a 16 anni venne fissata da Beppe Fioroni (con Letizia Moratti era 15 anni e si chiamava “diritto-dovere”), che consentì anche la sperimentazione nel sistema Iefp. Mariastella Gelmini portò a regime la sperimentazione nell’istruzione e formazione professionale (quindi obbligo scolastico a 16 anni per tutti), e poi con il collegato Lavoro del collega Maurizio Sacconi, si portò l’apprendistato a 15 anni (una scelta poi confermata dal Jobs act).
Del resto, anche a livello internazionale, la stragrande maggioranza dei paesi ha un obbligo scolastico fino a 16 anni d’età dello studente (salgono a 18 anni solo Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, e Germania, in alcuni Land). Molto innovativa è invece la riduzione del percorso di studi che permetterà di far uscire gli alunni a 18 anni, come avviene da tempo, in molti paesi europei (tra cui Spagna, Francia, Regno Unito, Portogallo, Ungheria, Romania – in Finlandia l’ultima campanella suona, addirittura, a 17 anni).
La proposta di una rivisitazione dei cicli e di un innalzamento a 18 anni dell’obbligo scolastico fa già discutere: plaudono Flc-Cgil e Uil Scuola; più cauta la Cisl Scuola («non è una priorità, sono più importanti i contenuti»), e anche l’Anp, l’Associazione nazionale presidi, ha messo dei paletti: «Servono interventi mirati sulla qualità dell’istruzione e una vera autonomia scolastica».
Molto chiara l’assessore lombardo a Istruzione, formazione e lavoro, Valentina Aprea: «La sperimentazione del diploma a quattro anni è sicuramente una buona notizia per tante ragioni. Non lo è l’idea di elevare a 18 anni l’obbligo scolastico: sarebbe un passo indietro rispetto al nostro ordinamento e contrasterebbe con le nuove flessibilità introdotte da Jobs act e decreti attuativi della Buona Scuola».